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Perché i rapper americani non fanno concerti in Italia?

L’altro ieri Kendrick Lamar ha annunciato le date del suo tour europeo assieme a James Blake e, nonostante ci avessimo tutti sperato, non ci sarà nessun concerto in Italia. Il più vicino è a Francoforte, a circa sette ore di macchina da Milano. Non è la prima volta che i grandi rapper americani non ci considerano quando attraversano l’oceano, e non sarà certamente l’ultima. Quando si parla di rap internazionale da noi passano artisti piccoli o medi, ma per poter vedere un puntino lontano sul palco che assomiglia a Frank Ocean il minimo che dobbiamo fare è prendere un aereo.

Ma, in tre parole, perché questo accade? Perché i rapper americani non suonano in Italia? Lo abbiamo chiesto ad Alex Ravizza (Indipendente / Live Nation), Pietro Fuccio (DNA Concerti) e Giorgio Riccitelli (Radar Concerti).

NON ABBIAMO ABBASTANZA SOLDI DA OFFRIRE, SEMPLICEMENTE

Il motivo principale è semplice: i nostri promoter non hanno abbastanza soldi per permettersi di far suonare artisti rap di grosso calibro. Spiega Giorgio Riccitelli: “I concerti dei grandi rapper americani in Italia, salvo pochissime eccezioni, sono stati dei sanguinosi flop economici. I fee sono astronomici e fuori mercato per noi, soprattutto perché fino ad oggi ci hanno quasi tutti snobbato nei primi tour europei per poi arrivare qui quando ormai troppo grandi e costosi, quasi inaccessibili.” Giorgio parla a ragion veduta, dato che fu lui a organizzare l’unico concerto di Kendrick Lamar in Italia ai tempi di good kid, m.A.A.d. city: “Kendrick Lamar arrivò da noi per sbaglio quattro anni fa in una data unica ai Magazzini Generali a Milano, senza neppure riempirlo. Oggi per il fee che chiede non basterebbe il Forum, ovviamente non giustificato e folle come opzione.”

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Pietro Fuccio di DNA è d’accordo: “Per i rapper possiamo sperare in qualche festa privata di Gucci”, dice. “Gli artisti non hanno più dei fee o tantomeno li chiedono. Tu vai lì, fai un’offerta e loro possono rispondere di sì, di no o non rispondere proprio—e capita spesso che non ti rispondano. Non ho idea di quello che può prendere Kendrick Lamar, ma secondo me per pagarlo dovrebbe fare due o tre sold out al Forum di Assago. E un’offerta al Forum è trascurabile: Kendrick può farne cento di date simili, in Europa, e quindi preferisce farne dieci e tornare a casa ugualmente soddisfatto.”

Della stessa opinione è anche Alex Ravizza di Indipendente, che spiega: “Il mondo hip-hop americano è interessato ai soldi, che quindi sono una componente importante. Non si tende a costruire una carriera in un paese quanto a vedere in quali riesci a monetizzare di più e andare poi a colpirli. Molte volte gli americani ti chiedono i numeri che potresti fare, e se tu gli proponi una location da 3000 persone mentre in Germania potrebbero farne una da 6 o 7000, automaticamente non te lo puoi permettere. O cerchi di fare le pazzie, e quindi di arrivare alle offerte che girano in Europa, o lasci perdere. Vorrebbe dire mettere a rischio la propria attività.”

SIAMO RELATIVAMENTE TROPPO POCHI AD ASCOLTARE RAP AMERICANO

“L’hip-hop sta diventando mainstream solo negli ultimi anni, mentre in Francia e in Germania è molto forte”, spiega Alex di Indipendente, facendo notare una statistica che mostra la realtà della fandom nei confronti del rap americano in Italia: “Se guardi i dati di Kendrick su Facebook, in Italia ha 100.000 fan sul totale. In Francia 290.000, in Germania 250.000. Ma la Danimarca ne ha 80.000 con 5 milioni di abitanti. Noi ne abbiamo 100.000 su 60 milioni di abitanti, per farti un’idea.”

Kanye West dal vivo a Glastonbury.

NON SONO SOLO I RAPPER A NON VENIRE IN ITALIA

Kendrick arriverà in Europa assieme a James Blake, ed è DNA Concerti—l’agenzia di Pietro—a gestire la sua promozione live per l’Italia. Secondo Pietro, le dinamiche che portano un Kendrick Lamar a snobbare l’Italia si ripetono identiche anche per artisti di altri generi: “Blake ha fatto due concerti in Italia da quando esiste, uno nel 2013 prima che uscisse il suo disco e uno l’anno scorso al Siren, e basta”, dice. “Credo di avergli fatto ventinove offerte, negli anni. E lui non ha mai avuto tempo di venire in Italia. Questo vale anche per altri grandi del mio giro: The National, Bon Iver, Grizzly Bear. Moltissimi artisti anche non di quell’area musicale in Italia non ci vengono, o ci vengono al secondo o terzo giro europeo quando gli altri paesi non gli vanno più appresso. Si tratta di uno sganciamento tra valore internazionale e valore italiano.”

PER UN PROMOTER HA PIÙ SENSO CONCENTRARSI SUGLI ARTISTI ITALIANI

“In Italia quelli che vendono i biglietti sono gli italiani”, spiega Pietro Fuccio di DNA. “Il nostro mercato è enorme, ma è tarato al 70% su artisti che non suonano fuori dai nostri confini. Io, promoter, che posso fare tanti soldi con Calcutta, perché dovrei andare a rischiare di perdere 500.000 euro con Kendrick Lamar? In questo momento i Thegiornalisti e Coez fanno i palazzetti, ci sta che il mio ragionamento sia ‘Kendrick lasciamolo agli americani o agli inglesi’.”

L’ASSENZA DI FESTIVAL IN ITALIA È PARTE DEL PROBLEMA

L’Italia non è un paese per festival, storicamente. I motivi sono molti: amministrazioni disinteressate allo sviluppo di progetti basati sulla musica, assenza di soldi, ritardi culturali e mediatici. Ma l’assenza di festival di caratura internazionale non significa solo doversene andare dall’Italia ogni estate per vedere determinati artisti. Significa anche partire con un gap considerevole nei confronti degli altri paesi europei quando si tratta di singoli concerti.

Pietro Fuccio spiega: “In quasi tutto il mondo ci sono cinque o sei festival di quelli grossi, da settanta, ottantamila persona che, quando gira un Kendrick Lamar, iniziano a fare aste nell’ordine dei milioni di euro. Noi siamo rimasti tagliati fuori dai tour internazionali perché non c’è la stessa occasione. Non c’è un vero motivo per non fare il forum di Assago, ma tanto poi hai il Coachella che ti offre milioni di euro qualche mese dopo, e io promoter italiano che ti offro, sparo, centomila euro finisco nello spam.”

Alex Ravizza mette anche l’accento sul fatto che la necessità di attirare pubblici enormi e generare grandi cifre è fondamentale: “In Italia i grandi concerti vanno tutti sold out: guarda i Coldplay, i Rolling Stones, Vasco. Secondo me in questo momento si guarda ai grandi gruppi storici per cui la gente è disposta a pagare anche un biglietto molto alto, mentre si fa molta fatica a vendere biglietti molto economici per band più piccole. L’assenza di festival internazionali è data anche dall’assenza di domanda. Non abbiamo quella tradizione, e i tentativi finora non hanno dato grandi risultati. Però confidiamo nella nuova generazione tra i 15 e i 30 anni, lo speriamo tutti.”

C’È SPERANZA PER IL FUTURO, ED È ANCHE MERITO DEL RAP ITALIANO

Giorgio Riccitelli crede che lo stato attuale delle cose lasci degli spiragli di miglioramento: “Noi come sempre ci arriviamo tardi, ma piano piano ci arriviamo, grazie soprattutto ad una scena italiana molto forte, che prende spunto moltissimo dagli originali americani e che sta spopolando tra i nostri teenager, e che fa appunto da traino anche per gli internazionali. Il rap è un fenomeno nuovo e molto recente, che sono sicuro porterà i suoi frutti nel 2018, dove senza dubbio vedremo tanti nomi nuovi dell’hip-hop internazionale pronti a fare il salto anche da noi. Ed ecco che mentre in un recente passato l’osannato D’Angelo fu un flop, ora Anderson .Paak fa sold out, come anche i Run The Jewels organizzati da me non meno di due anni fa che andarono sotto le aspettative.”

Alex Ravizza, che ha organizzato il concerto di Freddie Gibbs a Linecheck del prossimo novembre, è della stessa opinione: “Secondo me il fatto che le nuove generazioni siano abituate a studiare inglese molto presto aiuta. Comunque il rap italiano domina le classifiche, quindi non vedo perché nel giro di qualche anno anche quello americano non possa farlo.”

Morale, ragazzi, per il momento l’unica cosa che possiamo fare per guardarci dal vivo Kendrick Lamar è prendere un aereo o salire su una macchina ed espatriare. Per il momento quello che possiamo fare è continuare ad ascoltarlo, magari farlo arrivare in classifica e far sì che se ne accorga un pubblico veramente ampio, e quindi i media generalisti comincino a parlarne. Le piattaforme ci sono, e siamo nel momento storico in cui il rap è alla sua maggior espansione a livello internazionale: come dice Giorgio Riccitelli, “Tanti nuovi artisti hip hop internazionali stanno per arrivare, basta solo un attimo di pazienza in più.”

PS: nei prossimi mesi ci saranno un po’ di bei concerti rap, andare a questi può fare solo bene sia a voi che allo stato del rap italiano. Da qua ad aprile passeranno da noi i De La Soul, Bryson Tiller e SZA, Loyle Carner, Freddie Gibbs, i $uicideboy$, Ghostpoet e Rejjie Snow.

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