Cosa pensano i giornalisti stranieri del referendum costituzionale

Matteo Renzi e Victor Ponta, ex primo ministro della Romania.

Foto via Flickr

A circa dieci giorni dal referendum costituzionale, ci ritroviamo con un’isteria di massa sempre più elevata e qualche dato di fatto: gli ultimi sondaggi davano in vantaggio il No; gli indecisi sono moltissimi; gli scenari del post referendum in caso di vittoria del No molto confusi; e, soprattutto, all’estero si guarda al referendum con una crescente preoccupazione.

Videos by VICE

Se questo avviene, e se il referendum viene considerato uno dei cinque eventi a cui il mondo dovrà guardare nei prossimi mesi, è principalmente per due motivi, attorno ai quali è anche ruotato il dibattito sui giornali esteri.

Il primo riguarda l’aspetto economico, ovvero la reazione dei mercati. Il collegamento tra il referendum italiano e la sopravvivenza dell’euro, già emerso negli scorsi mesi, è stato ripreso per ultimo dal Financial Times. In un articolo di qualche giorno fa dal titolo “Il referendum italiano determinerà il futuro dell’Euro” —con toni piuttosto allarmistici che ricordano quelli, poi disattesi, pre-Brexit—la vittoria del No veniva vista come un’ “immediata minaccia di disintegrazione” dell’Eurozona.

Il secondo aspetto riguarda invece la paura che l’Italia possa essere la prossima vittima dell’ondata anti-establishment, che, anche in vista delle elezioni in diversi paesi europei, sembra minacciare concretamente la tenuta dell’Unione.

Per capire meglio come è visto all’estero il referendum, il livello di preoccupazione che suscita e cosa si pensa succeda in caso di vittoria del Sì e del No, ho contattato tre giornalisti stranieri esperti di politica italiana, e ho fatto loro qualche domanda.

Udo Gumpel, N-TV, Germania

Se in Italia la maggior parte delle persone sembra non capire granché della riforma e il 90 percento dei discorsi a riguardo include variazioni sul tema “è complicata”, per Udo Gumpel, corrispondente in Italia per la rete televisiva tedesca NTV, nella sua essenza si tratta di una riforma riassumibile in un semplice punto: il superamento del bicameralismo perfetto.

“Non fraintendiamoci, non è un testo facile da capire, ma è chiaro che il punto più importante è l’abolizione del bicameralismo perfetto—una forma che non esiste in nessun paese al mondo, e il cui superamento porterebbe a una effettiva semplificazione e dovrebbe essere fondamentale nella decisione di voto.” Questo non vuol dire, chiarisce, che si tratti di una riforma perfetta: contiene dei punti non chiari e soprattutto arriva con una legge elettorale, l’Italicum, “oggettivamente brutta, che deve essere modificata—come di fatto il PD sembra sia intenzionato a fare,” aggiunge.

Tuttavia, il messaggio della semplificazione non sembra essere arrivato ai giovani, ed è proprio la loro ritrosia nei confronti della riforma che rappresenta per Gumpel un elemento di stupore. “I giovani sono per natura favorevoli al riformare e al semplificare, se sono contrari a questa legge è perché i giornalisti italiani hanno fallito nel fare chiarezza, non è arrivato alle persone il messaggio della semplificazione,” mi dice.

Del resto, a creare questa dinamica, ammette Gumpel, ha contribuito Renzi stesso, che ha commesso l’errore di personalizzarla. “Renzi, nella mia percezione, gode ancora di una fiducia abbastanza vasta in Italia,” mi dice. “Ma se da un lato ha mostrato coraggio politico nel collegare il suo destino alla riforma, dall’altro ha permesso che si formasse una coalizione molto larga e che ha come unico scopo quello di abbatterlo.”

Secondo Gumpel, proprio quest’errore potrebbe rivelarsi fatale per il fronte del Sì, la cui sconfitta risulterebbe in una quasi certa ingovernabilità del paese. “È garantito che non avremmo nessuna maggioranza in Senato, ma tre forze quasi identiche che si troverebbero a dover formare una larga coalizione. Saremmo punto e a capo,” mi spiega. Non senza conseguenze economiche. “I mercati non reagirebbero bene: non si tratta di una riforma buona contro una riforma cattiva, ma di una riforma che semplifica la vita politica italiana e una che dice ‘lasciamo tutto così com’è’, e questo sarebbe interpretata dai mercati finanziari come una decisione dell’Italia di non voler cambiare le regole del gioco,” conclude.

Tom Kington, The Times, Regno Unito

Dal Regno Unito, che di scelte divisorie ne sa qualcosa, il referendum, viene considerato molto importante per due motivi. A dirmelo è Tom Kington, corrispondente del The Times a Roma. Il primo, spiega, è che dopo la Brexit c’è grande attenzione su chi saranno le parti con cui si dovranno trattare le modalità dell’uscita dall’Unione Europea. Il secondo è che dopo le vittorie della Brexit e di Trump, c’è l’idea che Renzi possa essere la prossima vittima dei movimenti anti-establishment. “L’Italia si trova nella posizione, date anche le elezioni che si svolgeranno in Europa nei prossimi mesi, di essere un termometro per quello che succederà, per capire quanto l’Europa sarà scossa nelle sue fondamenta,” mi spiega.

È proprio per questo motivo, continua, che opinionisti, mercati, e politica inglese vedono con preoccupazione un’eventuale vittoria del No—specialmente dal momento in cui questa sembra coincidere con le dimissioni di Matteo Renzi. “Qualunque governo tecnico o ponte verrà creato, questo non garantirà la stessa stabilità che garantisce il governo attuale, e inserito in un contesto più ampio, è una prospettiva che non può che preoccupare.”

Nonostante anche Kington individui nella personalizzazione della riforma un errore che potrebbe rivelarsi deleterio per Renzi, crede che lo sbaglio più grosso sia stato commesso dal governo nel non aver spiegato in modo tecnico la riforma. “Mi aspettavo che durante l’estate sarebbe iniziata una campagna governativa che mirava a spiegare,” dice, “e invece è arrivata in ritardo, quando la situazione a livello di comunicazione era già abbastanza compromessa. Questo potrebbe avere un peso decisivo sull’esito del referendum.”

Ciononostante, per Kington non si tratta di un voto direttamente contro Renzi. “Per quello che vedo tra i giovani, in Italia, c’è una gran voglia di andare a votare,” mi dice. “La loro resistenza, e in certi casi anche quella dei media, mi stupisce, ma poi pensando a tutti i governi tecnici o non eletti che si sono succeduti è anche comprensibile,” conclude.

Eric Jozsef, Libération, Francia

Eric Jozsef, corrispondente dall’Italia per Libération, ci tiene subito a ribadire l’importanza di questo referendum per il futuro del paese, sia in caso prevalga il Sì, sia in caso prevalga il No. “Il Sì è un fondamentale elemento di stabilità. Sono in Italia dal ’92: ho visto passare cinque primi ministri inglesi, quattro presidenti della repubblica francesi, tre cancellieri tedeschi, 14 presidenti del consiglio italiani. Neanche la Grecia ha avuto così tanti governi,” mi spiega. Una stabilità che in sua opinione verrebbe del tutto a mancare in caso di vittoria del No, per cui una crisi di governo sarebbe, in opinione di Jozsef, inevitabile. “La minoranza del PD si allargherebbe, e Renzi non sarebbe più l’uomo che vince tutto: ci sarebbe da rimescolare le carte, e Renzi dovrebbe dimettersi—anche se la politica italiana ci ha sorpreso molte volte in passato.”

Del resto, Jozsef attribuisce un peso fondamentale nella questione al fatto che Renzi non sia stato eletto. “In Francia Hollande è molto basso nei sondaggi ma nessuno gli ha mai contestato la legittimità del suo ruolo di Presidente della Repubblica,” mi dice. “Per Renzi, il fatto di non essere passato dalle elezioni, rappresenta un forte elemento di debolezza che gli renderebbe molto difficile tentare di restare in caso di vittoria del No.”

Ed è proprio una caduta del governo Renzi, con l’instabilità politica che ne conseguirebbe, che la Francia teme e che gioca il ruolo maggiore nella lettura del referendum.

Nel commentare la riforma a livello tecnico, Jozsef parla di un testo che presenta molti elementi non chiari, e soprattutto che arriva con una legge che in sua opinione potrebbe influenzarne il funzionamento. Con l’Italicum “ci sarebbe il rischio di un potere forte sulla carta e debole nel paese, che verrebbe considerato di fatto illegittimo, con i rischi che questo comporterebbe.”

La sensazione da parte francese, mi dice Jozsef, è tuttavia che le ragioni del Sì vengano comprese molto più facilmente di quelle del fronte del No. “La Francia è una Repubblica semipresidenziale in cui il capo ha molti poteri, quindi questa paura di avere un presidente del consiglio che minaccia il funzionamento della democrazia non è percepita come tale, c’è piuttosto il timore che il governo passi a Grillo—che è visto come un demagogo,” continua.

Se l’elemento della stabilità e delle forze anti-estistablishment è una costante in tutti i giornalisti sentiti, Jozsef ha una visione diversa sulla personalizzazione. “Non credo che Renzi abbia fatto un errore, sarebbe stato necessariamente così. In Francia ci siamo passati, la riforma viene necessariamente associata a chi la promuove,” mi dice. L’errore di Renzi, continua, sta piuttosto nell’averla personalizzata male. “Avrebbe dovuto dire che si sarebbe dimesso nel caso avesse vinto il Sì, quando il voto sarebbe stato con nuove regole,” mi spiega, “in questo caso avrebbe depotenziato nettamente il fronte del No.”

Thumbnail via Flickr. Segui Flavia su Twitter

Segui la nuova pagina Facebook di VICE Italia: