“Riposa in pace Barron, tiriamo su per te / Non posso abbandonare i miei ragazzi, sì, vi guardo le spalle”. Così canta Yung Lean in “Friday 13th”, canzone dedicata al giorno più sfortunato secondo la superstizione occidentale. Era il 2015 quando Barron Machat, il suo manager, morì in un incidente stradale. Era sotto Xanax e stava guidando per raggiungere proprio Lean, che era nel mezzo di una crisi di nervi: gli aveva cominciato a sanguinare il naso, proprio come alla sua ragazza dall’altra parte dell’oceano, e quindi era impazzito. Aveva cominciato a spaccare la casa in cui si trovava insieme all’amico Bladee, che aveva chiamato un ambulanza.
In ospedale, Lean chiamò Barron per chiedergli di portargli l’hard drive con i file del disco che stava registrando, Warlord. Non sarebbe mai arrivato, ucciso dalla macchina che stava guidando, schiantata contro un palo e consumata dal fuoco. La storia di quei giorni è stata raccontata da The FADER con un titolo che incapsula alla perfezione quello che il destino ha riservato al rapper svedese più influente di sempre: “La seconda opportunità di Yung Lean”.
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Così come abbiamo rischiato di non sentire il quieto distacco di Stranger o il pizzicorio del gelo di Frost God, queste sue nuove otto canzoni potrebbero non essere mai nate. Bastava una pillola in più, una telefonata in meno. E invece Lean tornò in Svezia e si concentrò su se stesso e i ragazzi con cui aveva rivoluzionato il rap dipingendolo con i colori della nostalgia, immergendolo in un senso di ironica tristezza, facendolo diventare così leggero da confonderlo con una nuvola.
È grazie a quella presa di coscienza che esiste Poison Ivy, prodotto interamente dal suo fedele beatmaker Whitearmor. Più greve e riservato di Yung Sherman, meno eclettico ma più attento ai dettagli di Gud, Whitearmor è il vero protagonista di questo progetto. Lean non è mai stato davvero bravo a rappare: è la sua visione artistica ad averlo reso, a pieno merito, uno degli individui più influenti sui destini della musica contemporanea. Sono state le parole più del modo in cui vengono cantate; sono stati i beat più che i flow che ci vengono appoggiati sopra.
La musica di Whitearmor prende i componenti fondamentali del cloud rap – i synth sognanti e gelidi, i giochi di hi-hat mutuati dalla trap, i riferimenti alle forme meno istituzionali dell’elettronica – e li riassembla secondo una visione straziante. Dalle note di “happy feet” o “ropeman” fuoriesce un dolore così puro che fa il giro e sembra, all’orecchio, estasi. Lean segue il la del suo compagno e canta di un suicidio per impiccagione scaturito dall’assenza di Xanax, dell’aria che gli manca nella “terra della polvere”; ma trova un centro di gravità permanente nell’affetto dei suoi amici e dei suoi cari, quelli che gli hanno salvato la vita aggrappandosi al suo piede e tirandolo giù dalle nuvole su cui stava cercando di arrampicarsi a forza di eccessi: “Sento il vostro amore e lo vedo dentro me / La vostra amicizia ha un valore, beviamo fino alla fine”.
È nella conclusiva “bender+++girlfriend” che la partnership artistica tra Lean e WhiteArmor sboccia definitivamente in tutta la sua sporca evidenza, come quella rosa rosso sangue che il rapper svedese spesso evoca nei suoi testi. Il beat è un grattino d’avanguardia elettronica sul collo di un Lean steso sul letto, incredulo di fronte alla sua stessa esistenza. Sente fresco: è l’inverno? È pioggia o è sangue? Forse è la paura di cadere di nuovo, degli scatti dei fotografi: “Sei tu la stella”, si dice, come a convincersi che quel bruciore che sente dentro è un dono e non un dispetto del destino. “Non possiamo cadere”, canta, come se fosse incredulo di essere ancora vivo.
Poison Ivy è uscito venerdì 2 novembre per YEAR0001.
Ascolta Poison Ivy su Spotify:
Tracklist:
1. happy feet
2. Friday the 13th
3. French Hotel
4. Silicon Wings
5. Ropeman
6. Trashy
7. Sauron
8. Bender++girlfriend