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Musica

Jake La Furia fa il rap per gli emo

"Fuori da qui", in uscita oggi, è l'ultimo album di Jake La Furia, e se ci stavate sotto con l'emo vi piacerà da morire. Ce lo siamo fatti raccontare in questa intervista.
Mattia Costioli
Milan, IT

Immagine via Facebook

Qualche tempo fa mi sono ritrovato ad ascoltare My Chemical Romance, Silverstein, Sum41 e tutta quell'altra roba che è andata di moda per venticinque minuti durante il 2005. Ho cercato di ascoltarla ad un volume che non permettesse a quelli che mi stavano vicini di sentire quello che stavo facendo, ma ovviamente mi hanno sgamato lo stesso e si è creato un momento bellissimo in cui ognuno suggeriva un pezzone cantato e suonato da adolescenti bianchi molto magrolini che, in circostanze normali, si sarebbe vergognato a suggerire in pubblico.

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Jake La Furia non è esattamente magrolino, ma nel 2005 ha cantato "Serpi" e quindi, in una dinamica che avrebbe fatto storcere il naso ai veri fichi della scena di cui sognavo di far parte, si è avvinghiato al mio tenero cuore di emo non praticante. Non avevo mai incontrato Jake La Furia di persona e la verità è che, proprio per via di tutta quella pelle d'oca che mi ha provocato durante gli anni spensierati e infelici del liceo, fa parte di quella cerchia ristretta di rapper per cui mi stringe ancora il culo di fare figure di merda quando mi presento con il mio computerino a fargli le domande. Non me ne vogliano Sfera, Achille Lauro o tutte le altre meravigliose persone che hanno avuto il piacere di sputacchiarmi sul monitor mentre le intervistavo, ma in alcuni casi è semplicemente diverso.

Ho incontrato Jake al Dynamite Garage di Milano, il posto che si prende cura delle sue tre moto, e abbiamo girato una puntata della mirabolante serie The People Versus che uscirà tra un po' di tempo. Tra una cazzata e l'altra Jake ha iniziato a parlarci di concerti, di instore e soprattutto della possibilità, nel futuro prossimo, di replicare quell'esperimento di tour nelle carceri che aveva fatto con i Club Dogo qualche anno fa. Più cresci e più tendi a svalutare i tuoi idoli, credo che sia una dinamica normale e in un certo senso molto sana, ma in quel frangente Jake è riuscito a riguadagnarsi ogni punto perso. Mi ha raccontato di realtà e situazioni con una lucidità quasi teatrale, tanto da riuscire a farmi piegare dal ridere anche mentre denunciava situazioni ben oltre i confini dell'umanità—e per scoprirlo vi basta scrivere San Vittore e sovraffollamento su Google. Quello che sono riuscito a intuire è l'energia micidiale che Jake (e tutti quelli che erano con lui in quelle circostanze) sono riusciti a portarsi a casa da un'esperienza del genere e da un pubblico per qualche mezz'ora libero da una routine inutile, vigliacca e imposta, senza alcuna possibilità di scampo o redenzione, in cui è completamente impantanato.

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Nelle 12 ore successive sono riuscito a sentire Fuori Di Qua, il suo nuovo disco che esce oggi per Universal, ma nel mio piccolo ero già in fissa da una settimana su "Ali E Radici", che su YouTube e sul libretto all'interno del CD è accompagnato da un disegno spaziale realizzato dal duo di artisti torinesi dei Van Orton, che si sono occupati anche di tutte le altre grafiche del disco, compresa la copertina. Comunicargli il mio essere sottissimo col suo pezzo con Fibra è la prima cosa che faccio quando ci becchiamo per un'intervista vera e propria, stavolta non più in un'officina. "Ma come cazzo fai? Dura sette minuti", mi risponde lui, gettando all'aria la mia scaletta (no, scherzo, le interviste vanno fatte come le battle di freestyle: solo gli scarsi se le preparano.) "Io e Fibra abbiamo avuto una carriera decennale, più o meno parallela, ma fino al featuring nell'ultimo disco dei Dogo non ci eravamo mai beccati. Sarebbe stato banale fare una mega commercialata o un singolone, quindi abbiamo fatto questo pezzo super introspettivo, tanto per far vedere che abbiamo ancora delle cartucce da sparare".

Se avete già ascoltato il disco vi sarete accorti che Jake canta tantissimo, anche se si incazza quando sostengo che sia così: "Non è che canto, rappo e canticchio, una via di mezzo. Questo disco era partito con l'idea di essere completamente trap, dopo un po' di tempo alcune idee erano uscite, altre erano entrate; io per i cazzi miei ho sempre cantato, e allora mi sono detto perché no? Ho cercato di fare una cosa di rottura, mi voglio riservare la libertà di fare quel cazzo che mi pare". E a questo punto cita Drake, per poi farsi scappare una risata per il paragone vagamente azzardato, ma l'ottica è piuttosto chiara e, un minimo di risentimento verso il suo primo disco da solista, Musica Commerciale, si riesce a percepire, già dalla giustificazione di questa scelta di voler fare a cazzi sua. Mi racconta che questo disco ha avuto il tempo che meritava e le riflessioni che meritava, ci ha lavorato per un anno e le cose contenute hanno avuto il tempo di scontrarsi tra di loro più e più volte, fino allo stadio attuale: "Come è adesso a me piace, poi chi lo sa cosa succede. Certo, se domani mi ricoprono di insulti un po' mi gira il cazzo, ma io sono contento di quello che ho fatto".

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All'inizio non mi lancio subito su quanto mi abbia fatto esultare di gioia la presenza di un brano latineggiante come "Me Gusta", ma insisto su quelle cose che immagino accomunino un po' lo zoccolo duro dei fan di Jake: presa male e pelle d'oca. Arrivo addirittura ad usare la parola emo, per spiegare il mood dei brani che, anche per quanto riguarda Fuori Da Qui, mi si sono attaccati più facilmente addosso e all'udire la parola emo siamo improvvisamente in due a esultare: "Mi fa ridere che le chiami emo, perché anch'io mi riferisco a quel genere di miei pezzi come emo. Nel disco c'è quella roba, ma anche delle tamarrate galattiche, il tutto comunque rimane abbastanza nero. Diciamo che fuori l'abbiamo voluto colorare tantissimo perché è nero dentro, un po' come sempre quando si parla del mio rap. È cambiato il modo di fare le cose, alcune sono ancora super rap, altre sono più melodiche".

Alessio La Profunda Melodia più uomo di quanto io potrò mai essere, immagine via Facebook

Tipo "Me Gusta", appunto, che è un pezzone reggaeton che quasi quasi sembra di essere finiti in un Noisey Mix di Las Sucias. "Io ho sempre ascoltato quella roba e non è mai esistita in Italia una scena reggaeton, quindi era impossibile fare questo pezzo prima… Che poi, è un reggaeton, ma anche no, è connotato in un certo modo perché funzioni con quello che faccio io, e in futuro di sicuro è qualcosa che vorrei fare di più". Alessio e Jake si sono incontrati un po' per caso, tramite amici e conoscenze, alla fine si sono beccati in studio ed è venuto fuori questo pezzo che, al netto della caciara, è una bomba atomica che scombinerà il ciuffo di tutti gli emo fan di Jake. Sì, tipo me, scusate non posso fare a meno di essere autoreferenziale. "Lui è tipo un tronista di Uomini & Donne caraibico… Ci voleva della bellezza nel disco, per compensare la mia presenza".

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A questo punto dell'intervista posso saltare una decina di minuti perché sono semplicemente miei sproloqui in cui mi fingo un esperto di musica ibridata con vibre dal sudamerica che Jake dovrebbe ascoltare e che, molto pazientemente, lui decide si sucarsi in toto, senza protestare nemmeno una volta. "Io ascolto musica da tutto il mondo, una delle mie fisse storiche è la musica dei Balcani, perché dalla Jugoslavia all'Arabia la musica ha molte note in comune, e quello è un misto killer tra reggaeton, musica neomelodica, tipo quella napoletana e la musica araba. È una roba che tu ascolti e poi ti dici ok, io di questa roba non posso farne a meno."

Un po' quello che vi succederà dopo aver sentito cantare Jake in "Notte in Città", che è prodotta dai 2nd Roof, ma che secondo me si incanala benissimo su quella strada fatta di tastieroni pop che Don Joe ha imboccato già da qualche tempo. Io non so bene che faccia abbia un discografico e forse una bella indagine potrebbe aiutare a capire i veri volti delle persone intente a muovere i fili dell'industria musicale, almeno nella testa dei fan. Jake invece ci tiene a spiegarmi che questa roba del cantare non è mai stata imposta da un discografico e che anzi, dal punto di vista artistico nessuno ha mai avuto troppi cazzi di spiegargli cosa e come fare, fin dai tempi della Virgin coi Club Dogo. La cosa è andata più o meno così: a Jake piaceva cantare e ha deciso di farlo, a quel punto ascoltarsi cantare gli è piaciuto, e ha deciso di inserirsi nel disco. Scemo io che ho provato a chiedergli se avesse lavorato con un vocal per imparare a farlo: "Ma va, sono andato dentro la cabina come un punkabbestia, mi hanno messo sopra un po' di autotune e ho cantato, fine".

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Probabilmente le suggestioni che l'hanno portato a cantare sono le stesse che gli hanno fatto scegliere di duettare con Luca Carboni: "Se ripenso a certi pezzi di Carboni, come ad esempio "Silvia Lo Sai", mi viene da pensare che è una specie di versione di "Lisa" con vent'anni di meno. Mi è sempre stato facile rapportarmi alla sua musica e ultimamente sta vivendo un bel momento di ritorno, quindi mi sembrava perfetto per cantare questo pezzo che è molto introspettivo", ed è anche la title track, ma scegliere il titolo del disco è stata una faccenda meno suggestiva di quanto uno potrebbe pensare. "Di solito abbiamo sempre delle idee geniali per i titoli dei dischi, ma stavolta proprio non ci veniva un cazzo. Per un po' di tempo pensavamo di usare Bello, come title-track, ma avrebbe fatto ridere per cinque minuti e poi sarebbe diventata una tortura per chiunque. Fuori Da Qui alla fine ha un suo senso, per tanti motivi".

Siccome non sapevo più dove cazzo andare a parare, ho pensato di giocarmi il jolly della droga. Sostanzialmente quando il vostro rapper preferito decide di fare un disco, a meno che non abbia un fratello o un fidanzato beatmaker, inizia a spargere la voce (tra i musicisti che gli piacciono) che potrebbe avere bisogno di beat. A quel punto gli arriva una bella cartella e, nella mia mente semplice e limitata, non riesco a immaginare il momento di ascolto di queste cartelle di beat senza l'ausilio di qualche stupefacente. Jake invece sì: "No, ma che, così non si può fare. Non si capisce un cazzo se no, bisogna farlo più o meno nella lucidità. Al limite puoi essere ubriaco, ma di più no. Quella roba lì poi deve andare dentro al disco, quindi bisogna essere sicuri delle cose che si fanno". Siccome continuo a brancolare nel buio provo a insistere sull'argomento zero lucidità mentre si fa la musica e, alla fine si scopre che non è sempre stato così, ai tempi dei Club Dogo si registrava e poi si crollava a terra mezzi svenuti.

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"Mi ricordo dei concerti che hanno seguito Mi Fist e Penna Capitale in cui non riuscivamo nemmeno a trascinarci sul palco o a fare due rime, però dopo un po' le aspettative del pubblico (e dell'entourage) cambiano e ti tocca imparare a stare lucido. Mai più concerti in cui cado dal palco o pezzi registrati dopo otto Faxe da due litri". Ad esempio Mi Fist, che è stato registrato quasi tutto da pezzi dei Club Dogo ubriachi, così ubriachi che l'hanno dovuto rifare da capo tre volte. Non c'era mai un cazzo che andava bene e le prime registrazioni erano praticamente biascicate da post-sbornia. Non si fa in tempo a nominare Mi Fist che Jake attacca con un filo di veleno e di orgoglio a spiegarmi che "Vida Loca", nonostante tutta l'acclamazione, l'ha scritto in venti minuti e allo stesso modo "Cronache di Resistenza": "Sono arrivato in studio, ho bevuto quattro Faxe sono andato in cabina e l'ho registrato, si sente anche il ventilatore che gira sotto. Abbiamo fatto tutto nella totale incoscienza, ma quando lo studio inizia a pagartelo la Universal è meglio se ti distruggi a casa tua, invece che lì".

L'ultima cosa che gli chiedo (sì raga, ero disperato, quella cosa del kill your idols è una minchiata) è per quale rima vorrebbe essere ricordato se dovesse morire domani. Lui ne ha scelte due, ma col cazzo che ve le dico (per ora).

Fuori Di Qua è fuori ovunque e io sto scrivendo da un internet point quindi cercatevelo da solo su Google, che non c'ho una lira—qui.

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Il mio momento preferito nella storia della musica italiana.