Foto di Alessandro Rampazzo – Collettivo Fotosocial.
La frase “La vita supera la morte / Questo è il grande cuore veneto,” oltre a essere un’ottima idea per un tatuaggio, è stata la prima pronunciata dal palco di Treviso venerdì 21 marzo 2014 da Gianluca Busato, promotore del “referendum” per l’indipendenza del Veneto. A quel punto Piazza dei Signori era gremita di indipendentisti e bandiere della Serenissima.
Videos by VICE
La giornata di festa ha preso una piega epica fin dall’inizio, e da lì a poche ore avremmo conosciuto il destino del Veneto: nazione indipendente o sfruttato protettorato dei Temibili Savoia?
Tra i primissimi manifestanti ad arrivare in piazza, verso le cinque e mezzo di pomeriggio, c’è un austero signore che sventola una bandiera della Russia e una della Serenissima.
L’accoppiata sembra alludere alla recente annessione della Crimea ad opera di Putin ma l’uomo, interpellato, nega subito: lui sfoggia la bandiera russa dai primi di febbraio in protesta con la decisione del Comune di Venezia di distribuire libri di fiabe “gay” alle maestre d’asilo. Da qui il vessillo russo in onore di Putin, che ha vietato “la propaganda omosessuale” nel suo Paese. Il manifestante ha comunque precisato che un suo caro amico è gay ed è molto onesto.
Compaiono le prime telecamere: ci sono radio e televisioni straniere (la Svizzera Italiana tra tutte), pochi invece i media italiani. Peccato, perché la folla aveva di cui raccontare: c’è chi accenna alla guerra fredda in corso tra il movimento e gli altri partiti regionali spiegando che “i nostri nemici sono qui, sono i politici veneti,” o chi grida: “Il doge di Venezia Massimo Cacciari dovrà rifugiarsi in un’ambasciata americana perché prende i soldi degli italiani, è uno schiavo degli italiani.” Il lessico politico di riferimento è quello leghista, con una maggiore ossessione per le materie economiche e meno pressing su quelle legate al sociale.
Mancano pochi minuti alle 19 e un malintenzionato mandato dai Borboni dice la sua sul “plebiscito”, definendolo “una pagliacciata”; viene subito ripreso da un indipendentista, che spiega: “Se questa è una pagliacciata, allora anche il referendum del 1866 [quello con cui il Veneto fu annesso al Regno d’Italia] lo era.”
Il palco è pronto: la selezione musicale pre-comizio prevede il funky dei Montana Sextet e l’house old school di Rickster, musiche giovani che richiamano un nutrito gruppo di ventenni-trentenni ad abbassare la media di una ressa fino allora piuttosto su con l’età. Alle ore 19.28 parte l’inno della Serenissima, composto nel 1716 da Vivaldi per celebrare la vittoria veneziana contro i Turchi, a Corfù.
Dopo qualche bis di Vivaldi, la musica sfuma e sale sul palco Lui, Gianluca Busato, un timidino che potrebbe abituarsi in fretta agli applausi. La sua tecnica oratoria è valida, specie se siete amanti delle omelie: ha un tono cadenzato e lento, ama immagini forti ed epiche, parla di civiltà e di come sia impossibile eliminare “una cultura, un popolo millenario.”
Spiega che quella del comitato Plebiscito.eu “non è una battaglia di libertà ma una battaglia di dignità,” ricordando che il “vento dell’indipendenza e della libertà sta soffiando nel mondo e oggi spira fortissimo in Europa.” Quando poi grida “Noi, gli eredi della Serenissima Veneta Repubblica!,” la piazza squirta. Busato ha un buon italiano e sa il fatto suo: a un certo punto però, non so perché, si trasforma in Veltroni e dice “understatement”.
Un signore alla mie spalle, affranto, lo riprende: “Parla che te capimo!” “Sì, infatti, parla in veneto!” aggiungono altri, “parla la nostra bella lingua!” Busato si pente di aver sfoggiato il suo inglese e passa al vicentino. Il dialetto fa del bene, lo aiuta a disfarsi dei panni da moderato riflessivo. Sono le 19.45 e Busato è già entrato in modalità-Rambo. Indica l’incisione con cui Treviso ricorda l’annessione all’Italia: “Quella lapide vergognosa che da qua non vedo ma che xe là su un canton, e che ha riportato una presunta volontà di 148 anni fa,” grida tra gli applausi. Parte il coro “Par tera, par mar, San Marco!” ad aggiungere ulteriore folklore al tutto.
Poi Busato passa la parola agli altri organizzatori, persone che da mesi lavorano senza sosta per promuovere il referendum. Per molti, è evidente, questo è un giorno che aspettavano da sempre.
Comincia così un giro di mini-discorsi personali. C’è un tale che parla di “un tintinnio” che starebbe risuonando lungo la regione perché “stiamo aprendo la gabbia! Stiamo uscendo dall’inverno,” dice spacciandosi per uno Stark, “ed è cominciata la primavera veneta!” C’è tale Claudio Rio che indossa una felpa rossa con la scritta V E N E T O in lettere dorate. La felpa è molto bella ma ciò non basta a far sorridere Claudione, che sfoga la sua amarezza con i suoi connazionali: “Io non mi dimenticherò mai di quella parola: ‘polentoni’. Quel termine che hanno usato in maniera dispregiativa”—qui la voce si spezza per la rabbia—”certi cani che non dismentegarò mai. Non conoscono nemmeno l’origine del nome, perché il primo governo Crispi ha messo la tassa sul macinato ai veneti! E NOIALTRI ADESSO METTIAMO LA TASSA AL MONDO PER VENIRE A VENEZIA!”
Una tassa per visitare Venezia—ma come, un’altra?
La giovane Aurora da Padova ricorda invece che il veneto non è un “dialetto” ma “una lingua vera e propria riconosciuta dall’Unesco e dall’Onu.” La piazza applaude in trevigiano. Aurora dice che dovremmo parlare tutti in dialetto in ogni occasione, e tra il pubblico in molti apprezzano l’idea di insegnare il Veneto a scuola.
Come ogni festa che si rispetti, anche quella dell’indipendenza veneta ha la sua compagine di VIP da sfoggiare. In questo caso si tratta di Andrea Viviani, uno degli otto Serenissimi che nel 1997 occupò Piazza San Marco a Venezia conquistandone il campanile con un carrarmato. Modesto come un soldato, Viviani si è limitato a dire due parole, lasciando che fosse la Storia a parlare per lui.
Dopo il revival anni Novanta, è il momento della storiografia, il vero zenit della serata: entri in scena Franco Rocchetta, fondatore della Liga Veneta, ex parlamentare della Lega Nord e Darth Vader della causa indipendentista.
Ecco un breve riassunto per punti del suo pensiero. (Attenzione: Rocchetta è quel tipo di storico che alla fine di ogni discorso dice “queste sono cose che non si leggono nei libri di storia.” Ci domandiamo il perché.)
– Quest’anno cade il centesimo anniversario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, che in realtà “è stata la guerra dell’Italia contro il Veneto, la guerra della FIAT contro il Veneto.”
– Benigni dice che quella italiana è la costituzione più bella del mondo? In realtà “è la vergogna d’Europa perché sancisce la discriminazione dell’Italia ai danni del Veneto.”
– Quest’anno cade anche il bicentenario della formazione dei Carabinieri, aka “la forza di repressione veneta dello Stato piemontese.”
– “Nel 1820 il Piemonte ha mandato i suoi agenti a seminare l’odio anti-veneziano tra i nostri fratelli d’Istria.”
– “Lo stato italiano è da sempre menzognero, stupratore e fallimentare.”
E così via.
Concluso il comizio corale, vengono finalmente resi noti i risultati delle votazioni. Anna Durigon, la 25enne che un anno fa fece un sciopero della fame per la causa, ha l’onore di leggere il documento che sancisce l’indipendenza della Regione. La piazza è stremata ma soddisfatta. È solo l’inizio, dicono tutti. Ce l’abbiamo fatta.
I numeri, da prendere con moltissime pinze a causa del sistema telematico di voto non proprio granitico, parlano chiaro: 2.360.235 voti totali, pari al 73,2 percento degli aventi diritto al voto con 2.102.969 di sì, l’89 percento del totale, 257.276 no (10,9 percento) e 6.615 “voti non validi” (lo 0,29 percento del totale).
Come si sa il referendum non ha alcun valore legale e la dichiarazione di indipendenza che ha concluso la serata è stata solo una lecture di pessimo legalese. Non è cambiato nulla, quindi, anche se la votazione ha dimostrato per l’ennesima volta i profondi disagi di una regione che, a due secoli dal tramonto della Serenissima, ancora sogna l’indipendenza e rimpiange gli anni in cui “tutto andava bene” (anni che risalgono, a seconda dei casi, al diciassettesimo secolo o agli anni Ottanta del Novecento, la golden age dei capannoni).
Come ricorda il sociologo Roberto Weber, l’indipendentismo veneto non è solo folklore e deliri anti-risorgimentali: secondo un recente sondaggio, il 30 percento dei cittadini della regione si sente “veneto” prima che europeo o italiano, una convinzione diffusa anche nel 37 percento dei giovani tra i 18 e i 34 anni. Il 43 percento degli intervistati, inoltre, ritiene che l’ipotesi-Veneto Stato abbia “una base solida e ragionevole.”
Anche per questo la targa che ricorda il referendum del 1866 sembra un monito: è proprio lì, a due passi dal palco, “su un canton” della terra che già fu del sindaco turbo-leghista Giancarlo Gentilini. I numeri che l’incisione riporta raccontano un’Italia completamente diversa da quella d’oggi: “voti affermativi 84526, negativi 2, nulli 11.” Sono passati 148 anni e il Veneto—o la regione rappresentata dalle migliaia di persone che erano in piazza a Treviso—sembra aver cambiato idea.
Nel corso del weekend, Beppe Grillo si è congratulato con gli organizzatori e ha ricordato che “la Padania non è mai esistita ma la Serenissima sì,” mentre Busato ha annunciato la formazione di un partito, “Veneto Sì”, “che si trasforma da comitato per il Sì all’indipendenza ad organizzazione politica che difenderà i risultati ottenuti con la proclamazione dell’indipendenza.”
Ma a proposito di “risultati”: che cosa hanno ottenuto concretamente quelli di plebiscito.eu?
Legalmente parlando nulla, come ha spiegato Mario Bertolissi, costituzionalista dell’Università di Padova, ovvero la persona che ha consigliato agli indipendentisti di appellarsi al voto online: non per fare un referendum, “sarebbe anticostituzionale,” ma per “acquisire l’opinione dei loro concittadini.” Da semplice consultazione a dichiarazione d’indipendenza, la cosa dev’essere sfuggita di mano a qualcuno.
Segui Pietro su Twitter: @pietrominto
Nella puntata precedente: