Da noi non troverai mai un gambero rosso: bello grasso, facile, buono, ma non avrebbe alcun senso
Gamberi rossi, caviale, ostriche. No, purtroppo non sono gli ingredienti che comporranno la mia cena in riva al mare su un atollo polinesiano. Sono parte integrante del menu di un ristorante di Corte Franca; una ragazza mi ha girato la foto del piatto in Direct con una puntualità disarmante, se consideriamo che ho appena finito di discutere il legame che dovrebbe esserci fra cucina e territorio, a qualsiasi latitudine, e la possibilità di pensare all’alta cucina senza ricorrere per forza a prodotti pregiati.
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Se dal 2022, a New York, gli esigenti palati di Manhattan dovranno rinunciare al foie gras, perché a pochi chilometri dal lago d’Iseo dovrei preferire una tempura di crostacei a una frittura mista di pesci locali?
Partendo dal presupposto che un umile agone rientra nella lista dei miei migliori piatti dell’anno, mi risulta difficile ipotizzare il progetto di un fine dining senza pensare a un qualsivoglia crostaceo o senza piccione, banco di prova onnipresente, su cui ogni cuoco sembra smanioso o obbligato a misurarsi. Ricordo di un addetto stampa, non un giornalista o un critico gastronomico, che nei ristoranti di un certo livello ordinava sempre il piccione per testare il polso della cucina, seppur non amasse il sapore ematico della sua carne. Contento lui…
È giusto che ogni ingrediente rimanga a casa sua
Proprio nel bel mezzo della Franciacorta, ho provato a sciogliere i miei dubbi sul tema prodotti pregiati e alta cucina grazie a Marco Acquaroli, lo chef di Dispensa Pani e Vini, fra i precursori della buona tavola regionale fin dai primi del Duemila, e del neonato Natura, la rinnovata proposta creativa. “La sala è sempre esistita in realtà, perché anche prima avevamo osteria e ristorante separati – comincia Marco – Solo che capisci la difficoltà di comunicarlo, quando entri dalla stessa porta, così abbiamo diviso le entrate e precisato la duplice identità”.
Aperto il 9 febbraio scorso, a firma del patron Daniele Merola, Natura conduce il cliente alla scoperta del territorio lombardo/franciacortino attraverso un’esperienza glocal, basando la carta sul ritmo della stagionalità, su una scrupolosa selezione degli ingredienti, sulla collaborazione con il piccolo artigianato locale e sul ricordo, filtrato da uno sguardo globale. “Non dico nulla di nuovo quando uso il concetto di Glocal, che è il perfetto riassunto di globale e locale – mi racconta Marco – e implica il fatto che da noi non troverai mai un gambero rosso: bello grasso, facile, buono, ma non avrebbe alcun senso”.
La deriva globale non comporta l’approvvigionamento di super rarità da tutto il mondo, ma piuttosto l’uso mirato di spezie, fermentazioni, tecniche di cottura che aiutino a svoltare o rifinire una preparazione o un elemento della nostra cultura. “Anche a Dispensa proviamo a dare uno sguardo internazionale alle ricette classiche: per esempio, nella Cacio e Pepi inseriamo il pepe di Timut, un nepalese dal forte accento di pompelmo, un sentore agrumato che aiuta a pulire la bocca, senza intaccare la fedeltà del gusto originale”.
“Il cliente è libero di muoversi e scegliere in base alle sue preferenze, ma noi siamo consapevoli di dover raccontare e valorizzare la Franciacorta”
È anche e soprattutto un discorso di sostenibilità: “È giusto che ogni ingrediente rimanga a casa sua. Perché dovrei importare una ricciola dalla Nuova Zelanda, pagandola uno sproposito, quando l’Italia è circondata dal mare, ha pesci stupendi, e di conseguenza credo sia giusto tirar fuori il meglio da quello che l’ecosistema ci offre. Il pesce di lago, tanto bistrattato, può dare grandi soddisfazioni, anche se non ha lo stesso impatto e la stessa immediatezza di un pesce di mare o di un crostaceo, che già da crudo esprime tantissimo. Una tinca o una carpa hanno bisogno di marinature, lavorazione e cottura per essere esaltate”. Per la cronaca, garantisco che i cavatelli al ragù di pesce di lago, con zafferano ed erba cipollina, divorati pochi minuti prima, non invidiavano qualsiasi altro sugo.
Forse è sbagliato volersi abbuffare di crudi di mare in Franciacorta, ma consolo Marco ricordandogli che anche Milano ha un pubblico più attento ai plateau e al sushi, rispetto a risotto e ossobuco. “Chiaro, il cliente è libero di muoversi e scegliere in base alle sue preferenze, ma noi siamo consapevoli di dover raccontare e valorizzare la Franciacorta, perché siamo vicini alla Val Camonica, con i suoi formaggi d’alpeggio, il latte, le erbe spontanee. Abbiamo il lago d’Iseo a due passi, con tutto il fantastico pesce lacustre, abbiamo mille realtà contadine con cui collaboriamo per quanto riguarda frutta, verdura e mais, un agriturismo con carne di capra, montone e pecora. Promuoviamo questa grande biodiversità, per poi evolverci, perché ho viaggiato e, per esempio, adoro l’Asia e impazzisco per le loro tecniche di lavorazione”.
“Quando sei all’orto biologico, dal fornitore o davanti una mela, da una parte agisci con la memoria storica, e pensi a una torta di mele, mentre dall’altra sperimenti, evolvi, per poter arrivare a sapori, consistenze e sfumature nuove”
La rinuncia a ingredienti scontati e costosi porta di fatto a una scelta serrata dei micro produttori, perché “se vuoi essere diverso, devi partire da una base diversa. Se vai dagli stessi fornitori degli altri, non potrai proporre qualcosa che si distacchi più di tanto. Da qui nasce l’idea dell’orto biologico, per raccogliere ortaggi nostri, unici, a prescindere dal fatto che siano migliori o peggiori di altri”.
D’altro canto, il fatto di lavorare con materie meno nobili può stimolare e favorire il processo creativo, anche perché Marco ha l’incombenza di sviluppare due menu differenti, uno per Dispensa e uno per Natura, partendo dagli stessi prodotti. Non proprio una banalità.
“Sono agevolato da un’esperienza trascorsa al Four Seasons di Ginevra, dove c’era una bipartizione simile, con il ristorante stellato e il bistrot. Semplicemente creo due menù, con due concetti differenti: a Dispensa la sostanza della tradizione e la cucina classica, mentre a Natura facciamo uno step successivo, a livello tecnico e di complessità, nella trasformazione del prodotto. Ma gli ingredienti non cambiano, la cucina è unica e centrale, in ogni partita i ragazzi cucinano sia per l’osteria che per il fine dining”.
“Il lavoro è abbastanza spontaneo: – continua Marco – quando sei all’orto biologico, dal fornitore o davanti a una mela, da una parte agisci con la memoria storica, e pensi a una torta di mele, mentre dall’altra sperimenti, evolvi, per poter arrivare a sapori, consistenze e sfumature nuove. Fingi di essere davanti al frigo di casa tua, di aver dentro sempre le stesse cose, ma di doverle declinare in due maniere opposte”.
“So benissimo che il cliente che va tre volte all’anno da un tre Stelle Michelin, potrebbe trovarsi spiazzato da una cucina come la mia, ma ho un’idea più giovane e leggera, meno satura di grassi”
L’alta cucina non è fatta per stare lì ferma, cambia visione e impara a fare tesoro del territorio, anche per avvicinare un pubblico più giovane. “Sì, può sembrare paradossale, ma Dispensa ha un target un filo più alto come età, tipo manager in pranzo di lavoro, mentre a Natura arrivano i tanti colleghi giovani che lavorano in zona, oltre agli appassionati. Settimana scorsa, due ragazzi sono venuti da Bologna per festeggiare il loro anniversario. In più, il ricambio generazionale che ha coinvolto cantine e produttori porta a Natura i figli delle famiglie che vent’anni fa venivano da Fusari. E so benissimo che il cliente che va tre volte all’anno da un tristellato, tanto di cappello per carità, potrebbe trovarsi spiazzato da una cucina come la mia, ma ho un’idea più leggera, meno satura di grassi”.
“Oggi essere qui è il mio sogno e mi sembra di essere al posto giusto nel momento giusto, considerando anche che, dopo Expo, le visite, la qualità del prodotto, le associazioni e le manifestazioni sono aumentate in maniera esponenziale”.
Da questo progetto ambizioso e sostenibile ho colto anche l’importanza di saper sognare a casa propria. Così, tornando, inizio a sognare il mio volo per la Polinesia. Non si sa mai che qualcuno mi abbia lasciato un biglietto aereo a casa.
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