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Recensione: Death From Above – Outrage! Is Now

Lo so che non è mai bello ammettere di essersi persi per strada una band, ma ero davvero convinto che i Death From Above (ex Death From Above 1979) si fossero sciolti attorno al 2007, in coincidenza con la fine della popolarità del “rock pesante” che tenne banco per circa un lustro dopo l’uscita di Songs for the Deaf. E in effetti uno scioglimento c’è stato, nel 2006: ma c’è stata anche una reunion nel 2011, in occasione del Coachella di quell’anno, e da allora il duo canadese ha sfornato un altro album e un Live at Third Man. Ora è il momento di Outrage! Is Now, un disco fastidiosamente mediocre per un gruppo che non riesco bene a capire come faccia ad avere un pubblico.

I Death From Above infatti sono dei consumati professionisti della musica da ormai oltre quindici anni, nel corso dei quali critica e pubblico sono passati dal vederli come una intrigante curiosità a trattarli come un gadget esageratissimo che un tuo amico prende a indossare; tu decidi di fargli i complimenti, per una questione di autostima, nonostante tu sappia che tra qualche mese sarà molto imbarazzante. Ma è del tutto inutile farglielo notare adesso, deve arrivarci da solo. Quando sarà il momento, verrà da te e ti dirà: “Perché non mi hai mai detto che stavo ascoltando dei Queens of the Stone Age di quinta mano?” e tu gli darai una pacca sulla spalla e dirai: “Bentornato, amico”. Sono il panama rosa dell’heavy rock.

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Il disco è perlopiù composto di polpette ruock ultracompresse fatte per essere ascoltate a volume altissimo; con l’eccezione della traccia di apertura “Nomad”, il citazionismo zeppeliniano è tenuto a livelli sorprendentemente molto bassi, sostituito da una palese ripresa dello stile Homme sia dal punto di vista vocale che da quello dei riff, alternata a soluzioni più vicine a ibridi rock/elettronici, come se un imitatore di Jack White stesse jammando con degli imitatori dei Nine Inch Nails. Il punto più basso dell’album è rappresentato dalla orrenda “Freeze Me”, un incomprensibile incubo punktronico che sfoggia un riff degno dell’EDM più zarra e stereotipata. Vorrei tanto poter dire qualcosa di positivo almeno sui testi, ma “Outrage! Is Now” e “Never Swim Alone” riescono nella difficile impresa di superare “Infinite Content” degli Arcade Fire in insulsaggine e mancanza di rispetto per l’intelligenza del pubblico—anche loro rientrati nelle fitte schiere di artisti che nel 2017 cercano di prendere una posizione politica senza avere davvero nulla da dire.

Non è tutto da buttare, soprattutto se ascoltiamo l’album con le orecchie di qualcuno che non cerca molto di più che un po’ di rock carico, tamarro, con una indefinibile patina moderna e una buona dose di melodia. “Holy Books”, la traccia di chiusura, è un esempio di come i DFA sarebbero in grado di suonare questo genere di cose. Ma con tutta la musica incredibile che potete trovare in cinque minuti su internet, Outrage! Is Now è uno spreco di neuroni.

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