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Musica

I Guns'n'Roses hanno gli anni che hanno

Un Axl Rose immobile al Coachella ci dimostra che il rock'n'roll non è morto, è solo invecchiato male.

Tutte le foto sono di Timothy Morris

“Sorry, I can’t do my thang.” È quello che le masse adoranti del Coachella hanno sentito dire ad Axl Rose sabato sera, allo show-reunion della band di cui è leader, i Guns N’ Roses.

Non si sa bene cosa intendesse con le sue parole, ma in fondo stiamo parlando di Axl Rose, il mostro del rock in kilt e urli stratosferici. Probabilmente si riferiva al fatto che non riesce più tanto bene a camminare, correre o a fare quelle mossette che l'hanno da sempre caratterizzato. Durante il primo concerto di questa nuova epoca dei Guns, il ragazzo si è fracassato un piede, tanto che se ne sta seduto su un trono come il buon Dave Grohl, un trono non di spade ma di chitarre. Axl è il re matto, un Targaryen nato nell'Indiana che annuncia decapitazioni fino a che il suo compare, il bassista Duff McKagen, non gli dà il La per tornare a cantare.

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Chiaramente il nostro Axl non è tenuto a scusarsi con nessuno né tantomeno ad abbassarsi ai livelli del resto della popolazione mammifera di questo mondo. Lui è un mutante roscio, una palla di fuoco lanciata su una Los Angeles post-apocalittica. Il suo gruppo sanguigno è Bourbon. Viene da una razza aliena nella cui genetica è innata una certa dose di cocaina, glucosio e THC.

Qualcuno di voi si ricorderà lo storico concerto di Buenos Aires in cui Slash e Duff McKagan uscirono dal palco dei Guns per l'ultima volta. Questo avveniva 23 anni prima della reunion di quest'anno, la prima vera solida reunion dopo una serie di futili riconciliazioni e false aggregazioni.

Negli scorsi anni abbiamo assistito a una serie di pseudo-Guns N’ Roses, tipo quella volta che Axl ha tentato di rimpiazzare Slash con un anziano che indossava un cappello a forma di secchio di KFC. Ci sono stati i Velvet Revolver, quelli in cui Scott Weiland faceva un karaoke dei G&R con l'aiuto della band originale, privata però del suo urlatore primordiale. Ci sono stati persino gli Snakepit di Slash, un vero e proprio “super-gruppo” in cui militavano altri due G&R, anche se molti sono ancora convinti che si trattasse di una roba di wrestling.

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Sia quel che sia, la band ha deciso di tornare in pista, tutti insieme, in questo glorioso anno 2016 in cui le forze della Natura si sono già portate via tanti grandi talenti, donandoci in cambio alcune gloriose reunion. Il Coachella, in questo caso, serve come trampolino di ri-lancio per progetti di tale entità. E insomma, Axl, Slash e Duff, insieme ai loro diecimila apostoli col fegato d'acciaio, si sono ritrovati tutti insieme attorno al palco del più grosso festival del mondo. Quasi mai ho visto tante t-shirt dei Guns tutte nello stesso luogo che non fosse un negozio di abbigliamento vintage o un Hard Rock Cafe. Izzy Stradlin e Steven Adler mancano ancora all'appello, il che la rende una reunion ancora incompleta, ma hey: abbiamo Axl e abbiamo Slash, due maxi-potenze del rock'n'roll. Mica pizza e fichi.

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Nella mia testa, questa storia andava che Axl, impanicato nel backstage, non riusciva a salire sul palcoscenico e si rifugiava tra le braccia del dio Kanye, che in tutta risposta si offriva di rimpiazzarlo—in realtà non vedeva l'ora di ululare “November Rain” e rimettere in scena pure il video, ovviamente con Kim K. nel ruolo che fu di Stephanie Seymour. Ma la realtà si è rivelata ben peggiore. Nella vita vera, non c'è stato nessun Kanye e Axl è salito lo stesso sul palco. Nella vita vera, il live dei Guns è stato uno show mediocre.

La band doveva salire sul palco alle 22.30, anche se tutti avremmo scommesso in qualche catastrofe da backstage tipo gente in ritardo mortale o un olocausto nucleare dovuto ad Axl che se la prendeva con il suo stilista per avergli portato la fedora sbagliata. Per quello che ne so, invece, non è successo nulla di tutto questo e, dopo un'introduzione a rulli di pistole su un sinistro sottofondo musicale seguito dalla sigla dei Looney Tunes, i nostri eroi fanno il loro ingresso sul palco, con solo dieci minuti di ritardo. Dal padiglione VIP li stavano guardando Arnold Schwarzenegger, Sylvester Stallone e Courtney Love—nel caso qualcuno pensasse che gli anni Ottanta si potessero sopprimere con armi convenzionali.

Quasi immediatamente è chiaro che c'è qualcosa che non va. Non so se fosse la dissonanza cognitiva di una band come i Guns N’ Roses che suona davanti a orde di gentaglia con stick fluorescenti e coroncine di fiori, l'invalidità di Axl o qualcosa di più misterioso e intangibile, fatto sta che non c'era magia. La chimica tra band e pubblico non scorreva. Il mito diventava il racconto stanco di qualche vecchio agiografo. Se guardate qualche vecchia registrazione, noterete che Axl era un vulcano saltellante tra l'angelico e il demoniaco e Slash un dio del rock statuario. Adesso si nota semplicemente che tutti quanti, prima o poi, invecchiamo.

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Ebbene re Axl è imprigionato sul suo trono, si scusa e quasi si vergogna della sua immobilità, tanto che cerca di sopperire alle mancanze degli arti inferiori sventolando le braccia in maniera compulsiva come un nuotatore sincronizzato ubriaco sul Sunset Boulevard. Il suo volto è stato artificialmente ripulito da ogni ruga fino al punto di sembrare liscio in modo innaturale. I suoi capelli hanno perso la consistenza setosa dei tempi d'oro. Indossa una giacca di pelle e varie croci di diamanti, jeans strappati e una maglia raffigurante un Emoji. Il tutto lo fa sembrare un attore—che potrebbe essere Meatloaf o Phillip Seymour Hoffman ai tempi di Capote—nella parte di Axl Rose.

Quando il suo volto miracolosamente si accartoccia, tornano a galla i demoni e Axl sembra ancora, per un momento, quello di un tempo—anche perché il falsetto satanico gli riesce sempre alla grande—ma ha chiaramente perso per strada alcune delle sue armi più potenti. Slash invece sembra averle ancora intatte, tanto che i suoi assoli da headbanging sono sempre una hit innegabile. Certo, le sue braccia hanno acquisito un bel po' di adipe e il suo mento ha acquisito un altro mento, e quel magnetismo da mi-scopo-le-appena-maggiorenni-nel-backstage se n'è andato.

La durata dello show non ha aiutato granché: sarà blasfemo, ma i Guns, in tutto, hanno sette/otto mega hit, il resto, soprattutto in queste condizioni, è puro riempimento. Le hit le sappiamo tutte: “Live and Let Die” (un pezzo di Paul McCartney), “Knocking On Heaven’s Door (un pezzo di Bob Dylan),” “Paradise City,” “Sweet Child O’ Mine,” “November Rain,” “Estranged,” e "Welcome to the Jungle." A parte questo, hanno suonato un po' di altri pezzi ok, un paio di ballate regolari e qualche pezzo di mega-ruock scritto negli ultimi anni, a prova che, dallo scioglimento, nessuno di loro ha più scritto roba memorabile.

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Quando tocca alle hit, il vecchio ardore che li faceva esplodere sul palco, e con loro il pubblico, è ancora in qualche modo tangibile. Per il resto del tempo, però, calma piatta: un'approssimazione professionale, anche se blanda, di quella che una volta era la band più forte del pianeta. L'età arriva per tutti e ci priva del vigore e dell'estremismo, forzandoci ad adattarci a una realtà mediocre. Il problema è che i Guns non nascevano dalla mediocrità. Il loro genio evanescente era radicato in una potenza grezza, nella violenza, nel non-me-ne-frega-un-cazzo e nel potere sessuale. I timori dei comuni mortali, però, tornano a farsi sentire quando ti spacchi un piede saltando su un monitor. È come se la realtà volesse darti un segnale. Non puoi più tornare alla velocità stratosferica e a quell'adrenalina che ti muovevano da giovane. Quando la magia se ne va, se ne va. Chiedilo a Kobe o a James Murphy.

A un certo punto, Axl chiama sul palco l'amico Angus Young degli AC/DC. Qualche ora prima, era stato annunciato che Axl avrebbe rimpiazzato Brian Johnson, il frontman dell'altrettanto leggendaria band AC/DC, per alcune date del tour di quest'anno. Una sorta di trovata pubblicitaria per un'altra balena morente del rock, tanto che il cameo sa di marcio—non aiuta la t-shirt degli AC/DC indossata dal turnista che rimpiazza Steven Adler. In quel momento è chiaro a tutti che stiamo assistendo ad uno spettacolo tragico in cui gli Dei diventano mortali sotto ai nostri occhi: i loro capelli si ritirano, le loro pance si espandono e nemmeno il patto col Diavolo funziona più (funziona ancora bene soltanto per Rupert Murdoch).

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Tra fuochi d'artificio, pistolettate e teschi luminosi e ballerini vestiti in pelle e un cartone animato con gente che scopa a pecorina, quel tizio che ho incontrato al bar che indossava la maglia “Slut Whisperer.” #69 era al settimo cielo. Se fossi stato lì, tra il pubblico, al solo scopo di ricordarti l'epoca d'oro dei G&R, probabilmente saresti stato al settimo cielo anche tu. E questo perché i ricordi non sono come gli esseri umani: non mostrano segni d'invecchiamento. Se in quel contesto avessi chiuso gli occhi e immaginato di essere in camera tua, ancora ragazzino, che salti sul letto sulle note di "Paradise City", sono sicuro che l'effetto sarebbe stato figo.

Personalmente, sono cresciuto a Los Angeles e non mi sono mai goduto il periodo d'oro dei Guns. Ogni volta che ho percorso la Sunset Strip, però, tutto intorno a me era strutturato in modo da comunicarmi la decadenza dei grandi hard-rocker: gente con i pantaloni troppo stretti o le maglie troppo corte o semplicemente con troppi anni per rockeggiare, ubriaconi con la maglia dei Guns che strimpellavano chitarre rotte. La cosa buffa è che quella generazione ci ha creduto davvero molto forte, e noi adesso siamo qui a guardarli invecchiare senza avere tra le mani una reale alternativa a quella potenza.

Ed è con questo amaro in bocca che ho assistito allo show dei Guns'N'Roses. Sul palco, ma anche tra il pubblico, ho visto molti di questi vecchi rocker. In fin dei conti il concerto non è stato male, per niente. I Guns sono stati ok, il che vuol dire che non sono stati i Guns N' Roses. In un mondo ideale, Axl potrebbe fare la sua cosa per sempre. Ma non è così che vanno le cose.

Set List
1. Set List
2. It’s So Easy
3. Mr. Brownstone
4. Chinese Democracy
5. Welcome To The Jungle
6. Double Talkin’ Jive
7. Estranged
8. Live and Let Die
9. Rocket Queen
10. You Could Be Mine
11. Attitude (Misfits cover)
12. This I Love
13. Coma
14. Theme from The Godfather
15. Sweet Child O’ Mine
16. Better
17. Civil War
18. Whole Lotta Rosie (AC/DC cover)
19. Riff Raff (AC/DC cover)
20. Wish You Were Here (Pink Floyd cover, instrumental intro)
21. November Rain
22. Knockin’ on Heaven’s Door
23. Nightrain

Encore:
24. Patience
25. The Seeker (The Who cover)
26. Paradise City