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Rick, Morty e il senso della vita

Dallo spazio profondo di Interstellar alla letteratura new weird di Jeff VanderMeer, dall’intelligenza artificiale di Ex Machina al parco giochi popolato di androidi di Westworld, negli ultimi tempi i temi della fantascienza stanno invadendo l’orizzonte del grande pubblico Quello che fino a poco tempo fa—fatta eccezione per qualche incursione pop-cinematografica—era considerato come un genere di nicchia, uno spazio protetto per adoratori delle copertine di Urania, sta aprendo i propri confini anche ai non iniziati, complice il rinnovato interesse popolare nei confronti della divulgazione scientifica (pensiamo al successo di un best seller inaspettato come Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli).

In questa galassia di contenuti di intrattenimento tra il grottesco e lo sci-fiin cui avanzano anche interessanti branche come la fantascienza cinese—, due serie in particolare coniugano efficacemente tecnologia e bizzarro in una dimensione futuro-presente, sfruttando i canoni del genere per affrontare domande attuali sulla nostra identità umana e sociale. Una è Black Mirror, e ne abbiamo sentito parlare abbondantemente in occasione dell’uscita della terza stagione; l’altra è una serie di animazione che—nonostante il successo conseguito all’estero e la facile reperibilità su Netflix—è ancora semi-sconosciuta in Italia: Rick and Morty. Creata da Justin Roiland e Dan Harmon, secondo qualcuno si classifica come “la miglior comedy attualmente in televisione.”

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Se siete in cerca di un contenuto che soddisfi la vostra sete di fantascienza e—al contempo—sappia porre l’accento sull’eterna miseria della vita umana con ironia, Rick and Morty è la serie che fa per voi; soprattutto perché con l’anno nuovo arriverà anche la terza stagione (speriamo).

Immagini via [Adult Swim]

Sia Black Mirror che Rick and Morty si inseriscono nel solco di una riscoperta della sci-fi da parte del grande pubblico che rispetto alla fantascienza tradizionale prende le distanze dall’afflato epico del “folle volo” spaziale per riflettere in modo più disincantato e coerente sul rapporto dell’uomo con una realtà sempre più ibrida. Il futuro che la nuova fantascienza racconta non è più qualcosa di lontano ed esotico: è già qui, nelle IA degli smartphone e nella realtà aumentata. È un futuro futuribile, un futuro che ci riguarda.

Queste creature assurde si arrabattano come possono in un universo che appare sempre più privo di senso

Le trionfali guerre planetarie di Star Wars lasciano infatti spazio alla crudezza nichilista di Black Mirror perché il nuovo limite dell’uomo—quello con cui misuriamo la nostra finitezza—non è più il cielo, ma la Terra stessa, quella natura artificiale che l’uomo ha modellato con la tecnica. Ma l’uomo prometeico che all’inizio del Novecento era convinto di poter dominare il mondo e assoggettare la natura al proprio capriccio grazie alla scienza, ha finito per creare un ambiente artificiale ancora più condizionante, le cui potenzialità sproporzionate fanno sentire l’umanità spiazzata e impotente.

Black Mirror si concentra esattamente su questa pervasività tecnologica e sul suo impatto sociale; in Rick and Morty, invece, le invenzioni tecnologiche del nonno-scienziato Rick sono messe in secondo piano dallo sterminato campionario di creature bizzarre che popolano gli infiniti mondi in cui i due protagonisti sono catapultati: altri pianeti, altre dimensioni, perfino un parco di anatomia (Anatomy Park) costruito dentro al corpo di un barbone vestito da Babbo Natale.

Queste creature assurde, teratomorfe, che con il loro aspetto parodizzano animali, persone e oggetti del nostro quotidiano, a ben guardare si rivelano essere talmente vicine a noi da farci dubitare della necessità di distinguerci, di prendere le distanze da loro. Sono come noi: ridicoli e patetici, piccoli e meschini (che dire di una mente-alveare che controlla milioni di individui, ma che soffre di crisi di gelosia sentimentale?), e si arrabattano come possono in un universo che, soprattutto per le specie più evolute, appare sempre più privo di senso.

Ogni puntata è una sorta di viaggio mitologico partorito da un Jules Verne sotto droghe lisergiche e attraversato da un umorismo caustico e nichilista. D’altra parte l’origine stessa del programma è demistificante. Citando Fight Club, i due autori raccontano infatti che l’intento era “distruggere qualcosa di bello”. In questo caso: Ritorno al futuro di Robert Zemeckis. Ed è così che nasce la serie, da un corto presentato a un festival come parodia del grande cult anni ’80, una palingenesi del genere fantascientifico che—per essere efficace—deve sconsacrare i suoi pilastri precedenti.

Rick è un geniale scienziato e un alcolista altrettanto devoto che si fa accompagnare nelle sue scorribande in giro per l’universo dal nipote adolescente Morty, apprensivo e sprovveduto, custode di un comune buon senso del tutto estraneo al nonno—che è invece misantropo, caustico, disincantato e noncurante come può essere solo chi “ha visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare.”

Completa il quadro il resto della famiglia: la madre di Morty—e figlia di Rick—è una donna attraente, mediamente intelligente e immancabilmente vittima delle proprie ambizioni frustrate; il padre di famiglia, Jerry, è quello che definiremmo un maschio beta: insicuro, mediocre e passivo-aggressivo; la figlia maggiore Summer, infine, si contende con Morty l’affetto del nonno.

Le dinamiche di questa famiglia disfunzionale fungono da contraltare alle creature impossibili delle avventure di Rick e Morty, creando un rapporto dinamico tra un universo domestico e l’immensità dello spazio. Ogni membro della famiglia offre un punto di vista particolare che, tra una gag comica e l’altra, lo trasforma in una figura introspettiva con cui lo spettatore si può rapportare, per il modo in cui reagisce davanti all’universo assurdo che nonno Rick spalanca a ogni puntata: chi smania per partecipare, come Summer (nell’ottica del suo disincanto giovanile, il Diavolo non è altro che un “buon datore di lavoro”), e chi, come il padre Jerry, ostenta diffidenza e fastidio misoneista per il fatto di sentirsi una volta di più ridimensionato come individuo e come essere umano.

Proprio attraverso gli occhi della famiglia di Rick, sono le creature di altri mondi e di altre realtà a definirsi come i comprimari più significativi. Come il mesto e laconico Birdperson, dal nome gender queer—che insieme al “gatto” alcolizzato Squanchy è il miglior amico di Rick—, il killer ditteromorfo Krombopulos Michael, la mente-alveare Unity, ex amante di Rick, i criceti che vivono in sederi giganti e tutta la sconfinata compagine di creature a metà tra un mostro di Cronenberg e un organo genitale.

Al tema della tecnologia, qui declinata dal macro al micro, dalle titaniche navi spaziali al “butter passing robot” (realizzato di recente nel mondo reale attraverso una stampa 3D), Rick and Morty mette dunque sul piatto anche il concetto di “ibridazione” presente nelle teorie post-umaniste, secondo cui la scienza è penetrata nel quotidiano trasformando radicalmente la vita umana e la sua definizione: lenti a contatto, bypass e protesi hanno influenzato la concezione del corpo, rendendolo terreno di sperimentazione e manipolazione e rompendo così la tradizionale dicotomia naturale-artificiale.

L’unicità di un individuo è messa in crisi dalle sue infinite versioni ospitate dalle varie realtà

Così Rick and Morty, che di dicotomie non ne vuole sapere, riflette sull’ibridazione in senso lato: dalla protesi meccanica (umana o, come in questo caso, canina) al rapporto con l’animale, il vegetale, l’alieno (categorie che nella serie non di rado coincidono), ci ricorda che non possiamo più distinguerci dall’altro (natura e universo tutto) per antitesi e negazione, avvalendoci di quel pensiero razionale tanto caro all’Umanesimo. In un mondo post-umanista siamo ibridi ambigui come le fantasie erotiche di Rick.

Nel mondo bizzarro di Rick and Morty, in cui la fantascienza incontra il surreale (è il caso anche di Western Glory, un fumetto italiano di recentissima uscita), il rapporto tra umano e non umano emerge come protagonista. Ricorda un po’—e porta alle estreme conseguenze—la vastità di razze del Bas-Lag, il mondo inventato dallo scrittore inglese China Miéville, che nella sua tassonomia di esseri assurdi inserisce anche la categoria dei “rifatti”, esseri umani con il corpo modificato artificialmente come pena giudiziaria. La bioingegneria è infatti importante nella fantascienza attuale almeno quanto la tecnologia. E se una volta era vista in chiave di sperimentazione eugenetica, quindi tendente all’uniformità, ora è esattamente il contrario: la protesi, la modificazione corporea, l’ibridazione portano a un panorama quanto più diversificato possibile.

Ed è questo incredibile melting pot di umani, alieni, oggetti e mostri che Rick ci mette davanti agli occhi. Con Morty in primis, ma in genere con tutta la famiglia Smith, la funzione dello scienziato è quella di relativizzare i confini fino all’impensabile. La famiglia si sta godendo la TV satellitare? Rick mostra che è possibile ricevere la TV dell’intero universo—che estingue in via definitiva qualsiasi idea preconcetta avessimo del significato di “intrattenimento.”

La stessa forma umana, quella degli abitanti del pianeta Terra, è del tutto contingente: con un sole diverso, o magari con due soli, avremmo sembianze radicalmente differenti. L’universo ha infinite dimensioni (come nella teoria del multiverso) che a loro volta hanno infinite realtà, le quali ospitano infinite, alternative versioni di noi stessi (i Rick e Morty che seguiamo sono quelli della dimensione C-137, ma come loro ce ne sono infiniti altri).

Si può essere catapultati in un pianeta governato da donne (Gazorpazorp, spero di trovarti un giorno!) come nella batteria di una navicella spaziale che contiene al suo interno un intero pianeta che a sua volta ne contiene un altro, in un gioco di matrioske. La realtà che conosciamo è messa continuamente in discussione. L’unicità di un individuo è messa in crisi dalle sue infinite versioni ospitate dalle varie realtà; i valori comuni sono spesso sovvertiti in pianeti dove vigono regole e condizioni diametralmente opposte; addirittura, nell’episodio della seconda stagione Total Rickall, viene messa in dubbio l’esistenza stessa di amici e parenti e la veridicità dei ricordi, per colpa di un parassita che abita abusivamente la memoria dei personaggi per sopravvivere.

Sempre nella seconda stagione, la trama secondaria del secondo episodio è un espediente che da solo potrebbe reggere la trama di un film: il videogioco più popolare della galassia, Roy: una vita ben vissuta, che consiste semplicemente nel vivere la vita di un uomo medio, dall’infanzia alla morte, facendogli compiere delle scelte e godendo delle sue piccole gioie. Dopo averci giocato, Morty è talmente frastornato che fatica a smarcarsi da Roy, a realizzare apoditticamente di essere semplicemente un giocatore, distinto da quello che è solo il personaggio di un gioco. E il fatto che per un attimo lunghissimo la sua vita sia stata quella di un altro non fa che sminuire ulteriormente il senso del suo vissuto reale.

Ma la più grande crisi di identità di Morty avviene in Rick Potion (prima stagione), l’episodio in cui emerge più che mai il nichilismo della serie: alla fine della puntata i due protagonisti, per sfuggire all’apocalisse da loro stessi provocata, irrompono in una dimensione alternativa nella quale i loro corrispettivi sono stati uccisi durante un esperimento di laboratorio. Con le viscere dei doppelganger sparse sulle pareti, i due, su indicazione di Rick, seppelliscono i cadaveri e si sostituiscono a loro nella nuova dimensione. L’episodio si chiude seguendo Morty che con sguardo stralunato si aggira per la casa, guarda stravolto i genitori e la sorella e si siede attonito sul divano davanti alla TV.

Più avanti nella serie, quando Summer si lamenterà di essere una figlia non voluta che con la sua nascita ha intralciato i sogni e i progetti dei giovanissimi genitori, Morty le confesserà quell’avvenimento, indicandole dove è sepolto il suo stesso cadavere. Le esperienze che ha vissuto lo hanno portato a mettere le cose in prospettiva e ad assorbire un po’ del cinismo del nonno e chiude la conversazione con una frase gelida eppure confortante, “Nessuno esiste deliberatamente. Nessuno appartiene a qualche luogo. Tutti finiamo per morire. Vieni a guardare la TV.”

Lo youtuber Will Schoder ha anche realizzato un video che esplora il significato filosofico della serie e lo individua essenzialmente nel concetto di “assurdo”, di assenza di significato, paragonandolo al pensiero del filosofo Albert Camus. Secondo Camus e Schoder l’essere umano è come Sisifo, alla costante ricerca di un significato che non c’è. Il significato è un costrutto umano, e ciò non vuol dire che non sia importante, ma che ogni volontà di astrarlo dall’individuo e farne qualcosa di universale è destinata al fallimento.

Qual è dunque la strategia da mettere in atto? Riconoscere e abbracciare l’assurdo. Magari—come suggerisce il video—trarre conforto da ciò che è immediatamente vicino: un contrappunto all’immensità senza senso del reale. Ed è così che la TV, il divertimento fine a se stesso e la compagnia degli affetti diventano più importanti dell’insondabile mistero dell’universo.

Tutto ciò a pensarci ha senso: una persona come Rick non può rifugiarsi in cose come la religione, i valori morali, e nemmeno nella scienza. Semplicemente: sa troppo e ha visto troppo. Per questo il nostro scienziato anarchico si limita a galleggiare nell’abisso del non senso con la sua fiaschetta d’alcol, preservando la propria libertà dalla fantomatica Federazione Galattica: un ubriaco che ride della natura e con la natura del non senso del tutto.

Eppure non è solo questo poetico nichilismo che parla all’adolescente esistenzialista che è in noi la ragione ultima del successo dello show. Il nichilismo può essere affrontato in mille modi diversi e lo spirito con cui nasce Rick and Morty è molto distante dal bacino storico-culturale che ha accompagnato Kierkegaard o Sartre. Non a caso, l’assurdo di Camus qui si reifica in una miriade di personaggi bizzarri ed esilaranti che se incontrassero “lo straniero” Meursault probabilmente gli rutterebbero in faccia.

Qual è dunque la strategia da mettere in atto? Riconoscere e abbracciare l’assurdo

Il nichilismo è certamente presente come contenuto chiave: addirittura è portato alle estreme conseguenze, quasi a voler ridere in faccia al nichilismo stesso. Il modo in cui questo atteggiamento è messo in scena—vale a dire il campionario folle di esseri e di mondi che la serie dipinge—sembra rispondere anche a un bisogno che accomuna tutta l’ondata della nuova fantascienza: il desiderio di accorciare il confine con il non umano (sia esso l’animale, la pianta, l’oggetto, o il robot, l’alieno, il mostro).

È l’antropologo francese Philippe Descola ad affermare che l’essere umano occidentale coltiva l’antico sogno di ricostruire un rapporto significativo con il non umano. Secondo l’antropologo, anche alcune tendenze contemporanee come il successo dell’esoterismo New Age o la moda dei cyborg nelle opere di finzione sono conseguenze di quel desiderio. Forse Rick and Morty non fa eccezione: anche questa sit-com animata, caustica e nichilista, a suo modo risponde all’esigenza—per dirla con Descola—”di ritrovare l’innocenza persa di un mondo dove le piante, gli animali e gli oggetti erano dei concittadini”. O almeno cittadini di un’altra dimensione a portata di portal gun.