Il bello del jazz, si sa, è che come metodo fondamentale di approccio, si può applicare praticamente a ogni tipo di sonorità, e diventa particolarmente interessante quando se ne usano i meccanismi ritmici e (de)strutturali per fare roba che pende dalla parte della una scultura sonora, composta da rumoracci mefitici e soundscape spiritualmente abrasivi. Non ho idea se i membri dei milanesi Satan Is My Brother abbiano mai frequentato il jazz tout court, di certo c’è solo che la cifra di questo progetto è sempre stata quella di mescolare un certo tipo di pulsione e di groove a una specie di concrete ambient rumorosa e oscura. Qualcosa di molto potente, insomma, composto di vari livelli non-euclidei di impatto psichico.
Quello che vi offriamo da ascoltare, nonostante gli otto anni di attività, è solo il loro terzo disco: il primo era un road movie senza immagini, il secondo—A Forest Dark, del 2011—una sonorizzazione personalizzata del film muto L’Inferno, una specie di galleria buia che attraversava sia l’elemento umano che la natura e il sovrumano. Questo nuovo capitolo, They Made Us Clib Up Here, sembra invece una corrente ascensionale, una scalata in solitatia che è anche una forma di rifiuto e rivolta. Malinconico ma anche nervosamente trascendentale, con alla base—appunto—un quasi-jazz fatto di note blu sparse nel caos.
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Lo hanno registrato a Milano con Giulio Soldan e l’ha masterizzato mr. Atilla Faravelli. Esce il 10 marzo, come tutti gli altri loro album, per l’istituzione Boring Machines, e se volete sentirli dal vivo potete andarli a sentire stasera a Milano insieme ai fratelli Father Murphy