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Rosa Chemical, ‘Forever’ e la voglia di distruggere le etichette

Rosa Chemical

A maggio di quest’anno esce Forever, l’album che segna finalmente il debutto ufficiale di Rosa Chemical, artista fluido e mercuriale, poco incline alle definizioni. Il suo nome circola però da molto più tempo, e da un bel po’ di tempo è in effetti anche associato, tra gli altri, alla trap hardcore della FSK Satellite.

Benché i primi passi siano del 2018, è solo l’anno successivo che Rosa, cioè Manuel Franco Rocati, inizia a farsi sentire per davvero. Lo fa grazie alle collaborazioni con Longneck e 4L, e il primo EP Okay Okay !! che oscilla tra la matrice hardcore e il nonsense più indecifrabile, cosa che già avrebbe dovuto farci capire quanto facesse “sul serio”, e quanto il discorso sul lol rap non avesse mai davvero retto.

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E ora che Forever è fuori da un po’, vale la pena ragionarci a dovere, a partire da quella direzione artistica affidata alle mani del producer Bdope, uno con le idee chiarissime sulle sonorità del disco, affiancato dalla visione e dai guizzi di Rosa Chemical stesso. I due plasmano i suoni finché non si trasformano in un vero e proprio corpo musicale, attraversato da numerosissimi generi così come innumerevoli vasi sanguigni innervano ogni essere umano, e le diramazioni del sistema nervoso, gli organi e tutto il resto ne tengono in piedi le funzioni vitali.

Si parte dalla trap conscious di “Rose & Rovi” per cedere poi al freestyle di “Raf Simons”, si passa dalla ballad-reggaeton di “Boheme” per precipitare nel vortice oscuro—e ancora conscious—di “Paradiso”. Forever è un disco davvero trasversale, un prodotto dalle mille sfaccettature che non ha affatto paura di arrivare ad un pubblico e un orizzonte più ampi, tant’è che ha ricevuto parole di stima da alcuni colleghi più anziani e persino dal corregionale Ensi.

Il progetto Rosa Chemical è probabilmente l’evento che ha spaccato in due la corrente musicale del 2020 e delle ultime tendenze che agitano le acque del mercato discografico italiano.

Il progetto Rosa Chemical è probabilmente l’evento che ha spaccato in due la corrente musicale del 2020 e delle ultime tendenze che agitano le acque del mercato discografico italiano. E aggiungiamoci pure che sulla carta è un disco di esordio, ma non per questo meno importante, tutt’altro.

Quando sottolineiamo la rilevanza di Forever dobbiamo infatti pensare anche agli artisti all-star coinvolti: che si tratti dei vari producer—Mace, NIKENINJA, Dbackinyahead, Greg Willen—o dei nomi più gettonati del rap e della trap italiana—Dani Faiv, Rkomi, Thelonius B., Boro boro, Wayne Santana. Ma soprattutto al fatto che l’album ragiona su un processo di decostruzione: edifica stilemi e linguaggi per poi rovesciarli del tutto e quando meno ce lo aspettiamo.

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Ci chiediamo ancora adesso se Rosa Chemical provenga da un pianeta alieno—Nicolas Roeg ci avrebbe girato senz’altro un film—o si tratti semplicemente di un artista a tutto tondo che ci tiene a seguire tutte le fasi e a cui piace trovarsi anche nei panni del performer. Basta guardare qualche suo videoclip ben confezionato per comprendere il fenomeno e osservare i risultati.

In Forever, veniamo invitati più volte a riflettere su varie tipologie di dualismo, nonché sull’amicizia e sul modo di vivere la sessualità in una società come quella italiana, in parte ancora soffocata da tabù e dal retaggio fortemente cattolico. A Rosa Chemical abbiamo quindi fatto qualche domanda sull’accoglienza rumorosa che sta ricevendo il disco, sul linguaggio (de)costruito) del rap, sul ruolo che oggi ha l’artista e molto altro

Noisey: Perché hai deciso di intitolare l’album Forever? Che bisogno hai di eternità?
Rosa Chemical: Il titolo ha diversi significati, uno dei tanti è proprio il durare per sempre e il bisogno di esistere tramite quello che faccio, che sia la musica o le grafiche, i quadri o i graffiti. Ma Forever non è solo legato a questo concetto, bensì a molteplici punti di vista, visto che nel disco coesistono personalità e musicalità diverse, benché Forever sia appunto un invito affinché le cose e gli eventi durino per sempre. Il disco vuole essere questo.

Forever ha diversi significati, uno dei tanti è proprio il durare per sempre e il bisogno di esistere tramite quello che faccio, che sia la musica o le grafiche, i quadri o i graffiti.”

Quanto hai lavorato al disco? Ha senso continuare oggi a produrre dischi e non semplicemente singoli o al massimo EP, c’è bisogno di quel senso di coesione?
Io sono un grande ascoltatore dei full-length, e arrivo da ascolti molto diversi tra loro, che variano dal metal all’hip-hop, passando per il pop. Vanno bene anche i mixtape e gli EP, certamente, ma secondo me un lavoro complesso come uno studio album ti fa comprendere cosa è in grado di fare veramente un artista, e soprattutto quel che vuole trasmetterti. Cosa che magari un EP di sei tracce ti consente di fare fino ad un certo punto.

Dunque, secondo me ha senso continuare a fare dischi, ma non tanto per una questione di numeri, visto che può andare bene pubblicare singoli e videoclip ben studiati. Per quanto riguarda Forever: ci abbiamo dedicato sei mesi, però il lavoro arriva da ben prima, visto che è servito più di un anno per realizzare le prime tracce, mentre pensavamo agli step successivi. E poi abbiamo inserito tracce vecchie di due anni. Quindi ci è voluto un anno per la struttura, sei mesi di lavoro, più tre mesi divisi tra produzione, mix e master in studio.

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Forever è attraversato da innumerevoli e diversi generi, come diverse sono le anime che lo compongono. Ma ci ho visto un tentativo di rovesciarne i linguaggi. È così?
Assolutamente. Ho sempre detto che non voglio etichettarmi con nulla: anche quando faccio rap o trap sono sempre rivisti a modo mio. Non voglio avere nessuna etichetta, ma una mia personale chiave di lettura dei generi. Il disco è attraversato da tanti generi, non sono sceso a compromessi, anche quando ho cercato di fare il pop non mi sono limitato a quello canonico. Questo è ciò che continueremo a fare, mantenere e mettere in circolo la nostra impronta stilistica.

Con Bdope e i producer ospiti come hai inquadrato la direzione artistica? La maggior parte dell’album è stato prodotto da Bdope, affiancato un paio di volte da DBack e con la partecipazione di producer del calibro di Mace e Greg Willen, nonché i portentosi Luca La Piana e Nikeninja. Da sempre curo nei minimi dettagli la direzione artistica del mio progetto e sono super pignolo anche sulle strumentali, tanto che spesso infatti mi ritrovo a dare indicazioni sul beat, individuando elementi che poi caratterizzeranno il brano.

“Da sempre curo nei minimi dettagli la direzione artistica del mio progetto e sono super pignolo anche sulle strumentali, tanto che spesso infatti mi ritrovo a dare indicazioni sul beat.”

Il disco in pratica viene lavorato a quattro mani, anche se poi il lavoro tecnico resta ovviamente del produttore. In passato ho avuto diverse esperienze con produttori molto bravi, ma con Bdope è cambiato il mio modo di fare musica, perché la musica l’ha studiata. Con lui è stato molto più facile tradurre l’idea che ho in testa su uno spartito o su Logic, tanto che a volte mi ritrovo a canticchiare dei passaggi accanto a lui, e dopo poco è tutto trascritto su carta. Un altro pianeta: Bdope è molto, molto bravo.

“Rose & Rovi”, il brano di apertura, è una potente dichiarazione d’intenti. Cosa hai voluto trasmettere con un inizio del genere?
Sicuramente quel brano mi ha tolto dalla bocca un po’ di parole che sanno di rivalsa. Racconta di un passato difficile, e di un futuro che spero possa donarmi speranza. Mia madre è la mia fan numero uno, con lei ho un rapporto incredibile, tant’è che l’ho voluta citare in questo pezzo. “Rose & Rovi” è una sorta di dedica alla vita, un inno alla costante ricerca di un cambiamento. Con una prima parentesi dedicata al dualismo delle mie personalità.

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Tra le influenze sembra essere forte l’eco di Bowie e del nuovo Achille Lauro, anche se ci ho visto più l’esuberanza eclettica di Bad Bunny, quasi a delineare un “nuovo glam” nel rap e nella trap italiana. Cosa apprezzi di un’icona come Lauro e del suo percorso artistico?
In realtà apprezzo bene o male tutto. Achille Lauro lo seguo dagli albori e lo rispetto, anche se questo paragone mi sta un po’ stretto, perché in realtà era molto più facile arrivare ad altri nomi. Sicuramente, per estetica e vestiario—l’uso dello smalto, etc—, viene subito in mente il nome di Achille Lauro, resta però un’accostamento automatico quanto superficiale. La chiave di lettura in realtà è un’altra rispetto alla sua, è simile il messaggio ma non è esattamente quello. Mi ispiro ad altri nomi, come appunto a Bad Bunny, che ha molte più cose in comune con me.

“Nuovi Gay” dice tutto nella prima strofa—“La mia generazione è diversa / Abbiamo lo smalto rosa / Mhm, abbiamo la borsa, gli occhiali da donna”—, si può quindi fare musica normalizzando gli orientamenti sessuali e gli stili di vita. Eppure stiamo facendo molti passi indietro: cosa ne pensi, e su cosa dovremmo lavorare a livello di singoli e società?
È molto complicata questa domanda (ride, NdA). La nuova generazione—come la chiamo io—vuole avere la libertà di essere se stessa e di vivere la vita senza preconcetti e pregiudizi. Mi auguro che sia chiaro a tutti che l’estro possa essere palesato in molteplici aspetti, che prescindono dalla sessualità. Non si tratta solamente di libertà di espressione, ma non capisco come nel 2020 ci possa ancora essere del bigottismo sulla sessualità. La gente poi si chiede sgomenta perché si celebri una manifestazione come il Pride, come se non fosse necessario. Ma non è così che stanno le cose, c’è ancora tanta omofobia in giro e la cosa più spaventosa è che si manifesta anche nelle dinamiche più sottili.

“La nuova generazione vuole avere la libertà di essere se stessa e di vivere la vita senza preconcetti e pregiudizi. Mi auguro che sia chiaro a tutti che l’estro possa essere palesato in molteplici aspetti, che prescindono dalla sessualità.”

Su cosa dovremo fare come società e singolo, ci sarebbe molto da dire, ma ritengo sia necessario partire dalla demolizione di alcuni paletti. L’adulto non mi spaventa più di tanto. Ho vissuto per un po’ di tempo con un soggetto razzista e omofobo, e quando c’era da affrontare alcuni temi, rabbrividivo al solo pensiero. La cosa che mi spaventa di più sono i giovani perché si lasciano inculcare queste idee. Sono sbagliati i messaggi che vengono veicolati. Bisogna guardare alle persone probe e che il messaggio universale sia “vivi e lascia vivere”. Il cambiamento deve partire dal singolo individuo solo affinché diventi collettivo. Quello che sto cercando di fare, oltre che sviluppare il tema nelle sue molteplici sfaccettature, è esorcizzare determinati concetti e normalizzare tutto questo affinché la gente ne discuta. Bisogna che certe abitudini diventino consuete.

A fine ascolto si ha la sensazione che il progetto Rosa Chemical sia in realtà il cavallo di Troia che vuole rovesciare il rap italiano. È così? E che direzione vuole prendere Rosa Chemical?
Sicuramente volevo rovesciare questo genere, anche se non mi ritengo fino in fondo un rapper perché dipingo e curo la direzione artistica: mi definisco un artista e creativo perché faccio tante altre cose. Comunque sia, la scena a cui appartengo è quella per ora, certo. La strada è ancora lunga, ma qualcosa si sta già muovendo, abbiamo smosso le acque. La cosa che mi ha fatto più piacere è stata l’approvazione da buona parte dell’ambiente e da gente che è presente nella scena come Ensi.

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All’inizio non aveva compreso il progetto, ma dopo qualche ascolto mi ha scritto per farmi i complimenti sinceri. Ricevere parole di stima da una leggenda come lui mi ha fatto stare bene. Abbiamo peraltro degli amici in comune, perché siamo della stessa zona e città. Quindi ben venga tutto questo, mi ha fatto mega piacere il complimento sul disco e il commento di alcuni produttori forti. Mi hanno fatto capire che il progetto a loro è arrivato, perché innovativo e con tanti concetti.

Quale leggerezza o errore hai cercato a tutti i costi di non compiere, essendo questo un esordio importante?
Soprattutto, non ho voluto fare un disco leggero. Non volevo che venisse fuori un disco classico da rapper medio con uno stampo ben preciso, delle tracce tutte confinate in un genere, e da hit assolute. Desideravo un disco completo, con tanti generi e influenze diverse, volevo che si sentisse chiaramente quel che ho affrontato in passato. Ho cercato di comporre un lavoro che mi consentisse di avere più libertà in termini musicali, un modo di lavorare da sempre legato all’idea di fare dischi con arte. Forever è una via di mezzo tra l’approccio simpatico—vedi “Slat” e “Polka”—e un altro più serio e oscuro—vedi “Boheme” e “Paradiso”.

“Non volevo che venisse fuori un disco classico da rapper medio con uno stampo ben preciso, delle tracce tutte confinate in un genere. Desideravo un disco completo, con tanti generi e influenze diverse.”

Ogni featuring arricchisce i concetti grazie a ogni artista da te coinvolto. Cosa hai cercato in ognuno di loro?
Tutte le collaborazioni—tranne Thelonius B., perché venuta prima—sono nate in periodo Covid19, e quindi purtroppo a distanza, grazie alla classica stima reciproca e agli scambi di messaggi su Instagram. In Londra mi serviva una figura artistica, che come me stesse dietro al concetto di pop, perché avevo il desiderio di fare un pezzo pop con la mia chiave di lettura: Rkomi era perfetto per lo scopo ed è stato un sogno che si è realizzato, bellissimo.

Volevo invece scartare “Slat” perché senza feat da solo non reggeva e io volevo assolutamente farla con Dani Faiv; cazzo se è diventata una delle mie preferite, ha spaccato completamente in due il pezzo! Per quanto riguarda “Slime”, invece, mi ha passato Wayne un pezzo suo, mi ha passato una bomba e io ho risposto: “Facciamolo, che altro ti devo dire!” (ride, NdA). Con Boro Boro avevamo poi un pezzo vecchio messo da parte. Io e lui siamo grandi amici e facciamo davvero tanta musica assieme, ci becchiamo in studio molto spesso ed è una collaborazione che si è rivelata proficua.

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Raccontami diParadiso”: perché cominci dicendo “Non puoi capirmi / Sarò quello buono tra tutti i cattivi / Sarò luce se l’ombra accomuna questi ragazzini”?
È stata fatta in un periodo in cui mi erano accadute cose brutte,è un brano che racconta di un periodo buio, accompagnato da un lungo ban su Instagram. Il fato sembrava ce l’avesse con me e anche nella vita privata ho avuto dei cambiamenti radicali. In questa traccia “canto dalla parte dei buoni”, ma diciamo che non ha un significato universale, andando a scavare ho trovato tutto il periodo negativo di rabbia e sofferenza e mi è venuto spontaneo chiedermi: ma ci sarà mai un Paradiso, e, se mai ci sarà, com’è fatto? Tutte quello che ho fatto e ho ricevuto che peso avrà sulla bilancia?

InOcchio e Croce” dici “È il talento che fa l’arte / La furbizia che fa tutto”. Cosa vuol dire e cosa comporta essere furbi nell’industria musicale odierna?
Esempio: ci sono tantissimi artisti più bravi di me a rappare e quindi coltivano il talento e l’arte. Ma senza la furbizia non riuscirai mai a intrufolarti e a fare determinate operazioni, verrai sempre superato da quello scarso, ma più furbo di te in altri modi. I numeri non corrispondono assolutamente alla qualità artistica, però ti portano verso uno status, a una popolarità tale che non ottieni solamente con l’espressione del talento artistico.

“Ci sarà mai un Paradiso, e, se mai ci sarà, com’è fatto? Tutte quello che ho fatto e ho ricevuto che peso avrà sulla bilancia?”

Il disco è stato accompagnato da un progetto fotografico realizzato con Riccardo Cagnotto: per quale ragione, e qual è il tuo scatto preferito?
Quello che volevo fare era un disco estetico già di suo, senza fotografie, ma che evocasse delle immagini ben precise durante l’ascolto. Comunque lo scatto di “Slime” è il mio preferito: mi ritrae su un corpo di una donna, come simbolo del mio dualismo. Sicuramente è l’immagine più limpida e sincera del mio essere.

Forever grida “Questo sono io, Rosa Chemical”, dall’inizio alla fine. Tanto che hai dichiarato “Oggi voglio provare il brivido di essere giudicato e definito da ciò che ho sempre nascosto.” Il tuo pubblico come ti ha accolto?
Il disco è stato recepito bene, così come la mia personalità. La maggioranza ha approvato, a parte le critiche che ho ricevuto sull’uso della n-word e non solo, quelle sono state ben poche. E quando mi arrivano lasciano il tempo che trovano, perché sono ridicole e non argomentate. Senza contare chi in direct mi insultava usando la parola con la f. Non mi fa né caldo e né freddo. Il mio pubblico ha risposto con affetto a Forever, e mi va bene così.

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Da “Nuovi Gay” a “Polka”, i motivi per creare scalpore, critiche e problemi sono mille: dalla n-word (che si dice riferita a Radical), all’usare “la parola con la f”, e in particolare il video di “Polka”. Si tratta di una ricerca dello shock puro e semplice oppure è semplicemente il modo in cui ti esprimi? In tal caso, non pensi abbia senso, e che sia lecito, che qualcuno possa sentirsi offesoa maggior ragione oggi, tra Black Lives Matter, #metoo e rigurgiti di omofobia?
Allora, “Polka” vuole essere entrambi: il video divertente vuol far parlare di sé, verissimo, ma all’interno contiene un sacco di denuncia sociale. Abbiamo ricreato situazioni di cui la gente non parla, e c’è una scena che vedono in pochi, cioè una situazione che presenta me, una ragazza e un bambino di tre anni in braccio, davanti una bottiglia di crack e una sigaretta, e alle nostre spalle c’è una roulotte. La n-word? Tutto voluto, c’è ovviamente chi si sente offeso, ma è stato l’1% a scrivermelo. Tutte le altre critiche mi sono arrivate da chi veniva da un ascolto superficiale del pezzo. Quindi, se pensano che io sia razzista il problema lo hanno loro, perché non vedono cosa sto facendo in termini artistici e di attivismo.

Io mi schiero sempre dalla parte degli oppressi. Il mio intento è quello di svuotare la parola—così come quella con la f—del significato d’odio, normalizzare tutto quanto. Come avrai sentito, non uso mai quel termine in modo dispregiativo, mai. Noi siamo per l’antirazzismo e l’antiomofobia: vogliamo eliminare il significato di odio che c’è dietro una parola. Le critiche che mi sono arrivate sono queste: “Ah, ma quindi Rosa è il nuovo Ku Klux Klan!” Hanno bisogno di portare avanti una gogna mediatica senza informarsi sul mio impegno artistico e sociale. Non si rendono conto che stiamo portando avanti la stessa causa. Addirittura, ho ricevuto delle critiche perché ero tra i testimonial del Pride Month di Spotify.

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