Ormai da alcuni anni la giovanissima industria culturale italiana si deve confrontare con un fattore che le sfugge di continuo, un mostro a più teste che non riesce a domare: i giovani che utilizzano internet. Intere nidiate di pubblico che per ovvi motivi non sono interessate agli sceneggiati scritti da anziani per anziani, e che sfuggono ai soliti dettami che per decenni hanno descritto la TV.
Così a un certo punto i vertici dei network hanno deciso di contaminarsi con questi nuovi mondi sconosciuti, proponendo web serie e film pensati per inglobare i fenomeni da social network e sfruttarli per indirizzare nuovamente i vettori di pubblico. Come gli argonauti, periodicamente queste persone si avventurano “nel web” e riemergono con una manciata di Facebook star, youtuber, e influencer di Instagram, tutti inseriti a forza in contenitori che fanno sembrare Natale a Miami un film di Andrei Tarkovsky.
Videos by VICE
Un esempio? I 39,05 minuti di battute da birreria, priapismo, stereotipi sessisti e omofobi, product placement (il progetto sarebbe stato interamente finanziato dai partner commerciali di Rai Pubblicità, che appaiono con i loro prodotti) e recitazione scrausa del “film web” Riccione—uscito sul canale YouTube della RAI e pensato dalla citata RAI Pubblicità e dalla casa di produzione Melasento.
Il cortometraggio ha già ottenuto 1,3 milioni di visualizzazioni, ma se si dà un’occhiata ai commenti si capisce bene quale sia l’opinione generale al riguardo (sono già 12000 i dislike, e migliaia i commenti che si prendono gioco della stupidità della trama). Le gag truci sull’omosessualità (come nella scena in cui si tenta di fare un gioco di parole cavernicolo fra il diminutivo Checco e l’allusione alla parola “checca”), inoltre, hanno spinto l’Arcigay di Rimini a diffondere un comunicato in cui si definisce il film “un concentrato di macchiette, luoghi comuni, stereotipi, sessismo, omofobia e machismo,” e l’esponente riccionese del PD Gianluca Vannucci a chiedersi come il comune abbia potuto “permettere la messa in onda di uno spot così negativo.“
Ma cos’è che rende Riccione un papabile vincitore del titolo di “prodotto web più scrauso di sempre”? I fattori sono infiniti.
Non posso dire di aver compreso fino in fondo la sinossi di Riccione, perché non sembra avere un filo logico. Tutto inizia con la trovata delilliana di far circolare una banconota da cinque euro con sopra un numero di telefono per 18 anni—dal 2001 al 2019—a Riccione, passando per le mani di disadattati esistenzialisti che si sbronzano con una pinta al pub per lenire il dolore, spaccini, turisti arrapati, autoctoni arrapati, venditori di cocco arrapati, ragazze succinte, meridionali che si portano le melanzane da casa, e di Enzo Salvi nelle vesti di un poliziotto in incognito.
Il tutto, con un voice over narrativo degno dei peggiori romanzi di Moccia. Alla fine (spoiler, eh!) la banconota torna nelle mani del tizio che ne era in possesso all’inizio, con una sorta di richiamo al destino e al libero arbitrio che coniuga le gag terribili del Pancio, gli addominali di Fede Rossi e un sacco di culi. Il sogno di Tommaso d’Aquino.
Non mi è nemmeno chiarissimo cosa c’entri Riccione e quale sia il valore aggiunto di ambientare il film lì—anche se al momento dell’uscita l’assessore al turismo Stefano Cladari sembrava convintissimo che, “grazie alla facilità di un racconto destinato ad un target giovanile” e con la partecipazione di noti youtuber, la città si sarebbe distinta “come un marchio sempre più accattivante e di tendenza […], una ulteriore opportunità di marketing territoriale.”
A proposito di irrilevanza del contesto, questa deve sicuramente essere stata tale da creare degli enormi buchi nel sistema spazio-temporale della trama. Nonostante la prima scena del film sia ambientata nell’estate del 2001, infatti, è già possibile pagare in euro; e le persone utilizzano gli smartphone con parecchi anni di anticipo. Segno di capacità scenografiche e storiografiche irreprensibili.
Uno dei tropi narrativi più innovativi di Riccione, poi, avviene quando il disadattato-esistenzialista-sbronzo, che ha ricevuto la banconota primigenia all’inizio del film, decide di annegare il dolore nel sesso a pagamento. E si fa portare a prostitute in taxi: il metodo sicuramente più comodo e discreto.
Gli sceneggiatori del film, poi, ci tenevano a dare una tinta urban decadente—per far capire che nel mondo c’è la droga—e nel fast forward iniziale si vede la banconota opportunamente arrotolata pronta a tirare su della cocaina. Un monticello di cocaina.
Sempre per tenersi al passo coi tempi, Riccione inserisce un po’ di hip hop—perché piace molto ai giovani, e quindi anche se non c’entra niente, ed è una forzatura ridicola, bisogna mettercelo. Così troviamo Shade nelle vesti di un venditore di cocco, che ingaggia una battaglia di freestyle con un cliente (sempre interpretato da Shade) completamente a caso. [Ok, voglio essere sincero: questa trovata mi è parsa geniale, perché se ci pensate bene i venditori di cocco sono stati i primi veri rapper italiani: chiudevano le rime benissimo. Sicuramente meglio di “alla tua donna più che il cocco piace la pannocchia”].
Dopo tutti questi giovanilismi, però, serviva anche qualche trovata da film trash italiano vecchio stile. Ed è qui che entra in scena Enzo Salvi, nel ruolo di un poliziotto che tenta di arrestare uno spacciatore fingendosi un tossicodipendente—solo per poter, scopriamo, recitare il suo cavallo di battaglia “mamma mia come sto“. Uno dei pezzi più famosi degli anni Duemila, paragonabile alla macchina da scrivere di Jerry Lewis.
Riccione, insomma, ingloba tutti i requisiti per essere il prodotto web più brutto di sempre. Coniuga il peggio della percezione italiana di cosa sia internet, i creator meno innovativi di questi anni e una scrittura che inforna più sessismo e omofobia dei film commerciali degli anni Novanta.
Segui Niccolò su Instagram.