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Musica

Phil Collins - My heart’s in my hand...

Non QUEL Phil Collins, ma un omonimo artista che ha fatto manipolare le voci degli homeless di Colonia a David Sylvian, Demdike Stare, Peaking Lights e altri...

Phil Collins ha un omonimo che fa l'artista contemporaneo, un po' come Nick Cave, solo che in questo caso la proporzione inversa bravo/cane è ribaltata a favore di quello che non canta. Phil, infatti, invece di fare costumi da coglione, pratica una dellle forme d'arte più sensate che esistano oggi: l'arte relazionale. Lavora infatti molto sull'idea di cultura, sul modo in cui questa si produce, viene comunicata e introiettata in modo da interfcciarsi con l'identità, i desideri e gli affetti dei singoli. La maggior parte delle sue operazioni si svolgono coinvolgendo direttamente i personaggi o le comunità che gli interessa indagare, rendendoli parte attiva del lavoro.

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Nel caso di My heart’s in my hand, and my hand is pierced, and my hand’s in the bag, and the bag is shut, and my heart is caught (titolo kilometrico, sì, ma bellissimo, tratto da "Nostra Signora Dei Fiori" di Jean Genet), ha collaborato con gli ospiti di Gulliver, una "stazione di sopravvivenza" per senzatetto, vale a dire un centro che offre servizi—essenziali e culturali—a chi ne ha bisogno e che si trova nel centro di Colonia. Il primo step è stato installare lì un telefono pubblico, il cui uso era libero e gratuito, a patto che si accettasse che la conversazione venisse registrata. Nel secondo step, le registrazioni sono cadute nelle mani di un gruppo abbastanza nutrito (e abbastanza impressionante) di musicisti e producer, a cui Collins ha dato il compito di usare le conversazioni come spunto da manipolare per creare una traccia. Si tratta di nomi leggendari come David Sylvian o gli Scritti Politti, ma anche di numi tutelari di oggi come Demdike Stare, Heroin In Tahiti, Pye Corner Audio, Peaking Lights e Maria Minerva, così come gente bella della scena sperimentale di Colonia (EMAK, Pluramon e altri).

Nel terzo step, queste tracce sono state stampate su 7" e inserite in delle speciali cabine d'ascolto installate intorno alla stazione centrale della città. In questo modo, le storie di chi attraversa la città pur avendo negata ogni possibilità di considerarla "sua" rieccheggiano in voci differenti, trasformandosi in una narrazione concreta, collettiva e lirica, ma tutt'altro che retorica. Ascoltarli ha permesso alla città di immergersi in sé stessa, di offrire ai cittadini nuove possibilità di ascolto e nuove prospettive sulle vite con cui si trovavano a condividere lo spazio. Un modo nuovo di essere umani insieme, conoscersi e ricordarsi senza essersi davvero mai incontrati.

Oggi quei bravi ragazzi di NERO (il magazine/editore d'arte contemporanea più bello d'Italia) hanno deciso di pubblicare il lavoro di Collins in edizione di 500 copie, doppio LP + libro, raccogliendo tutte le tracce e documentandone la processualità, con in aggiunta degli scritti critici firmati Mark Fisher e Florian Schneider. Potete comprarlo qui e potete ascoltarne un'anteprima qua sotto: