Soupe à l’oignon e deodorante spray


Più o meno l’idea della Treccani, ma sotto forma di baccanale. Giovinezza di Bacco, William-Adolphe Bouguereau. Via Wikimedia Commons.

Dalla triste e laconica definizione del Treccani, “la pratica consistente nello scambiarsi il partner al fine di provare nuove forme di esperienze sessuali,” lo scambismo si è rapidamente evoluto. Nell’immaginario comune, e cattolico, per molto tempo, lo si è associato a un’idea di sesso diabolico e depravato: l’arte di scoparsi le mogli degli altri. Ma oggi, grazie soprattutto ai forum specializzati, ai sessuologi che-tutto-comprendono e agli articoli di costume sui giornali nazionali, la rotta si è invertita e la pratica libertina si è sdoganata.

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Qualche giorno fa, come una manna dal cielo, mi si è presentata l’occasione di passare una serata nel locale di scambisti più prestigioso d’Italia, e sono andato a vedere, con i miei occhi testimoni, “quelle nuove forme di esperienze sessuali.”

Per una settimana, attraverso fitti scambi di mail, la segretaria del club mi ha preparato all’esperienza, impartendomi le prime lezioni sul Nuovo Libertino. Sotto il vestito bisogna indossare un intimo all’altezza, mi informa, questo perché a mezzanotte saremo tutti in mutande. In quanto uomo ho l’obbligo di essere accompagnato, e oltre all’eleganza di un completo è richiesta anche la riservatezza: vietato scattare foto. 

L’appuntamento al club, in provincia di Roma, è alle nove e mezzo, ma a quell’ora sono ancora pochi gli invitati. Nel parcheggio ci sono una Porsche, due Ford Ka e qualche stationwagon. L’edificio si sviluppa su tre livelli: al piano terra un salone grande, con l’angolo bar, divani, lettoni, una dark room, una piscina e bidet; di sotto la sala fumatori e il ristorante, mentre al piano superiore un’ampia camera da letto con un bagno ancora più grande.

Io e Barbara, l’unica amica che ha accettato di accompagnarmi, cerchiamo subito un divanetto per sederci che non sia macchiato di sperma. Sui tavolini ci sono preservativi, kleenex e mentine per l’alito. Facciamo un giro del pian terreno, e andiamo a vedere la stanza “dei giochini”—lessico da scambisti—ancora vuota e con i letti intatti. Sul bordo della piscina sentiamo qualcuno alle nostre spalle dire: “Lo scorso sabato l’acqua era troppo fredda e nessuno si è fatto il bagno, speriamo oggi sia meglio.”

Mentre i camerieri indiani e srilankesi predispongono il tutto per la cena, nella sala fumatori incontriamo una coppia che viene dal nord Italia. “Ogni fine settimana siamo qui, questo posto è stupendo.” Hanno provato anche altri club, più spartani. “In genere in quei locali”, mi spiega la donna: “la serata consiste nella consumazione di un solo drink e poi subito a giocare. A me va bene pure quello eh, ma mio marito preferisce una situazione più di classe.” La loro serata preferita è “Suspiria”: BDSM.

Nella stanza fumatori ci sono anche due ragazzi più giovani. Lui è molto teso, ma parla come un duro. Studia all’università, da grande mi dice che vorrà fare un dottorato, in Sociologia della famiglia. Ha ventiquattro anni, la fidanzatina ne ha ventidue. Praticano da tre anni: “Se queste cose non le fai adesso poi coi figli come fai? Siamo persone spicciole.” Prima si rivolgevano ai privati, ma ci sono stati sgradevoli episodi di stalking. Qualcuno voleva sposare la fidanzatina e convincerla a lasciare il compagno. 

Alle dieci e mezzo ci accomodiamo a cena, in quattro tavoli da dieci, stile matrimonio da fine del mondo, tutti pronti a scopare con tutti. L’atmosfera è tranquilla, sembra di conoscersi da una vita. Ci sistemiamo maschio/femmina per socializzare. Accanto a me si siede una ragazza di venticinque anni con problemi alla tiroide. Me lo ripete in continuazione. Chiede al cameriere uno yogurt. Laureata in Farmacia, ha lasciato un lavoro part time da 500 euro: “per fare più soldi.” È venuta al club per un colloquio. Quando le chiedo per quale tipo di lavoro, io penso “escort”, lei mi dice “receptionist”. Sull’esito del colloquio è ottimista: il proprietario è stato gentile, le ha offerto la cena, la serata e il ritorno in macchina col dj, ma ci tiene a precisare che “non ha intenzione di vendere il corpo.”

Gli altri del tavolo sono cordiali e discreti. Qualcuno ci chiede perché siamo lì, noi rispondiamo “curiosità”, e giù sorrisetti ambigui. Un uomo alto, massiccio, pelato, con la barba da satiro (dai modi gentili anche lui, si è alzato per stringermi la mano e baciare quella di Barbara) fissa per gran parte della cena le gambe nude della donna del suo vicino, poi finalmente rivela: “Sto faticando per non mettere le mani sulle cosce di tua moglie.” Il marito risponde: “è vero, è vero,” e dà una pacca sulla coscia della compagna.

Le scelte della cucina sono drammatiche: lo chef ci ha preparato la soupe à l’oignon. Come se non sapesse per quale motivo siamo lì. Come previsto la lasciano tutti, schifati.

Trascorriamo la mezzanotte ancora a tavola e il satiro è il primo ad accorgersene: “Fermi tutti! Dobbiamo andare di là, è tardi!” Gli invitati si sono rotti i coglioni, si alzano senza aspettare il dessert e migrano verso il bar, “a giocare”. Io resto al mio posto: la “receptionist” mi costringe a vedere le foto su Facebook in un cui fa la duckface e le dico che un mese prima effettivamente era più magra. 

Mentre risalgo le scale verso il bar, sento la voce del Signore: “Il grido contro Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave, voglio scendere a vedere se proprio fanno tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!” Ed io, pronto a fare la spia a Dio, descrivendo scene di sesso talmente perverso che il Signore mi avrebbe cavato gli occhi per il troppo peccato, rimango senza fiato: nella sala principale coppie timidine stanno ancora a genitali conserti. Qualcuno balla sul posto come un pachiderma. 

Aspetto un’altra mezz’ora per veder fiorire finalmente proprio accanto alla mia postazione la prima minchia tesa della serata. Una ragazza, sedere appizzato, la sta succhiando. In scia un’altra coppia attacca con un cunnilingus che mi sembra scomodissimo. Lei in piedi a gambe divaricate davanti al divano è concentratissima nell’atto di partorire la testa di un uomo all’ingiù. 

Passano lo studente e la fidanzatina cercando di agganciare lo sguardo mio e di Barbara, ma noi fissiamo il pavimento. Con la coda dell’occhio li vediamo allontanarsi barcollando verso il bar. Ci fanno tenerezza quei ragazzi che praticano all’insaputa dei genitori, degli amici… È difficile non poter condividere una passione con le persone che ami.

Sul dancefloor intanto quattro ragazze in perizoma con le tette di plastica si toccano mentre un pubblico maschile particolarmente attento controlla che tutto sia svolto correttamente. La “receptionist” è inorridita: “Ma sono lesbiche?” 

Il sesso orale è soltanto l’inizio. Le donne eccitano gli uomini e con tempistiche perfette cambiano spesso posizione, come un rito millenario imparato a memoria, senza passione, senza un gemito. Le due coppie iniziano a scopare sul posto, vicino all’angolo bar, mentre gli altri ospiti sorseggiano drink e chiacchierano del più e del meno. I camerieri si affrettano ad abbassare le luci per rendere la situazione più elegante. Il tipo partorito del cunnilingus ora mi dà le spalle, in piedi davanti a me, e riesco a vederlo meglio. È sulla cinquantina, ha una camicia bianca e le chiappe di fuori. Lo ricorderò per sempre così. 

Mentre incula la sua ragazza non smette di masticare una gomma. Segue svogliato i movimenti dei camerieri che corrono avanti e indietro per la sala. Si distrae, poi rientra nel suo corpo, si rassetta il colletto della camicia e prosegue a pompare allo stesso ritmo, prima di venire sul divanetto… sono arrivate le noccioline! Ne prendo una manciata, ma Barbara mi fulmina: “Fossi in te non le mangerei, sai le mani culate che l’hanno toccate?”

Mentre una mezza dozzina di coppie scopa sui divanetti, un cameriere spruzza con un deodorante spray i posti ancora liberi. Quando gli chiediamo cosa ne pensa di quello che succede in questa villa nei weekend risponde che “È strano… siete molto strani… ma per noi è comunque un lavoro.” Poi ci saluta: deve sistemare la gogna al piano di sotto.

Strisciamo verso la stanza “dei giochini”, la spannung delle serate al club. Le luci sono basse, dalla porta si vedono i profili di tante capoccette. Entriamo, stando attenti a non sfiorare neanche un lembo di carne, non vorremmo disturbare. Una ventina di persone è spalmata su tre letti: in quello principale c’è una gang bang, nelle due alcove più piccole qualche threesome. 

A vederle da vicino, scopare come i Sims, le coppie del locale non sembrano affiatate e neanche sposate. Non eccitano, più che “giocare” mi danno l’impressione di svolgere un lavoro. Non c’è la passione o la lussuria che uno si aspetterebbe a una serata di scambisti. Nella dark room non vola una mosca e la cosa che più mi disturba è quel silenzio. Si sente soltanto un brusio di minipimer di qualcuno che forse prepara la maionese, e poi una donna che si lagna: “Ma sto culo… è secco!” È questo il modo in cui finisce il mondo, non con uno schianto, ma con un lamento. Accanto a noi, un cameriere spruzza il deodorante direttamente sui corpi nudi per coprire l’odore di genitali. 

L’immensa stanza al piano di sopra è sprecata. Ci sono soltanto due coppie; ma loro quattro sì, sono gli scambisti della Treccani, quelli che mi sono sempre immaginato: su una panca un uomo è seduto con due donne stese sopra il suo grembo mentre l’altro li contempla appoggiato al bordo del letto con la faccia estasiata, come se vedesse suo figlio il primo giorno di scuola. Vorrei stringergli la mano, ma quando lo salutiamo con un cenno del capo, il beato neanche se ne accorge. Accanto al lavandino del bagno troviamo un barattolone aperto di crema per capelli Bilba di Cadey, usato dai quattro come lubrificante.

Alle tre e mezzo la serata volge al termine, qualcuno inizia a lasciare la villa, la strada verso casa è lunga e pericolosa. Il presidente del club li aspetta alla porta, saluta gli ospiti uno ad uno, aiuta le signore a mettere il soprabito e riceve i complimenti “per la solita splendida serata.”

Barbara ed io andiamo a prendere le giacche al guardaroba e nella sala semi vuota incontriamo ancora una volta lo studente e la fidanzatina. Lui mi saluta e mi chiede come sta andando la festa. Tenta il tutto per tutto: mi fa l’occhiolino. Sono devastati, la serata è finita e non sono ancora riusciti a scopare, ma piuttosto che accontentarsi l’uno dell’altra, loro preferiscono andare in bianco. 


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