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Musica

La rivoluzione elettronica degli Stupid Set

Gli Stupid Set sono un tesoro nascosto della no wave italiana. Abbiamo intervistato il loro fondatore.

Ufficialmente attivi tra 1980 e 1983, gli Stupid Set sono stati in assoluto il più grande gruppo del primo post-punk italiano, e uno dei migliori in Europa – punto. È così, credetemi. Se nel corso degli anni non si sono guadagnati la stessa fama di altri colleghi del tempo, è solo per meri motivi di circostanza: in tutta la loro carriera non hanno mai pubblicato un LP vero e proprio, ma solo una manciata di EP e 12” poi raccolti nell'antologia You Guys Don't Exist, che però è uscita solo nel 2006. Adesso, la Spittle pubblica per la prima volta quello che secondo gli stessi autori è il vero capolavoro della band: Soul of Trade, album originariamente registrato tra 1980 e 1981 e per trentacinque anni rimasto inedito. È insomma quello che si dice un evento, e tanto mi è bastato per contattare Gianpietro Huber, che degli Stupid Set fu fondatore, per porgli la consueta raffica di domande e curiosità assortite.

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(Quello che con tutta probabilità è il mio pezzo preferito degli Stupid Set, Rangoon Patrol del 1981. Se volete lo potete anche ballare.)

Prima però un po' di storia: gli Stupid Set nascono a Bologna a fine 70 e agli inizi sono fondamentalmente una costola dei più famosi Gaznevada: da lì infatti, oltre allo stesso Huber, viene anche Giorgio Lavagna. Entrambi sono tra gli occupanti della Traumfabrik, la casa occupata di via Clavature che fu uno degli epicentri creativi del '77 bolognese, e nelle cui stanze si conobbero tra l'altro personaggi come Filippo Scozzari e Andrea Pazienza. In generale, gli Stupid Set mantennero sempre un certo legame con la colonna bolognese del mensile Frigidaire, e finirono anche per comporre colonne sonore per il giro Valvoline, il collettivo di fumettisti formato da Igort, Giorgio Carpinteri, Lorenzo Mattotti, Jerry Kramsky, Marcello Jori e Daniele Brolli.

Assieme alla coppia Huber-Lavagna, gli Stupid Set vedevano in formazione Paolo Bazzani, Fabio Sabbioni e una drum machine Roland. Col tempo, Sabbioni verrà sostituito da Umberto Lazzari e il gruppo collaborerà anche con Enrico Serotti, proveniente da un'altra grandissima band del post-punk bolognese, i Confusional Quartet.

La musica degli Stupid Set era uno strano – e a tratti spastico – connubio di concettosità residentsiane, naiveté avantpop, e disco-music “intellettuale”. L'unico plausibile paragone nell'Italia dell'epoca, erano le punte più avanzate del Great Complotto di Pordenone (il cui iV3SCR è stato anch'esso appena ristampato, sempre da Spittle). Furono anche tra i primi gruppi multimediali della new wave tricolore: sin da subito trafficarono con video e astrusi concept extramusicali, intrattennero un rapporto speciale coi Grabinsky (la coppia di videomaker formata da Renato De Maria ed Emanuele Angiuli) e il loro testamento spirituale fu una performance audio-video chiamata Psycodisco, presentata nel 1982 e anche quella rimasta per molto tempo inedita. Si sciolsero infine perché scaricati dall'Italian Records, l'etichetta di riferimento della scena bolognese ormai convertita all'italodisco, e perché a quel punto il picco di creatività del dopo-77 si era spento nel buco nero del riflusso, del “ritorno al privato” e dell'eroina dilagante.

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E adesso veniamo all'intervista, non prima però di aver riesumato la cover dei Doors con cui cominciò la vicenda del gruppo:

(Brano del 1980, video del 1981. Inutile dire che la versione degli Stupid Set è infinitamente meglio dell'originale datato 1968).

Ciao Gianpietro. Per cominciare, mi racconti brevemente il concept che sta alla base di Soul of Trade?
Fu un progetto che nacque nell'estate del 1980, mentre ero ricoverato in ospedale. Mi ero portato da leggere La rivoluzione elettronica di William Burroughs – un libro in cui lui descrive alcune tecniche di scrittura basate sulla registrazione e manipolazione di nastri – e quindi, visto che in quel periodo avevo una certa ossessione per la televisione, mi venne l'idea di fare una serie di jingle pubblicitari inframezzati da nastri manipolati allo scopo di produrre dei veri e propri effetti comportamentali sull'ascoltatore. Ci lavorammo in studio tra 1980 e 1981 e per me si trattava del nostro personale capolavoro. Ma poi arrivarono i contrattempi: il missaggio dei brani non ci soddisfaceva, i rapporti con l'etichetta si deteriorarono, e nel frattempo avevamo cominciato a lavorare su Psycodisco. Insomma, per farla breve il disco non è mai uscito… Fino a oggi, si intende.

Sbaglio se dico che era un'operazione dal sapore residentsiano?
Assolutamente no, i Residents sono sempre stati una nostra grandissima influenza. Ci piaceva quel tipo di “revisionismo rock'n'roll” che era assieme molto intellettuale ma anche demenziale, volutamente naif… Per me in particolare, un disco come The Third Reich'n Roll fu una rivelazione.

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C'è anche da dire che la Bologna di quegli anni sembrava tradire una certa affinità con alcune realtà del post-punk americano. A parte la San Francisco dei Residents, mi vengono in mente i legami con la no wave newyorchese…
Devo dire che tra la fine dei 70 e l'inizio degli 80, Bologna dimostrò una certa acutezza di vedute rispetto a determinate scene che si muovevano fuori dall'Italia. Era una città molto aggiornata, e dal punto di vista della sensibilità artistica era senz'altro all'altezza di altre piazze teoricamente meglio attrezzate. Io per carattere sono un tipo che tende a farsi un po' i fatti suoi, ma di sicuro ci furono contatti con gruppi come i Tuxedomoon, o anche personaggi come Arto Lindsay che tra l'altro produsse l'esordio degli Hi-Fi Bros [altra formazione bolognese “imparentata” con gli Stupid Set, ndr]…

In effetti, tempo fa intervistai Arto Lindsay e lui per primo mi confermò l'interesse del giro No New York per l'Italia e Bologna in particolare. Il motivo di questo interesse, stando sempre a quanto dice Arto, erano fenomeni come l'Autonomia e il Movimento del 77, tutta roba di cui avevano letto su riviste come Semiotext(e). A questo punto però non posso che chiederti quanto quell'atmosfera abbia inciso sulla scena artistica e musicale che hai frequentato in quegli anni…
Credo che la circolazione intellettuale che in quel periodo attraversò Bologna, sia stata veramente molto importante. Di sicuro riguardava non solo la musica ma anche la politica, e in questo senso il 77 fu illuminante. Certo, a ripensarci adesso molti di quei fenomeni erano casuali, confusi… ma erano comunque idee capaci di attirare persone che con Bologna non avevano nulla a che fare, e che magari vivevano in posti molto più… “avanzati”, diciamo. In qualche modo, ci trovavamo al centro di una scena.

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Io penso sempre che la storiografia ufficiale tende a considerare il 77 come la fine di quel decennio nato con le proteste del 68, mentre invece fu soprattutto l'inizio di qualcos'altro, non trovi? In un'altra intervista che feci a Tanino Liberatore, mi disse come per lui tutto si concentrò negli anni 1977-1983: ora, non so se sei d'accordo sulla scansione temporale ma…
È vero, tra la fine dei 70 e il 1982-1983 circa, nacquero un sacco di cose, idee, teorie, situazioni… Ma bisogna anche dire che queste istanze furono bellamente disattese subito dopo. Io per dire avevo preso molto sul serio concetti come il “rifiuto del lavoro” e tutte le parole d'ordine nate in scia al 77, e se vuoi fui anche molto ingenuo: perché a un certo punto mi trovai che non c'era stato alcun cambio di paradigma e anzi, molti di noi erano stati infine fagocitati da processi che si erano imposti nonostante quelle parole d'ordine. Per me gli 80 furono anni di grande delusione non solo intellettuale ma proprio esistenziale: da una situazione che sembrava promettere tantissimo, scoprimmo che in mano non ci era rimasto niente. Se poi penso ai miei amici che hanno provato ad “aggredire il sistema” e penetrare lo showbiz, mi viene da ridere: guarda che fine hanno fatto i Gaznevada…

Non ti piacque la loro svolta italodisco?
Mah, credo che a un certo punto divennero la parodia di loro stessi. Anche noi facemmo dei pezzi più dance che tuttora non mi convincono. E la stessa Italian Records, da un certo punto in poi optò per una politica risolutamente più “commerciale”. Un'altra cosa che devi tenere a mente, è che quelli tra '77 e '83 furono anni di grande creatività perché ci trovammo sulla cresta di un cambiamento epocale. Dal punto di vista musicale, erano gli anni in cui stava passando dalla fase elettrica a quella elettronica, ma era ancora un'elettronica ingenua, infantile… E noi ci stupivamo tantissimo delle possibilità che questi nuovi strumenti ci fornivano. Passavamo letteralmente ore a meravigliarci di cose come una semplicissima drum machine. O anche la fotocopiatrice!

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(Psycodisco, il progetto multimediale del 1982 che vale un po' come testamento spirituale degli Stupid Set. Notare la computer graphic fatta col Commodore VIC 20.)

Se parli di fotocopiatrici mi fai venire in mente Stefano Tamburini e Ranxerox…
Be', ovvio!

…Che credo che tu abbia conosciuto bene, no? Perché sei stato tra i fondatori della Traumfabrik, la casa occupata che fece un po' da serbatoio per l'ala bolognese di Cannibale e Frigidaire.
In realtà la Traumfabrik la occupammo io e Filippo Scozzari nel 76. Tamburini veniva a trovarci per portarci Cannibale, che faceva giù a Roma assieme a Massimo Mattioli [nessuna parentela col sottoscritto, ndr]. Però furono sempre due cose distinte…

Tu l'hai letto Prima pagare poi ricordare, il libro che Scozzari ha dedicato a tutta l'esperienza Traumfabrik/Cannibale/Frigidaire?
Certo che sì! Tra l'altro Filippo in quel libro mi massacra, ma comunque meno di altri, quindi non posso che essergli grato [ride].

Mettiamola così: è il suo stile.
Ci considera un po' tutti degli imbecilli, a noi della Traumfabrik – il che probabilmente era anche vero, da un certo punto di vista. Ma sai, Filippo aveva quell'opinione all'epoca e in tutti questi anni non l'ha mai cambiata, quindi che dire? È stato semplicemente coerente con se stesso.

Eppure il ritratto che viene della Traumfabrik ha il suo fascino.
Guarda, la descrizione che ne dà Filippo è molto personale ma a conti fatti realistica… Eravamo effettivamente un gruppo di scoppiati, eh? Ma anche molto creativi, devo dire. Io mi sono divertito un sacco, c'era un forte spirito di gruppo, un'elettricità data dal fare le cose assieme, cose che poi si sono un po' perse. Certo, ci furono anche episodi drammatici…

Questa cosa del fare le cose assieme… Mi fai venire in mente altri progetti targati Stupid Set che ancora una volta si collegano a Frigidaire e tutto quel giro lì: Hear the Rumble/Numble Rumble, per esempio.
Numble Rumble fu concepito come colonna sonora di un fumetto che Giorgio Carpinteri e Marcello Jori avevano pubblicato su Frigidaire nel 1982, è vero. Nello stesso disco c'è anche Enrico Serotti dei Confusional Quartet… Fu un esperimento interessante ma che non considero molto riuscito.

L'altro esperimento rimasto famoso è quello di Heart of State del 1981, quando “coverizzaste” la telefonata con cui le Brigate Rosse annunciavano la condanna a morte di Aldo Moro…
Altro esperimento riuscito a metà. Quella telefonata era stata pubblicata da L'Espresso su un disco allegato al settimanale, e per noi era un fatto allucinante, no? Però in pochissimi compresero l'operazione e un sacco di gente ci diede contro. In più, il produttore si cagò sotto e tenne l'audio della telefonata bassissimo nel mix finale… Credimi, il nostro capolavoro resta Soul of Trade, è quello il manifesto degli Stupid Set.

Che però esce 35 anni dopo…
Diciamo che abbiamo preso alla lettera la teoria dell'oscurità dei Residents, in cui viene stabilito che i dischi vanno pubblicati solo quando gli autori se ne dimenticano. Sono passati 35 anni e… be', più dimenticati di così!

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