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XXXTentacion ci ha trollato tutti?

? comincia, come il suo predecessore 17, con una breve traccia parlata in cui X ci racconta un pochetto quello che stiamo per sentire. Parla di “lealtà nei confronti di se stesso” e chiede a chi non apprezza “il suono alternativo” di approcciarsi all’album “con la mente aperta”. Prima di salutarci e cominciare realmente a cantare, afferma lui stesso l’aspetto contraddittorio della sua musica: “È un album in cui puoi trovare conforto, ma può anche essere molto sconfortante”.

Ecco, “il suono alternativo”. Essere alternativi è una fissazione che, a un certo punto della vita, quasi tutti gli esseri umani si fanno crescere dentro. Soprattutto quando si è ragazzini si vuole andare controcorrente, provare emozioni forti, fare incazzare chi si percepisce come parte della massa informe da schifare al grido di “non saremo mai come loro”.

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X è diventato famoso proprio in quanto, per un breve periodo, ha incarnato perfettamente l’idea di “alternativo”. Il SoundCloud rap, quella deriva grezza, greve ed emotiva del canone rap di cui X è stato uno dei principali esponenti, è stata letta come controparte DIY del genere nel suo momento storico di maggior splendore mediatico. Ma se un tempo l’alternativa aveva tempo e spazio per proliferare e solidificarsi prima di ritrovarsi così grossa e influente da diventare lei stessa la norma, oggi non ha più né l’uno né l’altro. E rendersi conto di questo fatto può cambiare la carriera di un artista nel lungo termine.

Lil Pump fa “Gucci Gang”, entra nella testa degli adolescenti del mondo intero e nel giro di qualche mese fa i milioni senza aver cambiato di una virgola la formula che lo ha fatto sbancare alla lotteria della fama. X fa “Look at Me!”, entra nella testa degli adolescenti del mondo intero e nel giro di qualche mese fa i milioni – ma capisce che il modo migliore per diventare ancora più famoso e fare ancora più milioni non è continuare a ripetersi, ma trovare un modo per continuare a incarnare l’idea di alternativa. Era questa già l’idea dietro al suo scorso progetto, 17, un album che avevo descritto così:

“Musicalmente parlando, è un prodotto della contemporaneità. È all’intersezione tra generi e culture, trova valore nell’immediatezza del fai-da-te: funziona un po’ come un meme, creato impetuosamente e condiviso per generare una reazione. Personalmente, ascoltarlo mi spiazza—come se non riuscissi a trovare la quadra tra i suoi pregi e i suoi difetti.”

Bene, ? è la stessa cosa, ma ancora di più. 17, un album tutto chitarrini tristi e pianoforti da GarageBand ficcati in mezzo a generici pezzi rap e R&B che parlava di depressione e suicidio dicendo “hey, sono un matto violento ma è perché sono fragile e confuso”, stupiva perché veniva da un musicista controverso che ci aveva abituato, fino a quel punto, a un’espressività brutale. ? è l’alternativa all’alternativa, un pastrocchio di espressioni musicali estremamente emotive che, frullate assieme, risultano affascinanti e sbagliate allo stesso tempo.

È perfettamente comprensibile ascoltare ? e pensare “Hey, questo mi sta trollando”. Non c’è la parvenza di una linea comune musicale all’interno dell’album. La cosa ha però perfettamente senso per il pubblico ideale di X, cresciuto – proprio come lui, nato nel 1998 – in un ambiente culturale disordinato e fruibile in modo completamente libero, al contempo dominato da algoritmi e playlist omogeneizzanti. Essere catalogato come “rapper” e fare un album con dentro elementari ballatine acustiche, trap languida, pezzi alt-rock da nuovo millennio, reggaeton, omaggi al nu metal, al pop punk e addirittura allo screamo significa immediatamente fare scoppiare la testa a chi, nell’omogenizzazione dell’algoritmo, ci è cresciuto.


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Soprattutto, però, significa suggerire la presenza di un’enorme potenziale creativo, di una sorta di arte universale e onnicomprensiva che potrebbe dirigersi un po’ ovunque senza alcuna logica di base se non il supposto genio creativo del suo autore. Poco importa che, presi singolarmente, molti dei brani di ? siano formulaici: “schizophrenia” sembra un pezzo brutto di Marilyn Manson, ma messo in bocca a un giovane rapper diventa il terrificante grido d’aiuto di una mente spostata. “NUMB” è praticamente una ballata di una band alt-rock disgraziata alla Creed, ma messa appena prima di un pezzo hip-hop tradizionale assieme a Joey Bada$$ (aka una delle più grandi giovani voci del rap impegnato e iper-rispettoso della vecchia scuola) diventa simbolo di un approccio poliedrico.

Sembra oscillare costantemente tra due modalità, X: da un lato c’è il lamento emotivo che, come dicevamo, risponde al bisogno di emozioni forti proprio dell’adolescenza e della giovinezza. È quello che gli fa intitolare canzoni “the remedy for a broken heart (why am i so in love)”, scrivere efficaci confessioni strappalacrime coi violini come “changes” e buttare fuori una collaborazione con Travis Barker dei blink-182 che a un certo punto suona come se fosse un pezzo screamo alla Raein.

Dall’altro c’è l’audacia tipica del rapper a cui non frega un cazzo di niente, da cui la presenza nell’album di un pezzo reggaeton cantato in spagnolo che si intitola “i don’t even speak spanish lol” e una collaborazione al limite della gag con il dodicenne Matt Ox, noto più per i suoi fidget spinner che per le sue abilità al microfono. Sa che per restare “il suono alternativo” non deve adottare un singolo registro e spremerlo fino a togliergli ogni goccia di succo vitale, X, ma continuare a saltare di linguaggio in linguaggio, di riferimento in riferimento, esprimendo la sua pazzia attraverso grida e sussurri, pugni e carezze, merda e oro.

Per restare sulla cresta dell’onda, inoltre, X ha cominciato a presentarsi come un artista impegnato. A differenza della stragrande maggioranza dei suoi colleghi SoundCloud rapper ex-alternativi e ora parte del macchinario dell’industria discografica, impegnati ad enumerare i loro capi di Gucci nella speranza che la loro ondata duri il più a lungo possibile, X ha cominciato ad appiccicare ai suoi pezzi messaggi sociopolitici completamente condivisibili da qualsiasi persona minimamente progressista.

https://soundcloud.com/jahseh-onfroy/hope

X ha detto di essere lui ad aver influenzato Drake a fare beneficienza nel video di “God’s Plan”, ha inserito nell’oggi scomparso video di “Look At Me!” due lunghe sezioni narrative contro le prevaricazioni delle autorità statunitensi nei confronti delle minoranze e della comunità afroamericana, ha dedicato “HOPE” alle vittime della recente sparatoria della Parkland High School. Questo nonostante i suoi brani tocchino solo tangenzialmente queste tematiche, e lo ha detto lui stesso riferendosi proprio a quest’ultima: “Anche se non tutte le parole del brano c’entrano con la situazione, ho scelto di dire cose incoraggianti e appropriate, e non esplicite e reali”. Ma così facendo ha comunque preso una posizione, ha ulteriormente accantonato nell’immaginario collettivo le accuse di violenza che hanno segnato la prima parte della sua carriera e si è posizionato come modello per una gioventù statunitense arrabbiata e disillusa.

La cosa assurda e interessante è che X è stato eletto a modello anche dalla gioventù di mezzo mondo, che questa sappia o meno l’inglese e che possa o meno comprendere il suo messaggio. Questo perché il suo potenziale estetico ed evocativo è così forte da trascendere le parole che dice – o forse è così semplice e intonato con la sensibilità della sua generazione che non viene percepito come di difficile lettura, indipendentemente dalla lingua con cui è espresso. Non ha senso, credo, parlare di questo album in termini di post-rap, perché non è un album rap e XXXTentacion non è un rapper. È un pazzo la cui pazzia ha affascinato milioni di persone in giro per il mondo, dal ragazzino infoiato a Kendrick Lamar, e ci tiene tutti in scacco facendoci parlare di lui, nel bene o nel male, nel suo continuo tentativo di stupirci e farci prendere posizione.

Elia è su Instagram: @lvslei

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