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Recensione: Mitski – Be The Cowboy

Mi viene difficile pensare che non abbiate mai ascoltato Mitski se avete cliccato su questo articolo, ma nel caso prima di continuare a leggere vi farei sentire “Your Best American Girl”. È il pezzo che l’ha resa quella che è oggi, cioè un’artista bagnata delle luci dei media musicali statunitensi. Era un brano semplicissimo: un’acustica, un glorioso ritornello iper-distorto, un testo tanto strappalacrime quanto profondo. Mitski provava a ributtarsi su un amore fallito, conscia di stare facendo una cazzata, appesantita dall’idea che la sua non-americanità (una madre giapponese, un’infanzia nomadica che ha generato in lei un costante senso di perdita) avesse giocato il ruolo fondamentale nel disfacimento della relazione:

“A tua madre non piacerebbe come mia madre mi ha cresciuta,
Ma a me piace, credo mi piaccia.
E tu sei il perfetto ragazzo americano,
In fondo mi è venuto naturale provare a essere la tua perfetta ragazza americana.”

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Il video era altrettanto forte. Mitski scambiava sguardi con un modello figaccione che però invece di limonare lei si metteva a limonare un’altra modella figacciona. Mitski, tutta acchittata, invece di disperarsi reagiva limonando la sua stessa mano: un’inaspettata rappresentazione di quella voglia di accettarsi-per-come-si-è che attraversava l’intero album da cui il pezzo era tratto. Si chiamava Puberty 2 per ironizzare sull’acutezza dei sentimenti che raccontava, tutti intorcigliati attorno a un senso di costante fallimento, stasi e ricaduta in errori passati.

I momenti migliori di Puberty 2 erano quelli in cui Mitski riusciva a riconoscere l’esistenza del mondo che conteneva i suoi sentimenti. “Your Best American Girl”, ovviamente, ma anche “My Body’s Made of Crushed Little Stars” con il suo liberatorio grido granuloso in cui si inveravano paura di morire e squattrinaggio millennial: “Voglio vedere il mondo / Ma non so come pagarmi l’affitto / Ti va di uccidermi, Gerusalemme?” Questo contesto, questo oltre, in Be The Cowboy scompare completamente. Per Mitski esiste solo Mitski, e ciò che fa provare sentimenti a Mitski.

Al che uno dice, lo fa per esplorare i propri sentimenti, esorcizzare i propri difetti e trovare una sorta di pace. E invece. A rendere Be The Cowboy un grande album è il senso di non-risoluzione che suggerisce man mano che si dipana e arriva come un ceffone quando finisce “Two Slow Dancers” e non resta niente se non l’immagine di due persone invecchiate che ripensano a un ballo del liceo, e si dicono “A pensare che saremmo potuti restare gli stessi!”, e sotto un pianoforte e degli archi grevi. La desolazione.

Un po’ come in Puberty 2, la musica che accompagna la voce e le parole di Mitski non è propriamente memorabile. Le chitarre accettano di essere perlopiù scenografie, trasformandosi in oggetti di scena con parsimonia. Attorno a loro entrano ogni tanto in scena archi pacchiani ed elettronica un po’ rocciosa e un po’ liquido-nostalgica, ma gli occhi del pubblico sono tutti sull’attrice protagonista, illuminata dai riflettori mentre butta fuori col canto tutti i suoi desideri irrealizzati e le sue cazzo-di-paure.

Innanzitutto, Mitski vuole essere baciata. Vuole un bacio come un rock, non c’è nessuno a poterle mettere le labbra addosso. Intanto il rock lo fa lo stesso, nel ballo disco di “Nobody”, schitarrando la sua insoddisfazione e i suoi fallimenti. In “Lonesome Love” si fa schifo perché considera una relazione una gara ma gioca lo stesso e, prendendo un taxi il mattino dopo, si fa ancora più schifo. In “A Pearl” si sente come Smeagol del Signore degli Anelli, giocherellando con la perla della sua malattia, conscia di stare facendo male a chi potrebbe farle bene. “Scusa, non toccarmi, non voglio / Non è che non voglio te”.

Dopo aver immaginato matrimoni stantii a cui aggrapparsi, aver giocato con la sua solitudine, Mitski crolla definitivamente nella splendida “Blue Light”. “C’è qualcuno che mi può baciare? Sto impazzendo / Cammino nuda, per casa / Argentea, la notte”. Sotto, un rock impacchianito da un assurdo cowbell mette quasi a disagio: se non fosse che dopo 30 secondi la musica si rende conto di potersi disgregare, e quello fa. Si spegne in un muro di suono, affievolisce fino a morire, e da un taglio che sembra una bocca esce un “do-do-do” dolcemente delirante.

Be The Cowboy è uscito il 17 agosto per Dead Oceans.

Ascolta Be The Cowboy su Spotify:

Elia è su Instagram: @lvslei

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