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Se sei un vero smanettone devi guardare ‘Halt and Catch Fire’

Quando la serie di HBO The Wire è arrivata in fondo alla sua corsa nel 2008, è diventato un argomento impossibile da evitare alle feste. Se attaccavo bottone con qualcuno e finivo a parlare di buona televisione, mi chiedeva sempre inevitabilmente, se avevo visto The Wire.

“No,” gli rispondevo, e negli occhi gli compariva quello sguardo. Non lo sguardo incredulo che ricevo quando dico che non seguo Game of Thrones. (Nota: in realtà seguo Game of Thrones. È che mi piace mandare in paranoia la gente alle feste). Quando dicevo alle persone di non aver mai visto The Wire, loro si esaltavano, come se stessero per rivelarmi una verità fondamentale sull’esistenza.

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“Di che parla?” chiedevo io.

“Tutto,” mi rispondevano loro, poco utilmente.

Halt and Catch Fire, della AMC, ha appeno concluso la sua quarta e ultima stagione. L’intera serie è disponibile su Netflix [negli Stati Uniti, almeno. In Italia per ora non è stata distribuita tramite canali ufficiali, ndt]. Preparatevi. È il nuovo The Wire. È la serie che genera quel tipo di fan disperato al punto da recitarvi un sermone infinito dopo avervi messo all’angolo durante una festa. Vi diranno che parla di tutto. Succederà. Fatevi un favore e guardatela prima di finire a evitarla per esasperazione, perché merita davvero.

Halt and Catch Fire è una serie a puntate da circa un’ora l’una, che si apre nelle verdi praterie di silicio degli anni Ottanta. Nella mitologia popolare della rivoluzione tech, il centro di tutto è la California, hub dell’innovazione informatica. Ma si tratta di un falso mito. L’area metropolitana di Dallas Fort Worth ha dato infatti i natali a dozzine di aziende tech che rivaleggiavano con qualsiasi cosa stesse succedendo a Palo Alto all’epoca.

Mio padre era un ingegnere alla Texas Instruments e io ho goduto di un posto in prima fila per il boom tech di Dallas Fort Worth. Mi ricordo il nostro computer di casa che si accendeva con il logo di IBM sopra, divorato lentamente da Pac Man. La serie, in altre parole, aveva la vittoria assicurata in partenza con uno come me. Ma, a differenza di molti prodotti drammatici moderni, Halt and Catch Fire non sta ferma in un posto solo. Ha il coraggio di crescere, cambiare, e svilupparsi insieme ai suoi personaggi. Cerca sempre di arrivare alla prossima grande scommessa.

A livello superficiale, la serie parla di computer e delle persone che hanno costruito il mondo in cui viviamo ora. Ogni stagione affronta un progetto tech innovativo diverso, e si concentra sul lavoro necessario per portarlo a casa. La prima si concentra sul portatile, la seconda sul costruire una prima rete di gaming. IBM, il videogioco Doom e Nintendo fanno tutti una comparsa e i computer non fanno che mutare le vite dei personaggi in continuazione.

Ma il Don Draper equivalente della serie ci ricorda presto che “i computer non sono la cosa. Sono la cosa che ti porta alla cosa,” ed è proprio questa la verità ultima di Halt and Catch Fire — le vite di cinque persone che si intrecciano mentre vivono e lavorano insieme nel corso di vent’anni. È questo che la rende televisione emozionante e meravigliosa. La questione tecnologica non c’entra. Esiste solo per connettere le persone.

Lee Pace, che interpreta l’incredibile Joe MacMillan inizia al centro della storia. La serie fa credere al pubblico che si tratta del tipico anti-eroe da telefilm drammatico. In principio, è un tipo furbo con un vestito costoso addosso e un passato misterioso alle spalle. Non gioca secondo le regole ed è per questo che il pubblico è portato ad amarlo. Non è vero. A differenza di altri anti-eroi maschili meditabondi (tipo: Tony Soprano e Walter White), MacMillan è capace di profondi e interessanti cambiamenti. Non è la storia dell’ennesimo stronzo con un retroscena oscuro che alla fine ottiene sempre quello che vuole.

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Nell’orbita di MacMillan compare l’ingegnere visionario Gordon Clark e l’ancor più brillante moglie di lui, Donna (a sua volta ingegnere), l’uomo d’affari con la parlantina John Bosworth, e una programmatrice geniale, Cameron Howe. Nel corso delle quattro stagioni della serie queste cinque persone diventano una famiglia. Alle volte si amano, alle volte si odiano ma sono sempre — in fondo — una famiglia.

Halt and Catch Fire è anche una serie attenta ai temi LGBTQ, ma non è una serie esplicitamente incentrata sulla comunità LGBTQ. Dice cose molto importanti sulle donne nel mondo dell’industria tech, ma non parla solo di quello. Parla di computer, ma solo perché sono la cosa che ti fa arrivare alla cosa.

È per questo che è una serie così importante. Ne abbiamo un gran bisogno. Quest’anno è come se la tecnologia avesse scavato un solco tra le persone. Famiglie in lotta e amici che scoprono di avere per amici degli stronzi totali. Le nazioni hanno imbracciato i social media come un’arma contro il mondo, in una guerra contro la verità stessa.

Non deve essere così per forza. Possiamo fare meglio di così. Possiamo costruire qualcosa insieme. Ci sono personaggi che non sono perfetti — falliscono ripetutamente, si fanno del male a vicenda e perdono di vista ciò che conta davvero. Ma cambiano sempre in meglio. C’è sempre speranza, qualcosa di cui il mondo ha enorme bisogno ora, e sanno sempre che questa speranza viene dal legame che li unisce, non dalle macchine che hanno usato per forgiare quella connessione.

Non ho guardato Halt and Catch Fire quando è uscita, e, secondo qualcuno, il mio è un peccato capitale. Ma non importa che nessuno l’abbia guardata quando è uscita perché viviamo in una cultura da binge watching selvaggio e non abbiamo inventato lo streaming per niente. Vi conviene guardarla, prima che qualche cazzone a una festa ve la rovini.