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Musica

Non abbiamo mai chiesto un ologramma di Biggie

Mettiamo via la nostalgia, spegniamo le lucette e lasciamo che i morti facciano i morti.

Immagine di Lia Kantrowitz

Qualche giorno è stato annunciato che Faith Evans, la vedova di B.I.G., Voletta Wallace, sua madre e ByStorm Entertainment, la compagnia che si occupa dei diritti d'immagine del rapper si sono messe d'accordo per autorizzare una società che si occupa di grafica e produzione olografica a creare un ologramma di Biggie. Allo stesso tempo il travagliato The King and I, un album/duetto tra Biggie e la Evans, è prossimo all'uscita e l'ologramma comparrà in uno dei video, oltre che sul palco come ospite speciale della reunion di Puff Daddy & The Family al Brooklyn Barclays Center. Qualcuno di voi per caso sentiva l'esigenza di tutto questo?

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Il business della musica postuma è qualcosa di strano, soprattutto nel campo dell'hip-hop, e di solito si regge su un'intricata rete di opportunisti, avvocati e tribunali. Nel migliore dei casi il risultato è una cosa come quella capitata a 2pac, con una quantità di materiale formidabile messo insieme inizialmente con cura e distribuito con criterio, ma che nel giro di qualche anno è diventato pura spazzatura, con 2pac che si è trovato suo malgrado coinvolto in fare featuring insieme ad esseri umani che non ha effettivamente mai incontrato in vita sua. Altre volte la situazione è come quella di J. Dilla, dove le release di qualità si susseguono ai litigi tra amici, parenti e colleghi dell'artista, lasciando i fan con il dubbio se sia moralmente corretto sostenere un disco nuovo venuto fuori in questo modo. Life After Death, uscito dopo l'uccisione di Notorious B.I.G. nel 1997, ha reso pubblico quasi tutto il materiale (non molto, per la verità) che il rapper si era lasciato alle spalle, senza lasciare granché per gli anni a venire.

E infatti Born Again del 1999 ha offuscato quella che sarebbe potuta essere a tutti gli effetti una discografia perfetta e ha spinto senza motivo la voce di B.I.G. accanto a star del momento come Eminem, i Cash Money Millionaires, Busta Rhymes e altri ancora. Anche quando l'esperimento sembrava funzionare (“Dead Wrong,” “Dangerous MCs”) la tecnica di produzione di reverse engineering costruita attorno alla voce di un rapper il cui punto di forza era avere il pieno controllo di ciò che succedeva in studio, ha tolto la gran parte del valore del lavoro di Biggie. Duets del 2005 si è preso ancora più libertà, in un delirio di featuring che passano senza senso alcuno da Bob Marley ai Korn, ma era tutto ok, perché il sottotitolo del disco The Final Chapter, lasciava intuire che questo stupro artistico fosse finalmente finito.

Dieci anni dopo abbiamo scoperto che non era così e, anche se The King and I potrebbe essere un bel disco—Faith è una cantante straordinaria e questo progetto significa molto per lei—non c'è mai stato nulla di paragonabile a Biggie nella sua discografia. È difficile avere fiducia in un disco del genere, dopo che gli ultimi due progetti hanno tradito l'eredità di Biggie in modo così netto (sempre con Faith e Puff alla produzione esecutiva), ma in questo caso i protagonisti sembrano trepidanti all'idea di farlo ascoltare al pubblico. In un'intervista del 2014 Faith ha promesso che avrebbe realizzato un disco completamente nuovo e non un semplice atto di glorificazione della carriera di Biggie, o un richiamo a Born Again e Duets. Nonostante questo, è impossibile non intuire un comportamento quasi morboso in quest'urgenza di far duettare la voce di un morto con artisti che non hanno nulla a che spartire con la visione che aveva in vita.

Questa storia dell'ologramma è messa sotto una luce ancora più sinistra dopo le recenti performance di 2pac, Eazy-E, Ol' Dirty Bastard e Michael Jackson, tutti spettacoli che sono risultati decisamente fuori luogo, per quanto probabilmente studiati da persone e imprenditori sinceramente innamorati del lavoro dei loro idoli. 2pac sul palco del Coachella è stato uno dei momenti più artisticamente sbagliati della nostra generazione e l'apparizione di Ol' Dirty Bastard al del Rock The Bells è arrivata dopo una serie di difficoltà tecniche che hanno spinto lo stesso Method Man a fare un passo indietro. Non sono questi il genere di episodi che arricchiscono l'anima di un fan. Siamo più che felici di lasciare i nostri artisti preferite a godersi la vita eterna, incisa sui loro dischi, ma non ci importa nulla di queste esperienze accuratamente ingegnerizzate che provano a rubare qualche emozione in più alla Signora Morte.

Perché sprecare questi sforzi tecnologici per portare sul palco dei fantasmi posticci di star del passato? Perché invece non utilizzare la stessa tecnologia per costruire spettacolo più interattivi e palchi più entusiasmanti. Nessuno qui si dimenticherà mai di Notorious B.I.G., e se anche a qualcuno dovesse capitare di farlo, non sarà un fantasma in 3D a impedirlo. Mettiamo via la nostalgia, spegniamo le lucette e lasciamo che i morti facciano i morti.