Franco Battiato 2019 Torneremo ancora
Franco Battiato, foto di Roberto Pagliani. Per gentile concessione dell'ufficio stampa Daniele Mignardi.

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Musica

Franco Battiato nello spazio

Quando Franco voleva partire con L'Arca Di Noè, lasciandosi dietro gli Orizzonti Perduti della terra, per raggiungere Mondi Lontanissimi.

Sono stato il primo a gioire quando si è finalmente placato il successo esploso con La voce del padrone. È stato un gioco divertente finché è durato, ma oggi non ha più ragione d’essere.
Franco Battiato, 1983 (da Franco Battiato, Soprattutto Il Silenzio di Annino La Posta)

Sulle Corde di Aries: è proprio su di esse che viaggia il tram astrale di questi ultimi mesi, caratterizzato dal segno zodiacale dell’ariete. Segno celebrato in varie canzoni di Franco Battiato (fra i quali il succitato seminale album) perché il nostro è appunto nato sotto quelle condizioni astrali, e degli arieti ha la cocciutaggine e la scarsa attitudine al compromesso: ecco perché questo mese Italian Folgorati si concentra su di lui, soprattutto su quello che è il periodo più sottovalutato della sua discografia anni Ottanta.

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Dopo l’exploit clamoroso de La Voce Del Padrone, al quale neanche lui credeva più di tanto, seguì un percorso caratterizzato da album difficilmente incasellabili e piuttosto weird, a metà fra sperimentazione elettronica, pop e cazzeggio ragionato attraverso nuovi modi di comunicare. In fondo Battiato è sempre alla ricerca di una comunicazione altra, a metà fra il telepatico e il narrativo; il successo de La Voce… lo dimostra: milioni di italiani che cantano "Centro Di Gravità Permanente" senza capire cosa cazzo significhi, dimostrano che il maestro ha una marcia in più in questo senso. Oltre ai nuovi linguaggi, in questo periodo la tensione è verso nuovi mondi—musicali e non: parliamo infatti di tre dischi che potremmo definire “trilogia spaziale”, o meglio “trilogia della fuga”. Trattasi nell’ordine di L’Arca Di Noè ('82), Orizzonti Perduti ('83) e Mondi Lontanissimi ('85).

Dopo i record di vendite dell’81, quindi, Battiato diventa un po’ il Timbaland de noantri: produce mezzo mondo, piazza moltissimi dei suoi artisti in posizioni di classifica che prima si sognavano (Alice, Milva, Giusto Pio, Radius, Giuni Russo), insomma, si spreme fino all’ultima goccia, fondamentalmente perché si diverte a farlo e non ha problemi a investire i soldi del successo in progetti coraggiosi e poco ortodossi (ricordiamo, ad esempio la sfortunata ma spiazzante Sibilla). Ecco che, quindi, l’album successivo cammina sul filo del baratro commerciale.

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Franco Battiato L'arca di Noè

L’Arca Di Noè, già dalla copertina, promuove un’immagine lontana dal Battiato stravagante in sandali, codino e occhiali da sole capace di attirare grandi e piccini: qui è raffigurato un paesaggio fra il desertico e il lunare, una specie di scenario del dopobomba. Il disco è appunto incentrato sul mito dell’arca: la mente delle masse va subito alla nave piena di animaletti, in realtà siamo in astuti territori esoterici e ufologici.

Il Sanremo dei "Raccomandati"

L’arca di Noè è un'astronave guidata dagli Annunaki, le divinità assire pronti a portare uomini e animali lontano da un pianeta oramai prossimo all’implosione; gli animaletti spiccano sì stilizzati su tutta la copertina, ma a scrivere un geroglifico indecifrabile, quasi un monito per iniziati. Il subliminale la fa quindi da padrone: l’arca è anche un simbolo adorato dalla massoneria (il grado di Royal Ark Mariner ad esempio) come paladina di valori altissimi, trasportatrice dell'umanità verso nuove forme. Ambiguità, questa, che gli costerà un'aspra recensione su La Stampa, che lo bolla come “ideologo della nuova destra”. Il discorso di Battiato è in realtà più complesso, nell'album sono disseminati inni alla libertà quale “Radio Varsavia”, contro la dittatura sovietica all’epoca mai abbastanza condannata dalla sinistra, “New Frontiers” dove con quel "libera la tua immaginazione temporale e mandala al potere nel tuo organo sessuale" e "l’evoluzione sociale non serve al popolo se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero" mette parecchi “puntini sulle I” a proposito del suo modo di intendere politica e società.

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È un disco pregno di esoterismo (cosa sempre presente anche nelle vecchie prove, ma con più ironia e distacco), ma elitario solo nella misura in cui è necessaria una selezione naturale degli ascoltatori. Non a caso, da qui in poi, Battiato manterrà una popolarità sempre lontana dal facile consumo dei jukebox, anzi il disco è palesemente confezionato per girargli le spalle.

D’altronde ce n’è per tutti: ne “L’Esodo” Franco—anzi, l’enigmatico autore del testo Tommaso Tramonti che poi non è altro che il mistico gurdjieffiano francese Henri Thomasson—prevede PRIMA la fine del comunismo e POI la fine del capitalismo, dimostrando grande lungimiranza su un impianto che metta insieme elettronica, new wave e space disco, e contemporaneamente le rinnega tutte. Musicalmente l’album è un compatto attacco al pop come lo conosciamo, con una presenza massiccia del campionatore CMI Fairlight, usato in maniera “antioccidentale” da Shane Dempsey (poi con Claude Larson a precedere di eoni i vaporwaveisti digitali odierni) e Pietro Pellegrini degli Alphataurus (insieme a Franco Serafini, l'importatore diretto e il distributore italiano della Fairlight), ibridato con strumenti elettrici: insomma una specie di Pollution riveduto e corretto.

Ne “La Torre “ (titolo e tematica recuperati da una sua vecchia canzone del '67 ) addirittura si lancia in pattern sintetici tanto isterici quanto rigidamente wagneriani, dalle suddivisioni impossibili, con un’invettiva verso tutte le illuse primedonne “che credono in quello che fanno," con un verso da fantozziani novanta minuti di applausi: "e salverò chi non ha voglia di far niente e non sa fare niente."

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Interessante come siano innestate anche parti liturgiche, come in “Scalo A Grado”, dove la musica porta al massimo dell’esaurimento le classiche soluzioni armoniche battiatiane fino a farne vuoto pneumatico: una velenosa invettiva contro il cattolicesimo e le sue funzioni, fra disprezzo, pena e ironia acida. Il disco si chiude poi con la clamorosa e famosissima “Voglio Vederti Danzare”, che sovverte i canoni del brano pop (batteria INESISTENTE, con un semplice arpeggio di synth seguito marzialmente dal basso), mischiando però la tradizione sufi con le arie balcaniche e i valzer viennesi. Un delirio di commistioni che ricordano appunto esperimenti alieni sulle forme musicali terrestri. I musicisti, a parte le new entry di cui sopra, sono gli stessii del disco precedente (con una grandissima prova della sezione ritmica killer Golino/Donnarumma, forse la più importante nel panorama pop/wave italiano) e il grande Luigi Tonet a smanettare sulle programmazioni.

Sarà infatti Tonet ad avere un ruolo cruciale nella prossima opera del nostro: il viaggio è appena iniziato. Orizzonti Perduti esce nell’83, poco dopo la tournee de L’Arca…, registrato in tempi record dopo i primi sentori di cedimento commerciale (nonostante l’album fosse primo in classifica, infatti, le presenze ai concerti diminuirono in modo significativo). Ed è una sterzata violentissima verso un electropop chirurgico, oltre la minimal wave più fredda. Tutti i brani sono affidati ad uno strumento centrale, il Roland MC-4 MicroComposer al quale Tonet (autore di grandiosi jingle subliminali per telegiornali e meteo e di un album clamoroso come Why? del 1980) sfoggia un’anima lacerata e lancia una secca sfida al music biz. Ad affiancarlo, il fido Phil Destrieri alle tastiere, che in tanta insostenibile freddezza elettronica tiene la bilancia quasi a pari con l’umanità.

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Diciamo che l’arca è partita (forse una metafora del successo in questo caso) ma Battiato rimpiange con dolcezza la vita sulla terra, rimanendo comunque critico verso di essa: è un continuo ricordo del passato, espresso però non dal presente ma dal futuro. L’effetto è tipo quello descritto in certi racconti di Philip K. Dick, quando un mucchio di farfalle si intrufola nella macchina del tempo e manda tutto a puttane. Un forte straniamento evapora da brani come “Tramonto occidentale”, in cui Battiato si prende la briga di perculare tutti, finanche se stesso, con frasi lapidarie tipo "Non ho voglia né di leggere né studiare." Un nichilismo che vede addirittura campionamenti d’opera infilati a cazzo di cane, memore dei taglia e cuci del tempo che fu.

Stessa sorte per gli altri pezzi, soprattutto “La Musica È Stanca”, dove il solito Tommaso Tramonti, uno dei primi a fare coppia autorale con Franco nei testi, anticipa il problema dell’appiattimento artistico e della sovrapproduzione priva di scopo degli anni Duemila “brutta produzione, altissimo consumo/la musica è stanca, non ce la fa più”.

Orizzonti Perduti sembra una dichiarazione di guerra, scagliata però attraverso una malinconia e una rassegnazione senza pari. L’evidente nostalgia, immersa nel solito calderone di citazioni arabe e anni sessanta, non disdegna citazioni da Laurie Anderson in "Un’Altra Vita", e finti messaggi subliminali in reverse nella struggente “Mal D’Africa”. Il Battiato pensieroso della copertina suggerisce che la terra sia sparita dalla rotta e che il nuovo pianeta in cui è finito sia altrettanto malsano, è quindi il momento di ripartire verso nuove mete.

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Infatti eccolo qui, di nuovo sulla sua astronave, alla scoperta dell'ultima frontiera. Nell’84 esce il singolo di Giusto Pio “Automotion”, del quale Battiato è autore e vocalist. pare una prova generale dell'album in arrivo, con le sue tematiche poco rassicuranti ("e della terra non resterà/che un pallido ricordo") e vede le tecniche di "M.Elle le Gladiator" trapiantate in territorio elettronico, con batterie a cannone che sembrano quasi schegge speedcore, completamente computerizzate. Preannuncia brani mezzi deliranti come "Temporary Road," che pare scritta da un matto in camicia di forza: "Dalla chiesa qui vicino suona una campana din don dan."

Franco Battiato Mondi Lontanissimi

Mondi Lontanissimi arriva un anno dopo. La follia è presente già dal brano d’apertura: il comandante del centro impressioni colpito da esaurimento descritto in “Via Lattea”, un viaggione in bilico fra orchestra classica ed elettronica pura, orrendamente saccheggiato da Andrea Bocelli per quello schifo di “Con Te Partirò”.

La cifra del disco è tutta in questo ibrido, con partiture minimaliste ossessivo-compulsive e ritmiche drill come in "No Time No Space", sentito omaggio alle esplorazioni spaziali e prova generale per le future opere liriche del nostro—Genesi e soprattutto il grandissimo e sottovalutato Gilgamesh, sul quale torneremo in futuro. Poi c’è “L’Animale” che è uno dei pezzi più importanti di sempre: un vero e proprio inno all’astrologia dei moti dell’animo ("Segni di fuoco e l’acqua che li spegne") e poi cos’altro? "Personal Computer": uno spaccato arabo che porta in occidente suoni che solo ora la gente fa a cazzotti per ascoltare. Pare Omar Souleyman e invece è Francuzzo che mette su un pezzo acefalo che riesce addirittura a far sfumare col culo, dalla voce elettronica di un centralino che dice “il sollecito è stato inoltrato sulla linea dell’utente desiderato” e intermezzi deliranti fra i quali un “1 2 3 4” di Ramonesiana memoria pronunciato però in dialetto siciliano. Suona le tablas l’immenso Lino Capra Vaccina, uno dei cardini degli Aktuala, previsione inconscia del ritorno di interesse verso le esperienze etno-psichedeliche degli anni Settanta.

Ci sono poi dei ripescaggi: "I Treni Di Tozeur" e "Chanson Egocentrique," precedentemente scritte e interpretate con e per Alice, e "Il Re Del Mondo" da "L’Era Del Cinghiale Bianco" che, diversamente dagli originali, assumono qui un aspetto maggiormente profetico e inquietante, evocando paesaggi mutanti popolati da reduci da guerre atomiche.

Insomma, il deserto de L’Arca Di Noè è solo temporaneo, la vita sulla terra continua. Infatti, poco dopo, Battiato si butterà giustamente su musiche e tematiche più legate alla terra, al suolo, al torbido, nonostante il continuo rimando esoterico e mistico: le collaborazioni con il filosofo nichilista Manlio Sgalambro parlano chiaro (su tutte, il fenomenale e Lautreamontiano “L’Ombrello E La Macchina Da Cucire” del 1995). Poi le esagerazioni, come la collaborazione con Antony & The Johnsons. Noi continuiamo però a dargli fiducia per il futuro, sperando che il maestro non arrivi mai a “Credere In Quello Che Fa”: non vorremmo proprio doverlo buttare giù dalla torre.

Dedicato a Manlio Sgalambro, cavaliere del nulla recentemente scomparso: un grazie infinito per aver riportato Battiato sulla terra, non dimenticheremo

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