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Musica

Salvateci dall'epidemia degli U2

Come ogni orribile miasma, anche il germe degli U2 si è riprodotto, e non si è ancora trovato un antidoto.

Vi renderete conto che fa già abbastanza male vedere gli U2 costantemente osannati come icone del rock mondiale e voci di una generazione, anche se è possibile che, nel panorama musicale odierno, esista di ben peggio. Ciononostante, sono portata a credere che il "peggio" sia una, più o meno diretta, conseguenza dell'apporto morale-musicale-filantropico di Bono e dei suoi orribili seguaci.

Innanzitutto ci tengo a chiarire due punti: gli U2 sono coloro i quali hanno sigillato col sangue la svendita pop dell'universo della chitarra distorta: se sento un’altra persona dire che ascoltare loro equivale all’essere puristi del rock, penso che potrei murarle le orecchie e mandarla a pascolare in Irlanda per il resto della sua vita. E soprattutto, la loro carriera è fondata anche su procedimenti marketing del versante umanitario del loro frontman che mi viene da pensare siano solo strumentali a mettere in secondo piano la musica: se Bono non si crogiolasse nella sua immagine di Madre Teresa vestita da Stevie Wonder, la loro discografia probabilmente verrebbe vista per quello che è: l’equivalente “rock” di un catalogo dell’Ikea.

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Ancora più irritante però è vedere altri musicisti prendere le loro canzoni, già belle impacchettate e ampiamente collaudate sul mercato, e rifarle, finendo nel 90% dei casi per trasformarle da pezzi banali in tre snervanti minuti di lamenti funebri, convinti di dargli un tocco personale aggiungendo il loro paio di puttanate pseudo artistiche.

Qualche giorno fa, mentre naufragavo nel mare di video di corgi, minchiate e notizie musicali che è la mia home di Facebook, mi sono trovata davanti questo video.

Ora, posso concedervi che quando eravate ancora giovani fringuelli melodrammatici questa fosse la colonna sonora alle missioni di stalking che voi chiamavate corteggiamento. Posso anche capire che questa canzone rievochi i momenti clou delle vostre burrasche ormonali. Posso lasciar correre che la ascoltiate mentre piangete in un angolo, dopo essere state/i scaricate/i dal/la vostro/a fidanzato/a immaginario. Ma quando ho fatto partire il video e Twin Shadow ha attaccato con quel beat che perfino Stephen Hawking con uno xilofono giocattolo saprebbe fare meglio, introdotto dal titolo in acronimo per la gioia di tutta hipsterlandia, un raptus di Tourette si è impossessato di me.

Non che l’originale degli U2 brilli per varietà, ma questa versione è più piatta dell’encefalogramma di Nicole Minetti. A tutto questo sommiamo la voce di Twin Shadow che vorrebbe risultare tormentata e sofferente, ma che finisce semplicemente per arrancare tra uno spasmo intestinale e l’altro, rattoppata alla bell’e meglio con qualche effetto piazzato come un terno al lotto. Seriamente, Twin, a me a volte sei anche piaciuto, ma questa cover è una gran bella merda.

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Questo però è solo il primo di tutta una serie di esempi, YouTube è tappezzato di cover degli U2. Dozzine di artisti hanno avuto la geniale idea di rifare “One”, canzone che già in versione originale ti fa venire voglia di scavarti una fossa a mani nude dopo aver sentito due secondi dei latrati di Bono. Ma poi arriva Mary J Blige e pensa: “dai, già Bono fa cagare di suo, perché non ci mettiamo in coppia e smaroniamo tutta la popolazione mondiale”?

Bene, siccome il mercato discografico è regolato da gente con la stessa finezza musicale di Sloth, ecco subito assecondata questa brillante intuizione. Godetevi questo fantastico video, starring Bono, che non ha ancora capito che quegli occhialetti del cazzo non lo rendono automaticamente una rockstar, e Mary J Blige (che al momento del video vogliamo credere che facesse pesante uso di psicofarmaci).

Ma Elisa ha sentito della grande lagna collettiva e si è sentita subito in dovere di dare il suo indispensabile contributo. D’altronde sappiamo che le frignate attirano Elisa peggio di Marco Carta con il suo seguito di microcefali e, trovandosi in perfetta sintonia con il livello becero della canzone, decide di lasciarla così com’è: uno strazio. Si dovrebbe proporre un sondaggio a questo punto: chi preferite, Bono il responsabile del male estremo o Elisa, che non ha fatto niente per fermare il declino, anzi, ha deciso di assecondarlo? Complimenti ragazzi, teniamo alto l’onore.

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A questo punto vi sarà abbastanza chiaro che la discografia degli U2 è la pozza di fango in cui sguazzano i pariah del panorama musicale, le barzellette viventi e gente che più genericamente ha detto NO alla produzione musicale, ma sì alla riproduzione fecale. Non possiamo quindi passarla liscia senza menzionare i P.O.D. e la loro rivisitazione di “Bullet Blue Sky”, o gli Hanson, che hanno pensato bene di ficcarsi la zappa nei piedi rifilandoci una cover di “In A Little While”, pezzo che mi faceva accapponare la pelle pure quando non capivo una beata minchia di musica. E per lasciare il meglio al finale, anche il nostro orgoglio nazionale Gigi D'AG ha pensato di storpiare un po’ “New Year’s Day”.

[N.B.: alcune (poche) cover degli U2 si salvano, non generalizziamo, ma non è certo merito di Bono: è chiaro che Johnny Cash potrebbe anche cantare "L'elefante Gay" e uscirne vincitore. Stessa cosa vale per Joan Baez e, perché no, anche la più recente “Love is Blindness” di Jack White riesce a riscattare l'originale.]

C’è pure una cover di “Ultraviolet” fatta da quei baldi mormoni dei The Killers, altro gruppo che farebbe un favore all’umanità intera se si rendesse conto che non sta recando alcun contributo utile alla musica contemporanea e si levasse definitivamente dalla circolazione, risparmiandoci l’ennesima ballatona rock da catena di montaggio.

I Killers sono il caso esemplare di tutta una serie di artistelli (per usare un eufemismo) che ha trovato il successo facendo rock posticcio e di facile consumo, agghiacciante effetto collaterale dell’opera discografica di Bono e compagine. Primi classificati: Coldplay! Definiti da un mio compagno del liceo “la versione fighetta degli U2”, come se i quattro irlandesi fossero l’apoteosi del grunge. Basti pensare a gran parte della discografia di Chris Martin: quattro accordi pestati sul pianoforte in sequenza melodica, testi ripetitivi su amori mancati ed elementari contrasti interiori e falsetti occasionali per segnalare l’apice del pathos (e dal vivo si narra che Martin canni pure quelli).

Seguono a ruota gli Snow Patrol, compatrioti dei nostri gaelici amici—ci dev’essere qualcosa nell’aria irlandese che obnubila i sensi e la capacità di riflettere sui propri testi—e, più in generale, il 90 percento della colonna sonora di Grey’s Anatomy. Una successione anonima di gruppetti che hanno fatto brillare gli occhi alle adolescenti di tutto il mondo occidentale, facendo immeritati profitti, per poi cadere nell’oblio senza aver portato a termine alcuna opera che possa dirsi musicalmente costruttiva.

Non la passano liscia nemmeno i Muse, forse meno smielati nella scelta dei testi, ma sicuramente tanto pretenziosi quanto gli U2 nell’autoincoronarsi paladini del rock moderno. E il trend dilaga fino a coinvolgere capillarmente anche la sfera dello pseudo indie. Pensiamo a Kodaline, The Passengers e, dulcis in fundo, i Bastille. Sull’indie folk, termine ormai abusato fino a deformarne il suo stesso significato, voglio sorvolare, richiederebbe un intero capitolo a parte.

Insomma, la morale che gli artisti contemporanei dovrebbero trarre da questa rassegna di monnezze nemmeno troppo riciclabili è la seguente: prendete atto della mediocrità assoluta degli U2 e di quanto sia ingiustificata la loro reputazione musicale, piantatela di metterli sul podio di ciò che voi volete chiamare rock, e abbiate sufficiente amor proprio da non autoflagellarvi con rivisitazioni di pezzi che, già in partenza, non meritano tutta la notorietà di cui godono. Ma soprattutto, piantatela di smaronarci con queste cover di merda.

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