Mentre il mondo si arrabatta nel tentativo disperato di tenersi in piedi, il terreno frana sotto di noi. È il momento di accettarlo e prepararsi alla discesa, senza troppi pensieri, un’unica fluida caduta verso il capitolo successivo.
In effetti, con il contorno stralunato di pandemie e politici troll che ci ritroviamo ora, e l’orizzonte d’intolleranza ed emigrazione senza sosta che soffia sugli incendi sociali, il quadro si fa tetro. Nell’ambito più ristretto della musica, però, questi smottamenti hanno avuto un effetto diverso e di matrice più che positiva.
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Anni e anni di contaminazione forzata ma naturale—per quanto suoni paradossale—hanno germogliato un cambio di passo nella musica internazionale. Gli ascolti a tutto campo e genere, dettati dall’Impero dello Streaming, dagli scambi continui tra culture diverse e distanti, e dall’ovvio piano occulto fabbricato dall’Internazionale Globalista, hanno fatto saltare gli argini.
Quando le acque sonore hanno travolto ogni cosa non siamo però rimasti a vedercela con rovine e macerie. Bensì, abbiamo scoperto una straordinaria luminosa ricchezza, una ideale Città dell’Oro che scintilla di varietà e possibilità.
Anni e anni di contaminazione hanno germogliato un cambio di passo nella musica internazionale: una ideale Città dell’Oro che scintilla di varietà e possibilità.
Questa El Dorado è la forma della musica d’oggi, che, a prescindere dal gusto e dalle preferenze personali, è finalmente esplosa in una lingua davvero mondiale: l’Esperanto che ci meritiamo, cucito grazie a mercuriali beat hip hop e rap mutante, melodie del tutto popolari e avanguardia mascherata. Per dare credito all’ipotesi ovviamente servono molti dati e un buon numero di esempi… tuttavia non li troverete, perché, se avete sbirciato il titolo, qui siamo andati in fissa con una sola canzone.
Quella canzone è “Dorado” di Mahmood, con produzione di DRD—cioè Dardust nella sua veste da produttore—e feat di Sfera Ebbasta e Feid—oltre al video meraviglioso di Attilio Cusani. Ovvero, un concentrato di tutto quello che l’hip hop di un tempo ha combinato, trasformandosi nelle forme elastiche e invisibili del pop di oggi, mentre con la sua acqua scintillante d’oro si portava dietro mareggiate “urban” e influenze mediorientali, parentesi intimiste e trap lisergica, angoli latini reggaeton e sperimentazione onirica.
Per quanto suoni bizzarro, però, a tenere insieme tutto c’è un suono in particolare, quasi “fuori luogo” o percepito ai margini dello spazio acustico, un suono che sembra sconfessare quanto raccontato sino ad ora: arriva a 0:52 della traccia, insieme al ritornello e a quella voce “(Dorado) Sotto la sabbia / (Dorado) Di Casablanca / (Dorado) Gli occhi di mamma / (Dorado, bu, bu, dorado)”, e se non ci fai caso sembra una strana stonatura o una scala musicale da pieno e favoleggiato deserto. Invece, è il segno dell’incontro definitivo tra pop e sperimentazione, il frammento che ancora una volta racconta quanto questa sia la forma liquida e d’oro massiccio che tiene insieme la musica mondiale, a furia di correnti roventi e straripamenti di generi e influenze.
Dunque, dopo che l’ossessione è cominciata, l’unico modo per cercare di togliermi dalla testa questo pezzo è stato quello di risalire il fiume audiofilo sino alla fonte, tra giungle musicali e feroci belve sonore, fino a ritrovare nient’altri che DRD. Il quale, da buon sovrano illuminato, non si è fatto pregare e ha fornito il suo vaticinio: “Se il pubblico mainstream, le radio e tutto il resto riuscissero a metabolizzare un certo tipo di trick produttivi più audaci, e riuscissimo a farli suonare come ‘comuni’, allora la sfida sarebbe vinta,” ci ha rivelato.
Aggiungendo: “Mi piace portare nel pop qualcosa che venga dai generi più di nicchia e confinati a ciò che è definito più ‘sperimentale’ e di avanguardia. In questo caso si tratta di una tecnica di pitching e di cambiamento della formante della voce, usata moltissimo negli ultimi anni nella trap.” E ancora, di spiegazione in spiegazione, “si abbassa piano piano il Pitch della voce e si agisce sulla formante abbassandolo, creando un effetto di caduta di intonazione e timbro. Questo permette di creare nuovi colori vocali e, anche se a volte l’effetto è creepy, io lo trovo assolutamente fresco e cool, se proprio vogliamo usare questo termine, come in “Vitality” di Flume e “New Jade” di Caribou.”
Il dubbio, onestamente, è che la cosa possa piacere solo a pochi fissati con la produzione e la resa dei suoni, ma veniamo sconfessati in diretta: “No, mi fido dell’intelligenza di chi ascolta e che riesce a capire che è tutta una scelta stilistica.” Invece, “questa cosa del sample ‘detunato’ mi fa pensare ovviamente anche al flauto del drop. Molti dopo l’uscita del pezzo mi hanno chiesto da dove venisse quel campione. In verità la mia sfida è sempre quella di creare io il campione e di farlo suonare tale, come se venisse da un vinile degli anni ‘70.”
“Mi piace portare nel pop qualcosa che venga dai generi più di nicchia e confinati a ciò che è definito più ‘sperimentale’ e di avanguardia.”
E, sul come ci è riuscito, “ho scritto questa parte di flauto con un instrument virtuale e per renderla viva, e allo stesso tempo non così lineare e regolare, l’ho passata attraverso diversi tape e ho agito sull’intonazione, aumentandola e diminuendola di pochissimo su alcuni passaggi del drop, rendendo questo effetto ‘stonato’.”
Se anche a voi sembra che qui si stia parlando di montare e rimontare un’idea di suono, non state sbagliando poi di molto: “Mi piace l’idea di destrutturare, impoverire e rendere lo-fi qualcosa di organico che viene da un audio eseguito perfettamente a tempo e con la giusta intonazione.”
Per poi affermare che “Il goal quando si fa una produzione è creare in chi la sente le domande: ‘Come diavolo ha fatto ad inventarsi questa cosa? Come l’ha realizzata? Non ho mai sentito una roba del genere’.” Rendersi conto che queste sono state esattamente le domande che la canzone ci ha suscitato, non ha prezzo.
“Non è certamente semplice e soprattutto farlo ad ogni pezzo è una sfida abbastanza impossibile. Ma sicuramente è sempre il mio obiettivo da tenere bene in mente”, ci ha assicurato DRD mentre il nostro ego crollava a brandelli. Intanto, però, è venuto spontaneo porsi un’ultima domanda, forse la più importante, o quella più insignificante, a seconda di come approcciate la materia.
Quanto questa tua scelta pensi impatti nell’economia generale della canzone? “Totalmente. Ci sono spesso degli effetti e dei passaggi della prod. di un brano che possono sembrare strani a un primo ascolto, ma che poi diventano la chiave che ti fa riascoltare il pezzo. Proprio perché, non essendo lineari o regolari, non ti stancano. Ti spingono a risentire il brano in continuazione e se ti va bene diventano ‘iconici’ per il brano.” Ma, per fortuna, non è successo a noi.
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