Il video del ragazzino taiwanese che rompe un quadro dice un sacco di cose sull’umanità

Disclaimer: Stando alle prime informazioni divulgate dai gestori della mostra, il quadro danneggiato sembrava un Paolo Porpora da più di un milione di euro—è a questa prima notizia che si rifà questo articolo. Secondo notizie più recenti, il quadro sarebbe un Mario Nuzzi del più modesto valore di 30.000 euro.

A Taiwan un ragazzino di 12 anni ha bucato un quadro del valore stimato di più di un milione di euro, riuscendo in quella che è probabilmente l’azione contro l’arte più sfacciata di sempre. Fanculo l’arte! L’arte fa schifo.

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Anche se in questo periodo tutta l’attenzione mediatica è concentrata su Banksy e il suo Dismaland, è questo ragazzino taiwanese il vero nuovo re del mondo dell’arte. Perché guardatelo: si aggira tra le opere con una maglietta Puma, pantaloncini e una lattina che sembra di Fanta in mano—non gliene frega palesemente nulla. A un certo punto cerca di appoggiarsi a un muro che non c’è, inciampa e finisce dritto dritto dentro un capolavoro del Seicento napoletano.

Ovviamente si è trattato di un incidente, e il Paolo Porpora danneggiato—esposto a Taipei nell’ambito della mostra The Face of Leonardo: Images of a Genius—verrà affidato alle mani di esperti restauratori e rimesso perfettamente a nuovo. Il ragazzo non dovrà ripagare il quadro, dato che era assicurato. Insomma, non ci sarà nessuna reale conseguenza. La morale di questa storia perciò non può che essere: “È ok rompere opere d’arte nei musei.”

I media si sono concentrati sui danni riportati dal quadro, ignorando del tutto il resto della storia—compreso il momento di enorme imbarazzo e senso di colpa provato da un preadolescente, il terrore puro generato dalla consapevolezza di avere appena danneggiato un’opera d’arte da più di un milione di euro. Se anche voi da piccoli avete rotto qualcosa e vi siete sentiti in colpa forse potete capire cosa deve aver provato quel ragazzino—prendete il vostro senso di colpa e moltiplicatelo per un milione.

George Orwell non l’aveva predetto, ma uno dei lati positivi dell’onnipresenza di telecamere a circuito chiuso è la possibilità di osservare le emozioni sul volto delle persone. Guardate il video, andate oltre i fatti in sé e cercate di ignorarli: concentratevi invece sul momento in cui si vede chiaramente che il ragazzo capisce di aver fatto un casino.

Probabilmente nell’istante catturato nell’immagine qui sopra stava pensando una cosa tipo, “Forse se…faccio finta di niente…Nessuno…”

Quindi rimane fermo lì, cercando di capire se qualcuno l’ha visto—”Se me ne sto qui buono buono forse nessuno farà caso a me”—ma poi arriva il momento dell’accettazione—”Be’, se qualcuno me lo chiedesse direi che sì, sono stato io, ma di certo non sarò io il primo a dirlo.”

Alla fine, quando una dipendente del museo gli chiede se è stato lui a danneggiare quel quadro, lo si vede immobilizzarsi nel terrore, la mano in tasca, mentre gli adulti, personificazioni della realtà e della responsabilità, lo attaccano da ogni lato.

In questo breve video si ritrova una gamma estremamente ampia di sensazioni e comportamenti umani, tutti volti al tentativo di fuggire dal senso di colpa e dalle proprie responsabilità. Prima di danneggiare quel quadro, era solo un ragazzino. Subito dopo averlo fatto, è diventato un uomo—un uomo che sa cos’è il terrore.

Tutti noi abbiamo vissuto un momento di questo tipo. Magari ci è capitato di rompere un bicchiere di cristallo, un piatto del servizio buono o qualcosa del genere. È capitato anche a noi di trovarci lì e non sapere che fare, paralizzati dal senso di colpa. È così che tutti noi abbiamo imparato cosa vuol dire essere responsabili delle nostre azioni.

Per questo nel video del ragazzino che rompe un quadro del Seicento è racchiusa tutta la condizione umana—che si può riassumere così: distruggi qualcosa e fai finta di non averlo fatto. Del resto è proprio così che ci comportiamo di fronte alle guerre, all’immigrazione, alla deforestazione e al riscaldamento globale. Tutta la nostra civiltà si basa sul senso di colpa e sulla capacità di assorbirlo e dimenticarcene il più velocemente possibile.

Perciò questo ragazzino taiwanese ha tutta la mia solidarietà. Anch’io, se avessi danneggiato un quadro da un milione avrei fatto finta di niente. Mi sarei pisciato sotto dalla paura, ovvio, ma avrei anche cercato di sgusciare via senza farmi notare e senza finire nei casini. E sono certo che anche voi avreste fatto lo stesso. Perché tutti noi siamo quel ragazzino taiwanese, e quel ragazzino taiwanese è tutti noi.