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Musica

Boring Machines X: Onga intervista i Father Murphy

Continuiamo a festeggiare il decennale della nostra label preferita. Stavolta abbiamo mandao Onga a intervistare i suoi "figli maggiori": gli incredibili Father Murphy.

Per Boring Machines il 2016 è un anno speciale. Il buon Onga festeggia infatti dieci anni di sudore al servizio dell'underground del nostro paese. I festeggiamenti prenderanno varie forme, ma la più importante di tutte sarà l'edizione straordinaria e post-mortem di Thalassa, il festival di Italian Occult Psychedelia che credevamo definitivamente chiuso, e che invece riprende vita (dal 31 marzo al 2 aprile al solito DalVerme) col nome di Ongapalooza. Dal canto nostro, abbiamo voluto celebrare la label facendo le cose al contrario: ovvero abbiamo mandato Onga stesso a intervistare un po' di artisti che sono stati importanti per la storia di BM, sperando che poi che non si metta in testa di rubarci il lavoro. In questo episodio: Father Murphy.

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Conosco i Father Murphy da molti anni, da prima che mi passasse per la testa di mettere in piedi un’etichetta. Anzi, frequentare il Madcap Collective di cui fanno parte è stata una specie di palestra dove allenarmi in vista della competizione. Pur volendo mantenere un atteggiamento equidistante da tutti i miei “figli”, non posso fare finta che non siano i prediletti. Sarà la vicinanza geografica che ci da la possibilità di incontrarci spesso e crescere assieme, sarà che più di tutti hanno seguito un percorso che guidava i loro ascoltatori verso territori di volta in volta più impervi, garantendo sempre grandi soddisfazioni una volta arrivati a destinazione. Sarà la perseveranza con la quale hanno continuato a camminare, sempre dritti e senza voltarsi indietro, verso l’oscurità.

Quando e perchè avete pensato per la prima volta che Boring Machines potesse essere una casa accogliente per la vostra musica? Vi ricordate come è stato che la vostra musica è finita nelle mie mani la prima volta?
Una volta consolidatici nella formazione a tre, abbiamo iniziato finalmente a fare più live, e, molte delle volte, se non eri tu stesso nell'organizzazione del concerto, eri comunque nel pubblico. Ci hai visto via via abbracciare un percorso tutto nostro, spronandoci a seguire il Male (lo dicevi sempre, mentre Marco Damiani di Silly Boy voleva che diventassimo metal…). Penso sia stato dopo o durante il tour con Gowns e Carla Bozulich, la prima data era stata proprio per Basemental, che ne abbiamo parlato. Erano la prime volte che facevamo dal vivo alcuni dei pezzi che poi sarebbero stati inclusi in "…and he told us to turn to the Sun", insomma, c'era comunione di intenti, e unire i mezzi era semplicemente l'idea migliore.

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Mi piacerebbe sapere, al di là dei classici “apprezziamo molto il vostro lavoro”, cosa ci vedevate in Boring Machines. Quali sono le cose che vi hanno attirato a me?
Dedizione, coraggio, follia, tanta follia.

Ho sempre professato e praticato una forte indipendenza, anche a rischio di perdere alcuni treni per il mio personale desiderio di non allinearmi ad ogni costo. Come ha influito sul vostro percorso di musicista questa cosa e come la giudicate a posteriori?
L'indipendenza è fondamentale, soprattutto se il tuo scopo non è produrre intrattenimento. Essere indipendenti non vuol dire però sottovalutare o sminuire l'importanza della collaborazione. Non si fa niente da soli. Penso che questo traspaia molto dal lavoro di Boring Machines. E il non allinearsi alla fine dei conti penso tu non lo decida a priori, semplicemente tu lo viva. Segui un tuo percorso, arrivando anche a contraddirti magari (Dio sia lodato per l'esistenza dei rimpianti!), ma c'è un'urgenza, una volontà di lasciare una traccia, un qualcosa, che ti contraddistingue. Sappiamo quanto tu possa essere testardo, e ti assicuro che ci è servito come esempio. Ma contemporaneamente hai sempre avuto il bel vizio di confrontarti con gli altri.
Non deve mai mancare il confronto, in modo tale che l'essere indipendenti non risulti poi nell'essere autoreferenziali. Questo l'abbiamo messo a fuoco col tempo, ed è fondamentale.

Father Murphy esiste da più di un decennio ormai, avete alle spalle molti dischi con diverse realtà nazionali ed estere e molti concerti di qua e di la dell’Atlantico. Quali sono le differenze più grandi che avete notato tra l’Italia, l’Europa e gli States per quanto riguarda il vostro lavoro?
A volte cambia il modo con cui la gente si pone nei confronti della nostra proposta. Difficilmente negli Stati Uniti, o nel Regno Unito, siamo considerati un gruppo sperimentale estremo, si concentrano molto di più sulla melodia comunque presente, magari sulla composizione atipica o sulle voci. In Italia, ma anche in altri paesi europei (non però nel Regno Unito), lo si fa spesso e volentieri. E questo mi dispiace, soprattutto quando porta al perdersi sul capire il perchè noi si faccia determinata musica, tralasciando invece il come, o anche semplicemente quale percorso noi si stia percorrendo. Allo stesso tempo però, nei due stessi paesi, USA e UK, dove senti che la musica fa molto più parte della quotidianità delle persone, in modo diverso quantomeno, dove c'è un rapporto meno legato al classico schema in cui è relegata come pura e mera hobby/passione… ecco in questi due paesi, anche per la forte concorrenza etc, i garantiti nei live son ben più bassi ( e all'inizio il più delle volte non ci sono), quindi organizzare ad esempio un tour negli Stati Uniti con la volontà/necessità che alla fine ci sia un profitto, beh diventa più difficile.

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Vuoi certo per le enormi distanze, ma anche proprio per un approccio diverso dei promoter alle band in tour (cena e dormire non sono mai inclusi, qualche volta hai buoni pasto al massimo), e per la situazione visti/spese di viaggio etc… Sarei un'ipocrita se non dicessi che i nostri colleghi da quelle parti, quantomeno all'inizio e per un bel po', di soldi non ne vedono l'ombra.. rispetto ad una situazione dove, qui in Italia, almeno fino a qualche tempo fa, almeno 100 euro erano garantiti a tutti. Poi in realtà, appena band americane e inglesi riescono ad avere un paio di recensioni giuste, ci pensano tutti i promoter e giornalisti delle altre nazioni ad incensarli, invitarli a festival etc… Molte volte proprio per un'appartenenza anagrafica, più che per un valore aggiunto… E mi contraddico subito, perchè in molti casi il valore aggiunto alla fine c'è, ed è proprio la praticità e l'agevolezza con cui le band, ad esempio americane, si pongono nei confronti del suonare. Salgono sul palco, line check veloce, e via, urgenza a mille, e non c'è domani. In molti altri posti, Italia compresa, i soundcheck diventano un'ultima seduta di sala prove, dove viene ripassata tutta la scaletta. Sto buttando tanta carne al fuoco, ci vorrebbe una settimana di chiacchere.

Nessuno è perfetto, si sa. Che critica muovereste a Boring Machines? Ci sono delle cose che fareste in maniera diversa, o vi aspettereste che io facessi diversamente?
Te l'abbiamo già detto, e non smetteremo mai, anche se sappiamo le tue riserve. Noi vogliamo un Onga che si svegli la mattina non per andare in ufficio e dover perdere le successive otto ore a star dietro a calcio/macchinone/figa/produzione/tasse etc.. ma che, pur rimanendo la tua (giusta!) misantropia e tutte le bestemmie, possa lanciarsi a capofitto su questa e quella uscita. Fai già talmente tante cose in modo professionale, che secondo me sarebbe un mondo migliore se persone come te potessero almeno provare a fare quello che fai, l'etichetta, come un lavoro. Prendendo poco, stampando meno, progetti forse meno matti, ma non penso. Magari basta investire qualche soldo su di un qualcuno che riscuota i debiti…

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Come artisti quanto importante è per voi scegliere con cura le persone con cui lavori, sui dischi o sui live? È una questione puramente musicale/economica o entrano in campo anche questioni etiche piuttosto che indirizzi di stampo politico? Vi sono mai capitati episodi che considerate spiacevoli con persone che considerate “brutte persone” sotto questo aspetto?
Non lavoreremmo mai con una persona che non consideriamo vicina. Anche nei rapporti dove si inizia con una collaborazione semplicemente professionale, c'è di sicuro già stima, e conoscenza minima del lavoro altrui, per poi quindi sviluppare maggiore complicità; nel caso in cui si riscontri una distanza in termini "etici/politici", sta certo che anche il rapporto professionale lì finisce. Siamo sempre stati fortunati negli incontri, il più delle volte abbiamo iniziato a fare tour come band spalla, e i vari Carla Bozulich, Deerhoof, Xiu Xiu etc si son sempre comportati come sorelle e fratelli maggiori. Abbiam sempre riscontrato una grande etica punk in queste persone, in questi musicisti, un'etica DIY a cui sottende un grande rispetto per il lavoro altrui.

Un paio di volte magari ci siamo trovati di fronte a persone/musici ancora affascinati da una certa estetica, o soprattutto dall'idea di provocazione associata all'estetica di fascismi vari… Si son sempre rivelati poi molto vuoti e ridicoli, senza alcuna autoironia, dove la fascinazione stessa si fermava o al colore nero o poco più in là… Magari ad un bisogno più o meno inconscio di ordine e disciplina… A livello etico comunque, in generale, alle persone con cui abbiamo a che fare, siano altre band, promoter, pubblico, amiamo citare Cobain, nel dire che "se odiate in un qualsiasi modo gli omosessuali, persone di diverso colore dal vostro o le donne, fateci un favore: (lui diceva) leave us the fuck alone (ma aggiungerei anche) uccidetevi.

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Conduco spesso una mia personale battaglia contro i supermercati della musica come il Primavera Festival e simili, in favore di un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, invece che seguire sul sicuro il gregge una volta l’anno. Qual è la vostra opinione in merito, da musicista qual è la situazione ideale in cui vi piacerebbe poter lavorare?
Siamo ovviamente d'accordo con te. Non sono assolutamente contrario all'intrattenimento, e capisco (faccio l'ironico) che, in generale, la gente abbia bisogno di grandi eventi per giustificare uno spostamento o per sentirsi appagata; contemporaneamente quanto tu auspichi, ovvero un maggior numero di persone che vanno ai concerti tutto l’anno, sarebbe auspicabile quantomeno da chi ascolta già certe proposte. Purtroppo però il Primavera, come l'ATP, si può permettere di far accadere la reunion di praticamente qualsiasi band, trend che purtroppo sta mettendo tutti d'accordo, e quindi addio. Questa cosa delle reunion ha rembicillito e massificato, se possibile, ancor di più il pubblico di festival e concerti… Non c'eri quando una tal cosa succedeva? Amen, l'hai persa. Il passato è passato, il presente è spinta verso il futuro. Guarda com'è messa l'Italia per continuare in primis a guardare il proprio glorioso passato, e concentrarsi poco sul presente e, quindi, futuro. Per quanto riguarda noi, penso che la situazione ideale non sia quella di un festival estivo, all'aperto, e con tanta gente pronta a divertirsi. Poi in realtà dipende anche da cosa uno intende per divertimento. Meglio essere precisi. Noi ci divertiamo spesso. Se vieni ad un nostro concerto però, ma come per molte altre realtà, il divertimento non sarà nelle chiacchere con amici, nel passare da palco a palco come fossero gabbie di uno zoo etc…

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Abbiamo suonato lo scorso al Supernormal in Inghilterra, ed è stata una bellissima esperienza. Sono eccezioni comunque. Come il Mouth to Mouth di Gira, ospitato dentro a recipienti già ben rodati (nel nostro caso l'ottimo Le Guess Who di Utrecht),oppure il Sonic City a Kortrjik, in Belgio, dove hai ogni anno un curatore diverso. In generale la situazione ideale per noi è un luogo pensato per far suonare dal vivo, con il bar non nella stessa sala dove poi noi suoneremo. Dove la gente paghi per entrare, in modo che effettui una scelta; poi può essere una chiesa sconsacrata, una galleria, un museo, un locale. Poi ci conosci, alcuni dei concerti più belli della nostra carriera sono stati in basement americani, o in cripte inglesi con lapidi per pavimento. Diciamo che se si riescono ad unire intenzioni, dedizione e quel minimo di professionalità, è difficile scornarci.

Vi è mai capitato un episodio davvero spiacevole in occasione di uno dei vostri concerti? Una di quelle cose che per un attimo ti fa balenare l’idea di mollare tutto?
No, per fortuna no. Abbiamo pensato si di mollare tutto, e di rintanarci in un'isola deserta, ma mai in seguito ad un episodio singolo.

Vi è mai capitato invece, al termine di un concerto, di pensare “stavolta abbiamo fatto veramente schifo”, al netto della normale autocritica che si fa dopo i live? Quando è stato e perchè?
Non penso ci sia mai successo, oltre appunto ad una sana autocritica in seguito ad un brutto concerto. Ci è però capitato di non sentirci magari dentro alla performance, di essere stati magari bravi attori nel ricreare una performance con una propria ritualità, senza però, effettivamente sentirla. Penso sia normale, in determinate annate facciamo talmente tanti concerti che a volte diventi un po arido, magari anche senza volerlo, e ti chiudi. È una sensazione strana, di disagio, ti senti un po', non so come definirlo senza esagerare, ma un po la sensazione è quella di barare. Ma forse appunto esagero. Purtroppo davvero tutta sta cosa del senso di colpa è vera, o quantomeno noi, tanto nell'infanzia e adolescenza quanto (magari meno) nella vita da adulti, ne siamo stati e ne siamo segnati. Dovremmo fare una class action e chiedere i danni. Altro che Go Frances…

Cosa state preparando per il futuro?
Stiamo lavorando alla colonna sonora di The Cadence, primo lungometraggio di Luca Dipierro. È un progetto ambizioso, dove la colonna sonora a volte arriva prima delle immagini, e quindi ne detta quantomeno il montaggio. Dove a volte sono presenti già svariati suoni, registrati dallo stesso Luca, o le immagini sviluppano una sorto di sonoro anche solo "avvenendo" che noi dovremo in primis capire se davvero serva aggiungerne altri, di suoni, e se sì, come. Lavoriamo a distanza con Luca, e ogni tot ci incontriamo e facciamo il punto. Non riesco a pensare al nostro percorso senza di lui, la nostra musica che inizialmente era per film non girati, sta diventando sempre di più la musica per film, corti o lunghi che siano, di Luca Dipierro. L'atmosfera musicale di una determinata scena, sarà poi anche, seppur rivista, presente nel nostro prossimo album. Essendo la scena un requiem, l'album potrebbe magari essere l'ultimo per il nostro Father Murphy.

Non ci dispiacerebbe poi nel futuro provare a fare altre collaborazioni nel lavorare a colonne sonore per cortometraggi come film. Provare a prestare la nostra capacità di creare sensazioni e atmosfere sonore ad un bagaglio altrui di immagini, adattando la nostra creatività al servizio di qualcun altro, senza arrivare appunto alla simbiosi che si sta sviluppando con Luca. Se qualcuno che legge fosse interessato a proporci un progetto, o anche solo incuriosito, scriveteci! Nonostante appunto alcuni pensino che noi si sia scuri e depressi, in realtà sputiamo tutto il nero nella musica, e nella vita di tutti i giorni siamo persone solari, magari un po' misantrope, ma comunque pronte al confronto. Prendiamo sul serio solo quello che facciamo, di certo non noi stessi

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