Negli ultimi dieci anni, la serialità italiana è tornata a sbocciare. Tirare le fila del discorso in un momento in cui tra l’altro i generi moltiplicano—non più solo drammi o comedy alla Boris, ma anche fantasy e teen drama—è tutt’altro che semplice. Per questo, prima di passare ai commenti dei binge-watcher che ho interpellato per farmi raccontare della loro serie preferita del decennio, dobbiamo mettere ordine tra le più significative.
Tra queste, la serie italiana più rilevante è probabilmente Gomorra. Ecco, ci siamo tolti il pensiero. Lo show Sky—prodotto con Cattleya, Fandango e Beta Film—ha generato un nuovo standard qualitativo per la televisione nazionale, ma a ben vedere ha fatto di più: ha sfondato i confini della serialità globale con una testa d’ariete dal profilo familiare e, allo stesso tempo, inconsueto.
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La saga dei Savastano mette in scena la camorra come fosse il groviglio di legami proprio di una famiglia disfunzionale allargata, ma al cuore resta il racconto di una maledizione che scivola di padre in figlio. La violenza che gocciola da Pietro su Genny è una sostanza vischiosa come la colla; ma se l’idea che la brutalità possa cementare i rapporti umani è tutt’altro che nuova, la scrittura della serie ne mostra, a più riprese, la forza costruttrice oltre che distruttrice.
Menzione non proprio a parte va al dispiego di talenti convogliato nello show: oltre agli attori, forse più noti al grande pubblico (nomi come Fortunato Cerlino, Marco D’Amore, Salvatore Esposito e Cristiana dell’Anna), Maddalena Ravagli, Leonardo Fasoli, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e gli altri scrittori delle quattro stagioni hanno edificato negli anni una struttura capace di assorbire l’urto del ricambio dei personaggi in un contesto nel quale esattamente l’affetto nei confronti dei personaggi veicola l’attaccamento, e la soddisfazione di chi guarda.
Se si discute di valore storico nella serialità italiana, comunque, subito dopo Gomorra bisogna menzionare L’amica geniale. Primo originale in lingua non inglese Hbo (in co-produzione con Rai Fiction, Wildside e Timvision nella prima stagione; la seconda arriva il 10 febbraio su Rai 1), è un ottimo adattamento. Definisco la saga di Elena Ferrante “Gomorra delle femmine” perché mette in scena la camorra in senso non solo lato, e da un punto di vista opposto e speculare a quello della serie Sky: la stessa violenza tramandata di padre in figlio cambia connotati quando si viene al genere, e assume le sembianze dello stato di cattività in cui sono tenute le donne nella società dipinta nei decenni dalla scrittrice fantasma.
Lina Cerullo è un’allegoria della scissione femminile tra ruolo e identità, e su piccolo schermo la trasposizione va come un cazzo di treno. La forza dirompente della storia d’amore platonica tra Lena e Lila era già impressa sulle pagine del libro, vero, ma la serie di Saverio Costanzo (scritta da eccellenze tra cui Francesco Piccolo e Laura Paolucci) riesce a stabilizzare la rivisitazione del classico archetipo della strega della porta accanto che campa di libidine, competizione e ribellione.
Un paragrafo va dedicato anche a Skam Italia. Dopo una cancellazione improvvisa, lo show firmato da Cross Productions e Timvision ha trovato nuova vita presso Netflix (la quarta stagione andrà anche in contemporanea su Timvision) grazie ai numerosi appelli della nutrita comunità di spettatori. E questa è una notizia grandiosa.
Adattata dal format norvegese che ha fatto il giro del mondo, e che da noi è stato preso in mano da Ludovico Bessegato, Skam Italia ha raggiunto livelli di sceneggiatura letteralmente inediti per il nostro paese con la prima serie tv italiana ambientata in un liceo che non suona come una boiata totale e irrealistica basata su dialoghi privi di alcuna aderenza alla realtà.
Merito di Anita Rivaroli, Marco Borromei, Ludovico di Martino, Alice Urciuolo e Bessegato stesso (perdonate gli elenchi, ma chiamare per nome e cognome gli spesso dimenticati scrittori delle serie tv italiane è un dovere nel 2020) che hanno confezionato la sceneggiatura delle tre stagioni evitando la trappola degli scambi verbali imbecilli.
Resta The Young Pope, oggi prossima a trasformarsi in The New Pope (la nuova stagione andrà in onda su Sky Atlantic dal 10 gennaio). L’opera di Paolo Sorrentino per Sky Atlantic, Hbo e Canal+ è un prodotto sui generis sbocciato in seno a un’epoca nella quale la tv stava già vincendo le resistenze da parte del grande schermo; in effetti sembra essere stato concepito per unire mondi diversi nel sacro vincolo del matrimonio.
Poteva apparire scontato che un regista premio Oscar dallo stile inconfondibile mettesse al mondo qualcosa di geniale, e vagamente indefinibile, come lo show con Jude Law; ma nei fatti The Young Pope è anche ostico, a tratti meravigliosamente nonsense, iconoclasta e irriverente fino al fastidio mentre riflette sulla dicotomia tra ordine e caos.
Qui di seguito, invece, trovate le serie dei personaggi che mi hanno voluto dire la loro (e io che dico la mia).
Le Coliche
Claudio e Fabrizio sono fratelli e un duo comico molto apprezzato, tra l’altro, su YouTube.
“1992 (e i suoi quasi omonimi sequel) è il Romanzo Criminale della situazione governativa italiana post mani pulite. Attori azzeccatissimi e ambientazioni fedeli incorniciano perfettamente la situazione dell’epoca, e intrattengono non poco nonostante si parli di politica (probabilmente perché, paradossalmente, ne parlano molto poco).
Pazzesco il personaggio di Pietro Bosco, interpretato da Guido Caprino, il ‘Batman’ leghista travagliato tra senso del dovere e ideale; ottimi anche Antonio Gerardi, Miriam Leone e l’attesissimo Paolo Pierobon, che interpreta Berlusconi molto meglio di Servillo. E poi, diciamocelo, dove ci sono gli anni Novanta c’è bellezza.”
Daniela Collu
Autrice, conduttrice televisiva e radiofonica, conosciuta anche come Stazzitta, nome del suo blog. Il suo primo libro si intitola Volevo solo camminare.
“Il padre della mia serie preferita dell’ultimo decennio è lo stesso della mia serie preferita del decennio precedente. Parliamo di Mattia Torre, di Boris e di quel gioiello di scrittura, equilibrio e interpretazione che è La linea verticale, suo ultimo regalo televisivo del 2018, per Raitre.
C’è la storia di una malattia normale e di una resilienza straordinaria, c’è la sanità pubblica kafkiana ma salvifica, ci sono personaggi eccezionali e sempre e comunque un contatto con la realtà impressionante. È per me un miracolo, e un’eredità inestimabile del suo genio. Come si dice in questi casi ‘fa ridere e fa piangere’—più la seconda, ora che Mattia non c’è più.”
Andrea Delogu
Conduttrice televisiva, radiofonica e scrittrice. Dove finiscono le parole. Storia semiseria di una dislessica è il titolo del suo ultimo libro.
“Sono di parte (Francesco Montanari, mio marito, è il protagonista e ha vinto la Palma d’Oro a Canneseries per questa interpretazione), ma credo che mi si possa perdonare se scelgo come mia serie del decennio Il cacciatore di Rai2/Raiplay. È la storia di Alfonso Sabella e del suo pool antimafia.
La regia, la colonna sonora e il livello di tutti gli attori è straordinario e racconta la parte buona della guerra fra cacciati e cacciatori.”
Marina Pierri
Autrice di questo pezzo e direttrice artistica di FeST – Il Festival delle Serie Tv.
“La mia serie del decennio è una serie che—per ragioni imperscrutabili—hanno cagato in pochi, almeno nel nostro paese. Parlo de Il miracolo di Nicolò Ammaniti, brillantemente scritto anche da Francesca Marciano, Francesca Manieri e Stefano Bises.
Per molto tempo (al netto della comedy) la nostra produzione ha prediletto la storia criminale, il giallo clericale o il caso politico. La chiamo la “sacra triade” della tv italiana, quella composta da Mafia, Chiesa e Stato. Il miracolo ha però superato l’impasse mettendo in scena una società che smarrito il senso del sacro. La serie di Ammaniti infatti opera uno slittamento; la traduzione contemporanea di una tradizione ormai, almeno in parte, depauperata. Nel farlo incorpora qualcosa di magico che somiglia, ma non è, fantasy: è mistero. Lo show è il ponte—secondo me—su cui poggia la transizione tra due età della nostra tv. Una è finita, l’altra è appena cominciata.”
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