FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

O come Ornella

Sfere magiche, synth, jazzisti, e Ivano Fossati come maggiordomo. Negli anni Ottanta, a Ornella Vanoni non fregava niente di nessuno. Proprio come oggi.

Se non avesse fatto la cantante, che cosa le sarebbe piaciuto fare? «L'estetista. Ho anche il diploma. Siccome avevo l'acne, sono andata a Ginevra a studiare».
(Dal libro A Tu Per Tu, Le Carcerate Di Trieste Intervistano Ornella Vanoni — 2015)

Come voi gentili lettori ben saprete, Italian Folgorati si occupa volentieri di icone musicali italiane di cui si conoscono poco lati oscuri e produzioni bizzarre, spesso preda dell'oblio. Vero è però che molti di questi personaggi si rifiutano di gettare la spugna, dipendenti dai riflettori, incapaci di mettersi da parte. Non è il caso di Ornella Vanoni, che proprio in questi ultimi mesi ha annunciato il suo ritiro dalle scene con un tour autobiografico dal titolo Un Filo Di Trucco Un Filo Di Tacco: in effetti una perfetta sintesi del personaggio. Ornella da ottuagenaria sicuramente arriva alle giovani generazioni come un magico racconto delle nonne: questa ragazza di buona famiglia che viene tenuta a battesimo da Strehler prima, e da Jannacci e Fo poi, e che con le "canzoni della mala" diventa definitivamente una "bad girl" è un po' come la storia di Cenerentola al contrario.

Pubblicità

Tant'è che da certe testate viene additata come la prima ad aver portato il radical chic in musica e di conseguenza la borghesia italiana al potere (!!!). Sfugge un po'a tutti i detrattori di Ornella che i suoi dischi li comprava prevalentemente la gente del popolo e non gli industriali (i quali avevano ben altri passatempi) e che la Milano da bere di Craxiana memoria, all'epoca in cui sbocciò, invase praticamente tutti gli strati sociali. Compreso me che scrivo e che all'epoca avevo 8 anni e se non c'erano i puffi in tv piangevo. Rovesciando la critica da un altro punto di vista, potremmo dire che invece Ornella ha portato "lo schifo" nel patinato: la sua relazione con Gino Paoli, all'epoca considerato uno iettatore, la sua connection con Tenco, Califano, Roberto Carlos, Umberto Bindi e la sua grande carica sessuale le hanno sempre procurato casini sia da destra che da sinistra, additata praticamente ovunque. Se poi aggiungiamo che l'album La voglia La Pazzia… del 1976 in cui interpreta brani di Moraes e Toquino viene considerato uno dei più bei dischi della musica italiana, evidentemente ci si accanisce solo col personaggio.

Vero, la Vanoni canta il Brasile con la sua voce assolutamente fuori dagli schemi, sgusciante, talvolta di languida plastica, dai toni fluorescenti e alla morfina, e sicuramente non aderente al samba delle origini, ma più che un discorso di snobismo borghese il suo è un discorso di "futuro". Come se il samba lo ascoltassero i fans di QT, la Vanoni applica la sua mancata vocazione di estetista alla canzone, rendendola, bisturi alla mano, splendente. Interpretare una canzone significa far passare il messaggio attraverso il buco nero, e in questo senso la Vanoni ha dimostrato che, se il suo è—come diceva Manfredi—un samba da cartolina, l'altro è quello dei comunicati ufficiali stalinisti. La Vanoni non intende fare samba, ma gettare le canzoni fuori dalla storia, in uno spazio alieno in cui nessuno può strumentalizzarle, e questa pratica viene applicata dalla nostra eroina praticamente in ogni campo musicale. Affinando, tra l'altro, la tecnica, diventando una delle più grandi interpreti di jingle pubblicitari in Italia, campo in cui il dono della sintesi è prezioso e l'illusione multimediale essenziale. La Vanoni piegherà tutto questo ai suoi voleri.

Pubblicità

Ad esempio, la disco music. Dopo la sbronza cantautorale, il successo commerciale e l'iniezione di Brasile, la Vanoni comincia ad averne abbastanza e cerca nuove strade. Per ora le sue intuizioni le hanno sempre dato ragione, tant'è che fra un crollo nervoso e un altro, un amorazzo e un altro, nel 1974 fonda un'etichetta indipendente, la Vanilla, che sfornerà successi a rotazione. Per funzionare bisogna però ripartire da zero, e così, invece di affidarsi solo ai soliti autori di grido, Ornella chiama i New Trolls (all'epoca imbevuti di Travoltismo) a scrivere le canzoni. Risultato: due album di seguito nel '77 dal titolo Io Dentro e Io Fuori, in cui a languide ballate si affiancano brani di dirompente discomusic, in cui l'erotismo innato della voce di Ornella trasuda sfrenato dai solchi. Da qui inizia il periodo "erotico" della Vanoni: non che prima fosse una santa, ma da questo momento le cose si fanno piuttosto esplicite. Nello stesso periodo poserà infatti per Playboy (anche qui accusata di far solo immaginare la mercanzia, ma il vero erotismo non è forse questo?) e non vorrà compensi se non una sfera di Arnaldo Pomodoro, col quale nascerà una bella amicizia, cruciale per il disco di cui ci accingiamo a parlare: O, anno 1987.

La genesi di O parte da molto lontano, precisamente dal 1980, anno in cui, con Ricetta Di Donna, la Vanoni si impone anche come autrice dei suoi brani. Nella title track del disco, Ornella sfodera tutto il suo "girl power". Altro che Madonna e "Material Girl": all'epoca nei suoi live le veniva animata una gigantesca donna fantasma alle spalle. I suoi testi sono fra l'esistenziale, il provocatorio e il trasognato: sondano il vissuto femminile ma anche quello maschile, che loda e demolisce a piacimento come in Uomini dell'83, album in preda a tematiche scabrose e elettropop vocoderato in odor di italo. Ma il problema dei dischi di Ornella è spesso la mancanza di compattezza, l'indecisione fra il languore e la massicciata che a volte si mandano a quel paese fra di loro. Magicamente invece, In O sembra che i cali di tensione siano minimi: e il motivo è sicuramente l'uso puntuale dell'elettronica, stavolta "dal volto umanoide" e senza facili cafonate.

Pubblicità

Si perché alla regia c'è Greg Walsh, meglio conosciuto come il produttore di Battisti post-Mogol, da È Già in poi. Nel 1986 Lucio sforna Don Giovanni, un autentico capolavoro rivoluzionario (De Gregori affermò all'epoca che non ci sarebbe stato ritorno): Ornella sarà l'unica ad accettare subito la sfida e percorrere la strada del futuro, affiancando al noto personaggio due nomi come Allan Goldberg di cui già parlammo qui e nientepopodimeno che Ivano Fossati, in veste di arrangiatore e co-autore, ma soprattutto di smanettone sulla Roland Guitar Synth. La traccia d'apertura è un compromesso fra la Vanoni, autrice classica e ammiccante, e lo svarione tonale in voli pindarici imprevedibili, con inserti di orchestra raffinatissimi e soprattutto sonorità glaciali, coralità computerizzate adatte a raccontare la storia di un "cuore di pietra" forse finalmente disposto a rompersi.

<

Si prosegue con un funkettone robotizzato e intricato alla enne potenza: "Midnight's Knock Out" e l'autore è Paolo Conte, con inserti di sax da parte di Phil Todd dei Nucleus e vocalizzi a briglia sciolta di Ornella completamente impro, a doppiare Fossati e la sua chitarrazza sintetica. Rispetto alla versione di Conte in Aguaplano il mood è alla Decoy di Miles Davis e il testo è modificato: diventa così un inno all'incontro clandestino, nel fumo di qualche locale da Blade Runner.

E infatti il brano seguente si apre con paddoni futuristici: "Caffè Lontano", un lirico brano di Fossati che, nell'interpretazione della Vanoni, sembra un Battiato apocrifo. Botte di percussioni e disturbi semi industriali, piani elettrici da distributore di merendine… Un brano straniante in cui l'effettistica e i suonacci abbondano, lasciando un clamoroso buco nero sonoro dal minuto e trenta fino al due e venti, quando Ornella torna a cantare, anzi a mugolare, intrisa di cambi di pitch che pare quasi una traccia di poesia sonora. Brano tanto ermetico quanto sperimentale, da sentire più e più volte. Fossati la riutilizzerà per il suo La pianta Del Tè, l'anno dopo: ovviamente la sua versione intellettuale straccia le palle, mentre quella della Vanoni cattura il testo e lo consegna al suono puro, senza altre velleità.

Pubblicità

La conferma che Fossati cantandoli distrugge i suoi propri brani è data da "Una Notte In Italia", che nelle mani di Ornella diventa meraviglia pura. Ultraelettronica, lenta e spezzata: immaginate una specie di protofootwork infilato nel pop italiano, con lei che trasfigura le parole in uno scivolo di voce, un soffio come quello de "il futuro che viene a darci fiato". Trecento volte superiore alla moscia versione originale dell'anno prima, presente nell'album 700 Giorni dello stesso Fossati. Strano ma vero.

Riecco Ornella nel ruolo di autrice, coadiuvata da Maurizio Piccoli, che ha scritto per quasi tutte le front women della canzone italiana. In questa "Il Blu" Ornella è "Incatenata al muro parlando di futuro" ( parola costante nel disco). È una canzone d'amore magistralmente orchestrata, tappeto perfetto per i suoi virtuosismi vocali. Sapore antico, ma con sentore di "modernariato" nell'illusione elettronica dell'orchestra reale: un gioiellino di retrofuturismo.

In "Carmen" torna l'elettronica diafana di Walsh, con bassline e punteggiature ritmiche a sostenere la voce, aderente al testo come Battisti/Panella insegnano, ma qui trattasi invece di un curioso e inedito Fossati/Vanoni. Alla fine diventa un mantra continuo, con picchiate vocali stranianti e mood da giornata spesa a fissare uno schermo senza segnale. Grande protagonista la tromba di Guy Barker (già alla corte di Ornette Coleman e Carla Bley, ma anche dei Talk Talk), e finale inaspettato con delay "a scomparsa". Ornella non era nuova a ospiti di classe, ricordiamo ad esempio Herbie Hancock, Gil Evans e compagnia bella nel disco Ornella E… sulla scia di "You Are Under Arrest " di Miles Davis (e più avanti ancora la vedremo con Paolo Fresu). Una Regina Belle versione italiana e digitale, come pare Youtube voglia farmi notare quando partono i related videos in automatico.

Pubblicità

In "non andare" una evidente citazione minimalista di cori artificiali che ricorda anche gli arrangiamenti di Battiato per "Tremilalire" di Alfredo Cohen) apre la porta ad una sezione ritmica intricata e dispari, coadiuvata da un synth bass cavalcante. Qui Ornella sembra più jazz che mai, "crocefissa come un'antenna tv". Canzone sull'abbandono col mood di una persona in evidente stato di ebbrezza, che desidera "la fiammella del gas": bellissima coda vocale con un'immersione in vocalizzi pop che sfociano nell'urlo, purtroppo segato nel missaggio.

La Vanoni autrice conclude il disco con un testo tra l'ermetico e il complottista , "Ombre In Attesa" vede la partecipazione di Marco Colombo, futuro chitarrista frontman di Gianna Nannini, e di Bernardo Lanzetti, già cantante dei PFM e negli Acqua Fragile, coautore anche del pezzo precedente "In un aeroporto a Londra": si cita "Caffè Lontano" come si trattasse di un concept, fino a farlo diventare eco di un sogno fra non-luoghi, synth, sequencer rapidissimi e frecciate di rumore bianco. Il disco si chiude con un aria di inquietudine, come di una vita che è, più che altro, simulacro del nulla cosmico, nel bene e nel male. Forse è un perfetto ritratto della Vanoni, con i suoi alti e bassi psicologici sempre devastanti e circolari nel loro alternarsi: da qui il semplicissimo titolo O e relativa semplice copertina: il suo volto.

E qui casca l'Arnaldo Pomodoro, prima citato. L'O è anche una sfera, caratteristica dell'opera dell'artista il quale curerà le austere scenografie del tour promozionale ( con Gianni Versace come costumista). Non è difficile accumunare questo strano e volatile disco a una delle sue sculture, apparentemente perfette fuori quanto in pezzi all'interno: Ornella sicuramente vedeva in quelle forme il suo ritratto. In questi ultimi anni l'abbiamo ascoltata più per le sue esternazioni (non ultima quella su Napoli), i suoi sbrocchi, il suo aspetto alla "Joe The Lion" e le pesanti accuse di alcoolismo che non per la musica, nonostante l'ultimo Meticci tenti di andare da qualche parte: forse l'interno è oramai traboccato fuori, ma "cosa ci è capitato? e come avranno riso in platea del nostro amore orgoglioso, del nostro amore indiscreto, arrabbiato, impietoso, sfacciato, del nostro amore troppo affamato che si chinò a baciarci sul cuore…e a noi questo bastò". Dice che si darà definitivamente al jazz: speriamo free, come lei è sempre stata.

Segui Demented su twitter — @DementedThement