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Musica

Ash Koosha, il producer iraniano che suona il futuro

Il producer iraniano porterà la sua musica sinestetica, ibrida e affascinante a Torino questo sabato.

Ashkan Kooshanejad, producer di origine iraniana ma di base a Londra ammette di essere po' un pantofolaio. Quando era adolescente e viveva a Teheran, dice, trovava i ritmi scolastici piuttosto innaturali, quindi ha mollato la scuola e ha iniziato a passare gran parte del tempo nella sua cameretta. Ha progettato un programma di istruzione autonoma composto da qualunque cosa la sua curiosità gli facesse scoprire e le uniche pause le passava a giocare partite di basket frugali nel cortile di un vicino. I suoi studi lo hanno poi portato al Conservatorio di Tehran, dove ha studiato il basso e imparato le basi formali della composizione musicale classica.

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L'artista transmediale meglio conosciuto come Ash Koosha era e rimane autonomo, un osservatore dell'universo dal ritmo tutto suo—anche se questo significa passare tutto il giorno a guardare House of Cards, che è quello che ha fatto il giorno in cui gli ho parlato. Secondo la maggior parte degli iraniani, sostiene, la sua vita da musicista è uno "spettacolo comico", una cosa per cui anche loro perderebbero una mezza giornata a guardare in streaming. È un modo leggero per descrivere le reazioni controverse che la sua scelta lavorativa ha suscitato fino a ora, che comprendono una breve permanenza in prigione per essersi esibito a una festa in casa nella periferia di Teheran.

Non torna a Teheran dal 2009, dopo la sua partecipazione al film I Gatti Persiani con la sua band Take It Easy Hospital. La reazione accesa che il film ha suscitato in Iran, in contemporanea con l'ondata di proteste che ha seguito l'elezione presidenziale del 2009, creò un'atmosfera poco sicura. A lui e agli altri della band fu accordato asilo politico nel Regno Unito poco più tardi.

Ma ora che è a Londra, una certa libertà data dall'anonimato gli ha permesso di diventare ancora più strano, più introverso. Ha potuto collezionare meticolosamente un archivio di sample che va dalle gocce d'acqua al suono di una sedia da ufficio contro il cemento. Questa raccolta è stato il carburante del suo album di debutto del 2014, GUUD, un collage totalmente inimitabile di sonorità gotiche che pone domande sulla musica "convenzionalmente bella" a un livello sonico microscopico. Ma queste circostanze di vita e sample trovati sono solo una piccola parte dell'esuberanza e dell'immediatezza delle produzioni di Koosha.

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L'esperienza che Koosha ha del mondo a livello sensoriale è difficile da descrivere, essendo filtrata attraverso una rete sinestetica. La sinestesia è, in poche parole, una reazione involontaria agli stimoli ambientali per cui alcuni dettagli, ad esempio suoni o numeri, scatenano sensazioni di colore, gusto o memoria. È una condizione che condivide con Vladimir Nabokov, Kandinsky, Duke Ellington e, per coincidenza, con uno dei suoi eroi: Aphex Twin. Per Koosha, i suoni hanno un peso, un colore, una geometria, una consistenza e stravaganze di natura umana. Può sembrare troppo, ma il suo ultimo album I AKA I, uscito il primo aprile per Ninja Tune, tenta di imbrigliare tutto ciò.

Ha chiamato il suo metodo "nano composition", e si sviluppa in una conversazione caotica tra computer e compositore. Usa il software per ingrandire al massimo la forma visiva dell'onda di un sample. E al centro dell'azione, lui tagliuzza, processa il file in quello che chiama "oggetto sonoro", uno strumento a parte. Il risultato di questo processo è spesso casuale, il che lui pensa doni agli attrezzi con cui lavora "un elemento di unicità e rarità". Il suo prodigioso archivio di sample modificati è stato impiegato come una vera e propria orchetra che produce paesaggi sonori digitali di una stranezza e un'organicità quasi senza precedenti.

Per percepire in maniera adeguata la musica di I AKA I, devi essere in grado di vederla come la vede lui. A questo scopo, lui non sta nella pelle mentre ci descrive un device per la realtà virtuale che sarà messo in commercio quest'estate, concepito per rendere l'album in venti minuti dal punto di vista visivo in un modo che rispecchia la sua esperienza. La realizzazione del componente a realtà virtuale è il passo più logico per una persona che crede di poter ricreare la complessita del mondo che la circonda con i dettagli che riesce a estrarre da suoni trovati. È un modo di fare muisca e di stare al mondo che sembra totalmente staccato dal tempo, simultaneamente nel passato e nel futuro. Come è consuetudine per comunicare con un futurista impenitente, ci siamo dati appuntamento su Skype in una domenica di inizio marzo per parlare di I AKA I e delle sue visioni per il futuro, tanto nella musica quanto al di fuori.

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Sabato 26 novembre Ash Koosha suonerà a Torino, al Superbudda. I biglietti si trovano all'ingresso, ma ricordati di compilare il modulo online per avere la tessera del locale.

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Tutte le foto di Ozge Cone

Noisey: Spiegami perché hai scelto il titolo I AKA I. Che cos'ha a che fare con il tuo rapporto con la tecnologia?
Ash Koosha: "I Also Known As I" è la mia idea di come ci stiamo trasformando in ibridi: esseri umani e tecnologici. Ci stiamo fondendo con la tecnologia e stiamo costruendo nuove personalità che a volte non sono nemmeno collegate a noi. Abbiamo Io multipli, uno qui e uno su internet. Ma anche se riusciremo a fonderci completamente con la tecnologia nel corso dei prossimi cinquant'anni, diciamo, io penso che resteremo gli essenzialmente gli stessi esseri umani.

Che parti dell'umanità credi saranno preservate?
Quando compongo, il computer può indicare gran parte [della direzione] ma io mi vedo come un pittore. Il fatto che io voglia produrre una forma che si manifesta come suono è un processo istintivo umano, e questo impulso viene fuori istantaneamente da un'emozione o una reazione. Esce da solo. Non voglio vedere un mondo in cui aspettiamo che sia una drum machine a darci la sequenza da usare e questa è la nostra musica. La creatività è misteriosa.

Sei stato descritto come un futurista. Che cosa hai letto ultimamente, su questi argomenti?
[L'Università di] Oxford ha un dipartimento chiamato Futuro dell'Umanità. E mi piace molto Nick Bostrom, che lavora lì. È un filosofo svedese che parla del futuro, dell'intelligenza artificiale e del fatto che dobbiamo mantenere il controllo di quanto i computer stiano diventando una parte delle nostre vite. Sono anche interessato nel Reddito di Base Universale [un tipo di welfare per cui tutti i residenti di un Paese si vedono garantito un salario incondizionato per soddisfare i propri bisogni di base]. Io e mio fratello stavamo pensando di fare un [videogioco] che potrebbe smuovere le cose per far diventare il reddito di base una realtà. In modo che anche l'ozio possa generare un reddito. Dal momento in cui nasci, dovresti avere sempre il mondo di sostentarti. L'idea del gioco è che quando giochi con la tua console questa ha una certa quantità di attività del processore che avanza e non viene usato per nulla. Se tu usi [l'energia] in un'altra azienda o in un laboratorio di ricerca, puoi ricavarne un profitto. Naturalmente ci sono delle compagnie che non permetteranno che succeda.

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Puoi spiegarci meglio dell'elemento di realtà virtuale di I AKA I?
Costruisco un'esperienza trattando il suono come un materiale molto fisico—come fosse un oggetto. Per cui quando uso un certo suono di basso, per esempio, nell'esperienza VR vedrai questa forma molto vellutata che si allunga e si muove attorno a te. Immagina tutte queste cose in un mix e in una canzone, puoi vederle muoversi e mentre ascolti la traccia puoi individuarle come una narrazione visuale. È così che vedo la musica ed è il motivo per cui sono un po' deluso dal modo in cui la gente ascolta la mia musica e senza vedere quello che vedo io quando la produco. È questo il motivo della VR. Mette il pubblico al mio fianco. Questo album in VR sarà pronto verso l'estate e sarà una versione da venti minuti di I AKA I.

Quali sono state le esperienze musicali più formative durante la tua crescita in Iran?
Sono stato in Turchia una volta con mio fratello nel 2004, avevo diciassette o diciotto anni. Abbiamo incontrato due turisti danesi, una coppia, e ho dato loro il mio demo. Gli è piaciuto. Il mattino dopo uno di loro mi ha detto di andare a comprare qualche CD vuoto, e mi ha passato della musica che pensava potesse piacermi. Quando sono tornato in Iran e ho ascoltato i CD con il mio Walkman ho sentito per la prima volta i Mogwai e i Sigur Rós. Un sacco di roba pazzesca. Quello è stato uno dei momenti che mi ha cambiato il modo di vedere la musica, specialmente il primo album dei Sigur Rós, Von.

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Non avevo una vera educazione musicale ai tempi, ma mi sembrava che queste persone stessero facendo qualcosa di diverso. In Iran va tutto a caso. Se non hai collegamenti culturali puoi scoprire solo poche cose. Non è che ci sia un gruppo di persone che ascolta hip-hop perché vengono da un certo ambiente, ti ritrovi solo davanti roba a caso.

Quando hai capito che avresti potuto produrre musica elettronica nel modo in cui lo fai oggi?
È stato quando ho usato per la prima volta Logic. Parlo di dieci anni fa. Stavo soltanto provando, cercavo di imparare a usare vari software. Cercavo di capire cosa fosse la musica fatta al computer. E poi ho capito che ogni volta che apro un nuovo progetto c'è un click, un metronomo. Mi dava fastidio costruire attorno a questo orologio, e ogni volta che finivo il progetto lo cancellavo. Non sapevo perché non riuscissi a sentirmi soddisfatto del suono. E poi con il passare degli anni ho capito, cazzo, ecco perché, è che c'è un orologio.

E questa illuminazione è associata alla tua esperienza sinestetica?
Il mio primo ricordo risale a quando avevo sei o sette anni. Ricordo che stavo studiando matematica, roba molto semplice, tipo i numeri e contare. Immediatamente vedevo dei colori e mi dava fastidio che si scrivesse solo in bianco sulla lavagna, interferiva con la mia percezione. Non ci ho mai badato fino a qualche anno fa, quando ne ho parlato con mia madre. All'improvviso si spiegava tutto. Penso che anche la geometria fosse a colori. Ed è così che ho imparato la musica, con la geometria. È come ho imparato a suonare la tastiera. Mi inventavo delle forme sulla tastiera e memorizzavo gli accordi tramite forme. Non vedevo i tasti secondo le note, ma secondo le forme. Quando sono andato al conservatorio ho imparato a leggere la musica, ma penso ancora in termini geometrici. Ogni volta che mixo suoni vedo qualcosa che cade o che si muove o che rotola, è così che programmo i mix, che equalizzo i suoni. La chiamo stanza audio. È come una stanza vuota. È così che io vedo un progetto Logic quando lo apro. Nella mia testa c'è una stanza vuota che io arredo con il suono. E sequenza della musica è il movimento: si muove in avanti come in un tunnel.

Per cui qual è il colore dominante di I AKA I ?
Penso sia lo spettro completo. È molto, molto dettagliato. Direi che questo album è come guardare dei batteri dentro un microscopio. È molto tridimensionale. Nella musica elettronica, dato che è un mondo, una galassia così libera di suoni e possibilità, puoi riprodurre la vita con i dettagli dei suoni.

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