Red Dead Redemption 2 è arrivato sugli scaffali e nei camioncini dei corrieri di Amazon da venerdì scorso — Quindi ora mi chiedo: qual è il prototipo di essere umano che oggi, a tre giorni dall’uscita, avrebbe voglia di mettersi qui a leggere l’ennesima recensione entusiasta sul gioco del decennio?
Sicuramente non io, e a dir la verità (se escludiamo i giochi di calcio, che sono più un complemento d’arredo per gli ospiti come il divano e l’appendiabiti) non acquistavo un videogioco da diversi anni e probabilmente si trattava di qualche stupidaggine su Steam in cui puoi fare micromanagement di un villaggio medievale nella foresta.
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Avevamo già parlato di come il passaggio all’età adulta ci obblighi a rivedere la nostra lista di priorità, sacrificando il tempo dedicato ai videogiochi in favore di, che ne so, avere la frutta fresca in casa.
Un’altra verità scomoda è che i nati tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta fanno parte dell’ultima generazione in cui i nerd erano sfigati e non superstar di YouTube, quindi in un certo senso quando sono sceso un attimo dal treno con l’arrivo della PS4 la locomotiva ha sostituito il carbone con il plutonio e ha iniziato a procedere a 1000 km/h. Ci vuole poco, nella vita di una persona, per passare dall’entusiasmo per Assassin’s Creed Chronicles al fastidio per l’ennesimo titolo della saga.
Red Dead Redemption 2 è riuscito in quell’impresa che sembra così grossolanamente sfuggire a tutti quanti: sollevare l’entusiasmo della generazione che non beve, non scopa e probabilmente prende bastonate a Fortnite da quelli nati dopo di loro e a DOTA 2 da quelli nati prima. Dal mio punto di vista questo videogame rappresenta esattamente questo: la curiosità di tornare a maneggiare una macchina che, fino a quel momento, sembrava non essere più un oggetto dedicato a me, forse proprio perché mi mancava l’esperienza totale che il prodotto di Rockstar riesce (per la prima volta) ad offrire ai suoi clienti.
In effetti una delle cose che mi ha più stupito, leggendo tra i commenti sotto gli annunci sponsorizzati dalla software house americana, è stata la quantità spropositata di persone che avevano in calendario delle ferie programmate da dedicare solamente alle prime ore di gioco per questo titolo.
Penetrare quel muro che separa virtuale da reale è qualcosa che riesce a poche entità nei meccanismi del consumo (penso ad esempio alle code per un nuovo iPhone o ai siti di ticketing che collassano per date e concerti particolarmente attesi), ma Rockstar è riuscita a cambiare anche questa regola, specialmente all’interno dei confini di un mondo occidentale che, come dicevamo, ha iniziato ad accettare l’esistenza di un business legato al “giocare ai videogiochi” solo da qualche anno.
Ed è proprio l’attesa spasmodica di questo titolo, che si fa attendere e anticipare da piccoli leak fin dal 2016, che è riuscita persino a rendere l’esperienza di pre-lancio di questo gioco quasi liturgica. Ogni giocatore che abbia pazientato e maledetto il Cielo per ogni rinvio della data di uscita si è ritrovato tra le mani un gioco di cui ha partecipato al travaglio, in una misura senz’altro più lieve rispetto alle settimane da 100 ore lavorative dei dipendenti Rockstar.
i spiego meglio con un esempio: le mie prime due ore di gioco sono state intramezzate da un continuo “Wow, puoi fare anche questo?!” con cui ho ammorbato la mia ragazza. La prima cosa che mi ha fatto pensare “Non ci posso credere” è successa nel prologo quando, di ritorno dopo una battuta di caccia sulle montagne, mi sono ritrovato a camminare sulle mie stesse orme nella neve, lasciate almeno 15 minuti di gioco in precedenza.
Il livello di dettaglio è anni luce avanti a quello messo in mostra da GTA V, con cui comunque la Rockstar era riuscita a monopolizzare il mercato sia dal punto di vista delle vendite e delle microtransazioni online che da quello della cultura, forzata in gola a milioni di utenti che non possiedono nemmeno il gioco tramite interi canali YouTube dedicati a contenuti ispirati al gioco.
Per cinque anni il mondo è stato pieno di persone che non possedevano una copia di GTA V, ma che si erano guardati almeno un paio di video con esplosioni colossali sul tetto di questo o quel grattacielo.
Se da un lato GTA V puntava sul meme, in Read Dead Redemption è tutto estremamente maturo (nei limiti sensati di una forma di intrattenimento che non è un documentario sulla segregazione razziale) e per la prima volta, almeno per quanto mi riguarda, gli effetti delle scelte compiute dai propri personaggi hanno un effetto al di fuori del gioco anche nelle dinamiche più sciocche: ad esempio il dispiacere nel dover piantare un paio di calibro 36 in mezzo agli occhi dei cani dello sceriffo.
Creare un mondo coerente con l’esperienza di gioco è quello in cui Rockstar riesce meglio, forse da sempre, ma la serie di Red Dead Redemption è quella che riesce meglio a testare i limiti della propria generazione, sia in un senso strettamente legato all’hardware delle console, sia dal punto di vista della generazione che ci gioca.
Per farlo si è costretta a coinvolgere oltre 1.000 attori per riprodurre sullo schermo una sceneggiatura che, se venisse stampata su fogli di carta, produrrebbe una pila alta come un orso leggendario e infilare nella scatola del gioco due dischi blu-ray, di cui uno solo per l’installazione. Questa quantità di informazioni, persone che ti parlano, cose che succedono, animali che si muovono e stagioni che cambiano ha la l’effetto di un piacevole senso di sopraffazione, in cui la storia principale diventa davvero parte di una quotidianità fatta di lunghe cavalcate, fughe dalla legge, omicidi, rimorsi e sensi di colpa.
Red Dead Redemption 2 è l’esperienza videoludica più totalizzante che sia mai stata creata e con la sua mole mastodontica è l’open world definitivo, ma allo stesso tempo è anche una delle serie tivù migliori che abbia mai guardato, il gioco di poker più divertente a cui abbia mai giocato, l’unico fishing game a cui abbia qualsiasi tipo di senso giocare e un simulatore di caccia che mette nella giusta prospettiva scuoiare una bestia con un coltello e tutta una serie di altre cose, se solo riuscissi a smettere di cavalcare per andare avanti nella storia.
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