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Musica

Lou Reed era veramente uno stronzo?

L'autore della sua biografia ci ha spiegato perché si dice che fosse misogino, razzista, invidioso e in perenne conflitto con se stesso.

«Quando Lou Reed morì nell'ottobre del 2013, spiega Howard Sounes, autore della biografia recentemente pubblicata Notes from the Velvet Underground: The Life of Lou Reed, parecchi giornalisti fan dell'artista si sono spremuti per riversare la loro nostalgia sotto forma di omaggio necrologico ditirambico. In questo modo sono passati oltre a una dura verità che chiunque l'avesse intervistato conosceva bene: quel ragazzo non era assolutamente un tipo gradevole.»

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E se consideriamo la compagna che era arrivata persino a ringraziarlo per averle fatto un occhio nero, o la sorella che lui umiliava pubblicamente senza ritegno, definirlo un tipo poco gradevole sembra quasi un eufemismo. Dopo la sua svolta medioborghese, Reed ha avviato una carriera che gli è valsa la grande popolarità e i favori dei critici più raffinati. Negli anni Sessanta è diventato il frontman dei Velvet Underground, un gruppo che non ha sempre raccolto il riconoscimento mediatico che meritava, ma che senza dubbio ha influenzato pesantemente il panorama musicale degli anni successivi.

In seguito al suo abbandono improvviso del gruppo nel 1970, Reed si è concentrato su una carriera solista di impatto ugualmente importante, con hit come "Walk on the Wild Side" o "Perfect Day" che sono rimaste iconiche in un immaginario in cui la sua figura era sempre una spanna sopra la realtà. Nel frattempo, per tutta la vita, l'artista ha sofferto di disturbi mentali, di problemi legati alla droga e di slanci aggressivi per via della gelosia morbosa di cui soffriva, dettagli che lo rendevano piuttosto complicato dal punto di vista caratteriale. "A un certo punto si è lasciato andare ed è diventato una parodia di se stesso," racconta Sounes. "Un provocatore, un punk, per vendere i suoi dischi. Era una rockstar sporca, bisessuale, fingeva di bucarsi sul palco e dichiarava cose assurde nelle interviste per attirare l'attenzione. Era una strategia studiata, che però gli si rivoltò contro in un certo senso, minando alla sua credibilità artistica. Perché lui valeva molto più di questo."

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Come farsi strada tra leggenda e realtà? Difficile a dirsi. I fan di Reed, molti dei quali hanno un legame affettivo profondissimo con i suoi lavori, spesso usano la delicatezza di descrivere la sua personalità come "contorta". Dopo la morte di Reed, avvenuta due anni fa in seguito a un cancro al fegato—l'artista aveva 71 anni—Howard Sounes, che aveva scritto anche biografie di Bob Dylan e Charles Bukowski, ha tentato di dare un nuovo accento alla vita dell'icona underground. L'ho contattato per chiarire come mai Reed, post mortem, si è guadagnato epiteti poco carini come "stronzo" o "mostro", il tutto senza mai smettere di essere considerato nient'altro che un genio da fan, colleghi e dalla sua famiglia.

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Noisey: Come hai detto in un'intervista con Daily Beast, Lou Reed si comportava come un "mostro" odioso, razzista, misogino e quant'altro—ossia aveva caratteristiche che in qualche modo si possono ritrovare mistificate nei suoi testi o in alcune sue dichiarazioni. Pensi che l'arte sia una buona scusa per giustificare questi comportamenti?
Howard Sounes: Non sono convinto che si possano ritenere razziste certe sue dichiarazioni. [Anche se altri ritengono che lo siano] Sicuramente ha fatto dei commenti infelici, come parecchie persone della sua generazione. Il termine "negro" era molto più comune trent'anni fa, rispetto ad oggi, anche se non posso negare che talvolta Reed l'abbia utilizzato in maniera volontariamente offensiva, come in frasi tipo "Non mi piacciono le negre come Donna Summer" per darsi un'aria da cattivo ragazzo. Se un artista facesse dichiarazioni del genere oggi verrebbe distrutto, ma negli anni Settanta non accadeva.

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Per quanto riguarda il tema misoginia, nelle sue dichiarazioni, c'è un po' più di ciccia. E se lo sottolineo con forza nel mio libro è in parte perché non mi pare che altri l'abbiano fatto in precedenza.

Dal primo album dei Velvet Underground (quando canta "You better hit her" in "There She Goes Again") fino ad altri pezzi di Transformer, Berlin, Sally Can't Dance, e Street Hassle, fino a "Mistress Dread" nell'album Lulu dell'ultimo periodo della sua carriera ("I'm a woman who likes men… I beg you to degrade me… Please spit in my mouth") Reed non ha mai smesso di parlare di atti violenti nei confronti delle donne: parla di donne che vengono picchiate, violentate e persino uccise.

Lui diceva di incarnare semplicemente un personaggio, che adottava il punto di vista di una persona violenta come farebbe un romanziere. E questo è legittimo. Ma, come scrivo nel mio libro, Lou Reed si dimostrava sessista anche nella vita di tutti i giorni, tanto che, vista così, la sua arte non fa altro che esprimere un aspetto della sua personalità.

Il titolo che Daily Beast ha dato alla tua intervista era abbastanza eloquente: "Lou Reed Described Bob Dylan as a 'Pretentious Kike'." Quando ne ho discusso coi colleghi mi hanno risposto che Reed era ebreo, quindi era tutto ok, o perlomeno non era così grave. Si dice che certe cose le dicesse per provocare, tu che ne pensi?
Il giornalista del Daily Beast ha scelto un paio di aneddoti dal mio libro e li ha riformulati in modo da attirare l'attenzione del pubblico. Questo è il principio del giornalismo. Ma il mio libro ha 407 pagine ed è pieno di sfumature e sottigliezze come il soggetto di cui parla. Se lo leggi, vedrai che è un amico di Lou a raccontare la storia di Bob Dylan e che aggiunge: "Essendo ebreo lui stesso, era tipico di Lou fare uscite come questa." A parte questo, certi modi sono giustificati dall'appartenenza a una stessa religione o no? Questo resta da vedere, ma almeno così il lettore può contestualizzare la frase di Lou.

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Per me, la cosa più interessante di questo, come di altri passaggi del libro, è che si nota la sua gelosia nei confronti di Dylan. In generale, Reed invidiava gli artisti a lui contemporanei e non prendeva benissimo il suo scarso successo commerciale.

Ricevi parecchie mail incazzate dai fan?
A volte i fan si scaldano facilmente quando scrivi qualcosa di vagamente critico sul loro idolo. In parecchi casi, si tratta di persone che ascoltano la sua musica da quando erano adolescenti, ossia nell'età in cui la musica ti segna di più. Alcuni pezzi sono diventati colonne portanti della loro vita e della loro identità. Soprattutto gli uomini di una certa età rimangono attaccati ad elementi del passato come le macchine d'epoca, gli oggetti da collezione o le squadre di calcio. È un fattore nostalgico. I pezzi che ascoltavano durante l'adolescenza rappresentano per loro un'idea rassicurante in cui si rifugiano per ritrovare la giovinezza perduta. Non tutti sono in grado di guardare le cose dall'esterno e accettare di buon grado le critiche imparziali ai loro idoli, come ad esempio la mia biografia. Non sempre capiscono che il ruolo di un biografo è seguire la storia e presentarne le prove. Non dico che Lou Reed fosse uno stronzo, e non lo dirò mai, ma se chi lo conosceva di persona mi racconta che il suo carattere era così focoso—e sono in tanti ad avermelo detto—è mio dovere farlo sapere.

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Purtroppo, oltretutto, siamo davvero pieni di pseudo-autobiografie di celebrità, ossia di una sorta di bigino, un racconto edulcorato scritto da qualche ghostwriter apposta per tirare su un po' di soldi. Libri di questo genere disturbano il modo in cui questo particolare genere letterario è percepito. Sono scritti apposta per rinvigorire l'immagine pubblica di una celebrità e sono parte di una strategia condivisa di controllo e manipolazione dell'immagine. Spesso l'autore ufficiale non è nemmeno all'origine dell'idea per una biografia, e questa è una cosa molto disonesta. Al contrario, un biografo professionale lavora in maniera indipendente, investiga sul soggetto da capo a piedi, per cui dietro alla sua opera c'è un enorme lavoro di ricerca per scoprire la verità sugli argomenti trattati. Il mio lavoro è rivolto a chiunque abbia un gusto letterario di un certo tipo e sappia quindi che cos'è una biografia.

Quelli che ai tempi lo definivano uno "stronzo" sono gli stessi che poi l'hanno perdonato e dicevano di adorare il suo stile?
I tratti negativi della personalità di Lou Reed sono innegabili. Di solito battibeccava con la gente, era pieno di "nemici", cose del genere. E se la prendeva sempre con il suo entourage. Era spesso scortese, beveva e si drogava parecchio, il che non migliora le cose di solito. In molti hanno avuto da ridire su questo lato del suo carattere. Altri invece parlavano bene di lui, in particolare della sua capacità di concepire opere potenti e originali. Il fatto che potesse risultare spiacevole a livello personale non ha mai sminuito le sue innegabili doti artistiche. È anche vero che a volte il suo modo di lavorare poteva sembrare pigro, deludente e approssimativo. Tanto che c'è un abisso tra alcune punte di diamante del suo periodo coi Velvet Underground e alcune cose di poco conto che ha prodotto in altre fasi della sua carriera.

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E secondo te si è calmato, cioè, è "migliorato" con l'età? Alcuni dicono che si fosse scusato per certe cadute di stile, è vero?
Sicuramente è diventato più dolce. Molti elementi provano che, negli ultimi anni, era più facile da gestire. La sua vedova Laurie Anderson l'ha sottolineato anche durante il suo funerale. Resta il fatto che è sempre stato in grado di comportarsi male.

Per quello che concerne il suo lavoro, i testi che ha scritto per Lulu, il suo ultimo progetto, sono tra i più estremi della sua carriera. Pezzi come "Mistress Dread" sono al limite dell'osceno, e sembrano realmente indirizzati a un'ottica misogina. Certo, lui dichiarava di mettersi nella pelle di un personaggio… Ma dopo un po' questa copertura inizia a cedere.

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Reed nel 2004.

Parlami di come si comportava con le donne.
Questo aspetto della sua vita è davvero complicato. Era totalmente, realmente bisessuale, cosa che ha cercato di nascondere per la maggior parte della sua esistenza. Non dimenticate che è cresciuto tra gli anni Quaranta e Cinquanta, in una famiglia di classe media in periferia, dove tratti di questo genere erano difficilmente accettati. Gli uomini lo attraevano sessualmente, ma adorava avere relazioni con le donne e avere una moglie. Si è sposato tre volte. Come scrivo nel mio libro, in realtà si è sposato anche una quarta volta, con un uomo gay travestito, alla fine degli anni Settanta. Hanno anche festeggiato le nozze con tanto di torta, c'è una foto nel libro di quel momento.

Ma perché si ostinasse a sposarsi, se lo chiedono in tanti. La sua prima moglie mi ha raccontato di quante donne gli stavano dietro: si occupavano di lui, erano al suo servizio. La sua seconda moglie è diventata il suo manager e ha iniziato a lavorare per lui. Ma, forse anche per via della sua bisessualità, aveva sentimenti ambivalenti nei confronti delle donne—sul piano emotivo e su quello sessuale. Il che non ha facilitato le sue relazioni, almeno finché non ha incontrato la sua terza moglie, la cui forte personalità probabilmente è stata decisiva per tenergli testa.

Hai avuto delle rivelazioni, in particolare, su di lui, durante la stesura del libro? Ci sono tratti particolarmente positivi del suo carattere che non conoscevi?
Onestamente, mi ha sorpreso sapere che in tanti pensavano avesse un carattere orrendo e venire a conoscenza del numero di persone che ce l'avevano con lui. Non si comportava particolarmente bene, in generale. Capisco anche che la sua salute mentale era un problema che si portava dietro da tanto, così come la dipendenza da droghe. Sembrava un tipo duro, ma probabilmente era più una facciata per un uomo impaurito e spesso in conflitto interiore.

Certo, poi il libro racconta anche di situazioni in cui Lou si comporta bene. Adorava, ad esempio, sua sorella Bunny, e lei adorava lui. Era in ottime relazioni anche con una sua amica, Erin Clermont. Chiaramente non mancano anche esempi di azioni generose da parte sua, di solito nei confronti della sua famiglia o dei suoi amici. Nel libro ho messo tutto: il buono e il cattivo, compresi gli atti disdicevoli da titolone di giornale. Ci ho messo tutto quello che mi sembrava interessante, vero e pertinente. Come autore ho tentato di essere il più possibile imparziale, perché non sta a me giudicare Lou Reed. Ho scritto questo libro perché adoro la sua musica da quando ho quattordici anni e perché sapevo che la sua biografia sarebbe stata appassionante. E malgrado tutto quello che ora so della sua vita, continuo ad ammirarlo e ad apprezzare la sua musica quanto prima.

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