Cultura

Tutti i retroscena più curiosi su Skam Italia, raccontati dal suo ‘creatore’

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Guardo un mucchio di serie teen, e per quanto mi riguarda nel panorama italiano Skam Italia è di gran lunga la migliore. Soprattutto grazie ai suoi dialoghi e alla sua struttura, che l’hanno differenziata a tal punto dalla serie norvegese originale da non poter essere descritta come un semplice “remake.” In ogni stagione si approfondisce un personaggio, un archetipo di adolescente, e nella quarta è il caso della musulmana Sana, la più matura e sarcastica del suo gruppo, diretta e riservata.

Secondo uno studio condotto dal Corriere della Sera, Skam Italia è la sesta serie italiana più conosciuta all’estero, prima di Montalbano, ed è piuttosto straordinario se si pensa che ogni Skam viene distribuito esclusivamente nel paese per cui è stato pensato.

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Oggi, in occasione dell’uscita della quarta stagione (l’intera serie è visibile sia sul solito broadcaster, TIMvision, che su Netflix), ho fatto quattro chiacchiere con Ludovico Bessegato, classe 1983, regista, sceneggiatore e showrunner per Cross Productions di Rosario Rinaldo.

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VICE: Ciao, Ludovico. Iniziamo dalla preoccupazione numero uno dei fan: molti sono destabilizzati dall’assenza delle clip giornaliere che hanno sempre caratterizzato Skam. Girare la quarta stagione, nonostante il formato a “clip” permanga, è stato diverso?
Ludovico Bessegato: Non ho girato la serie in modo diverso. Nello scriverla, l’ho impostata esattamente come tutte le altre. Ogni scena è ambientata in un certo giorno, in una certa ora. E c’è una sincronicità precisissima che rispetta: i 100 giorni della maturità, il 25 aprile, l’inizio e la fine del Ramadan, la pasqua, la domenica, i sabati, siamo stati sempre molto attenti con gli orari, coi vestiti, le temperature.

A un certo punto, piuttosto, è emerso che uno dei due partner aveva una diversa politica di distribuzione del prodotto, e la sua posizione era legittima. È noto che Netflix preferisca pubblicare tutta una serie nello stesso momento. Inoltre, sono sopraggiunte le difficoltà legate al Covid. Montare e fare la color a distanza non è stato per niente semplice, e poi non sarebbe stato un po’ strano far uscire una clip coi ragazzi che uscivano da scuola, sapendo che in realtà eravamo in lockdown? A volte nella vita bisogna scendere a qualche compromesso, e noi ce l’abbiamo messa tutta.

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Tornando alle clip, mi dici la tua scena ‘preferita’ di ogni stagione (compresa la terza, quella che non hai diretto tu)?
Della prima stagione, quando le ragazze aiutano Silvia a vomitare, Sana si leva il velo, e dormono tutte insieme. Quando ti accorgi che lì si è formato veramente il gruppo delle amiche. È una scena muta, ed è fantastico quando riesci a esprimere qualcosa soltanto con le immagini. Quella scena per me rappresenta il vero senso di Skam. Molti sono convinti che le storie più importanti della serie siano le storie d’amore, ma per me la storia d’amore che racconta Skam è tra gli amici.

Nella seconda una delle miei preferite è quella in cui Martino fa capire a Giovanni che si sta frequentando con Niccolò, e Giovanni gli tira il coppino, per fargli comprendere che non c’è problema. Nella terza mi piace moltissimo la scena in cui Edoardo ed Eleonora parlano in macchina, il momento in cui finalmente lei rivela il suo lato solitario e fragile, raccontadogli di quando ha avuto l’appendicite ed è dovuta andare da sola in ospedale. Entri finalmente in connessione con due personaggi che prima di allora si erano raccontati sempre in un altro modo. Nella quarta stagione c’è un momento in cui i ragazzi giocano a nascondino tutti insieme, e il gruppo si ricompatta.

La scrittura di Skam Italia è accurata, i ragazzi lo sembrano davvero, senza essere cringe. Mi racconti un po’ come più teste sono meglio di una, e la scelta di farti affiancare per questa quarta stagione da Sumaya Abdel Qader [autrice dei libri Quello che abbiamo in testa e Porto il velo, adoro i Queen, attivista e consigliera comunale a Milano]?
Diciamo che ogni stagione di Skam ha avuto dei co-sceneggiatori diversi. Nella prima mi ha aiutato Anita Rivaroli, che poi ha scritto Summertime, nella seconda Marco Borromei, mentre la terza è stata scritta da Ludovico di Martino e Alice Urciolo. Per la quarta avevo bisogno di una persona che mi desse una mano non tanto da un punto di vista drammaturgico, ma mi raccontasse un mondo che non conoscevo, quello di una famiglia musulmana medio-borghese progressista.

Ho trovato la persona giusta in Sumaya, scrittrice, sociologa, con due figlie adolescenti, di cui una non porta il velo. Abdallah, il marito di Sumaya, è giovanile, simpatico. Ho vissuto tanto la loro casa, mi sono fatto portare a un matrimonio, ai campi dei giovani musulmani in Trentino. Quello che loro hanno saputo fare è stato non darmi delle risposte dogmatiche, ma degli strumenti per capire le loro ragioni, che ho cercato di trasferire nei vari personaggi.

Potresti fare qualche esempio?
Per settimane c’è stato un dibattito tra me e la famiglia, e all’interno della famiglia sulla possibilità che Sana potesse baciarsi con Malik [il ragazzo di cui si innamora]. Perché loro sanno benissimo che può succedere, che dei ragazzi non aspettino il matrimonio per un bacio. Ma l’idea che due persone si bacino, nonostante quello in cui credono, è una visione molto ‘occidentale’. Secondo il loro sistema di valori non è così. Ma vedrai cosa abbiamo deciso.

È stato un lavoro portato avanti anche sul set?
Sì, Sumaya è venuta sul set, ha fatto un grande lavoro con Beatrice Bruschi, che interpreta Sana, da un punto di vista di training di movimenti, preghiere, pronuncia. Quando la famiglia ha visto la serie ha molto apprezzato come Beatrice abbia colto una serie di imbarazzi, difficoltà, ritrosie. A dirla tutta [Sumaya e la famiglia] non sono d’accordo su una battuta, ma trovano credibile che il personaggio o qualcuno possa dirlo—quando Sana dice che dovrà studiare il triplo per essere accettata, e magari non basterà.

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Qual è stato l’attore più facile e l’attore più difficile da scegliere? Quanto ha influito la fisionomia degli attori della serie norvegese? E cosa rispondi a chi dice che sarebbe stato meglio se Sana fosse stata interpretata da un’attrice con un background più simile al suo?
Ho adorato Skam Norvegia, sono fan, ma volevo distaccarmene, non mi interessava che i personaggi somigliassero agli originali. In generale, scegliere gli attori non è stato facile, abbiamo fatto otto mesi di provini, e con più persone addette ai casting.

A essere sincero, l’unico attore che abbiamo individuato subito è stato Rocco Fasano. Il suo personaggio, Niccolò, doveva essere affascinante, ma avere anche un lato nascosto. Ho pensato fosse quello giusto appena l’ho visto, e mi ricordo che l’allora responsabile del gruppo TIMVision Annamaria Morelli, mi disse “Ce l’hai,” senza voler vedere gli altri.

Per quanto riguarda la questione di far interpretare a chi appartiene a una minoranza un ruolo incentrato sulla suddetta minoranza, vorrei tagliare la testa al toro: sono d’accordo. Se un attore appartiene a una minoranza è probabile che sarà tagliato fuori dalla maggior parte dei ruoli che non sono pensati per lui. Ed è quindi ovvio che nel momento in cui in un film si decide di rappresentare una persona transessuale, una persona di seconda generazione, etc, dovresti preferire un attore che possa già conoscerla. Poi ci sono altri discorsi, alcune regole dello star system che ancora persistono, in cui si prendono grandi nomi per attirare il pubblico. Ma non è il caso di Sana. Beatrice non aveva nemmeno un’agenzia.

Nei mesi di provini non abbiamo trovato una ragazza adatta a interpretare Sana, con origini da un paese a maggioranza musulmana e una personale professione di fede musulmana. Ma vorrei fare due piccole premesse: la prima è che a un provino nessuno dovrebbe chiedere mai “di che religione sei,” è illecito, e un’invasione della privacy. E la seconda è che si sono presentate solo due ragazze di seconda generazione, ma erano troppo grandi. Per un attimo abbiamo pensato persino di eliminare il personaggio, ma per me era troppo importante.

Optare per Beatrice—all’altezza del ruolo—mi ha rallentato, perché da regista fai molta meno fatica se l’attore maneggia subito il suo personaggio. Prendere Pietro Turano per interpretare Filippo, per esempio, è stato fantastico, perché è un attivista del Gay Center, vicepresidente di Arcigay Roma, e sapeva già di cosa stessimo parlando. Quando il suo personaggio ha dovuto fare un discorso a Martino sul perché è importante sostenere il Gay Pride me l’ha praticamente scritto lui.

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Come mai hai scelto di trattare prima la storia di Martino e poi di Eleonora, dato che nell’originale viene prima quella di Noora [il corrispettivo di Sana] e poi di Isak [Martino]?
Innanzitutto per la mia sensazione che Skam Italia dovesse fare “il salto.” Ogni stagione è importante, la prima aveva funzionato benissimo sui ragazzi, ma era stata poco considerata da altri. Sapevo che l’Italia aveva bisogno il prima possibile di una stagione come quella di Martino e Niccolò—e avrebbe avuto anche un certo appeal per i giornalisti.

In più, per come funzionano i rinnovi delle serie, quella sarebbe potuta essere anche l’ultima, e non c’era tempo da perdere. Mi piaceva anche l’idea di scombinare un po’ le carte, perché a volte, come sceneggiatore, costringerti a fare dei cambiamenti è un modo per allontanarti dal tracciato originale.

Nonostante lo Skam norvegese abbia solo quattro stagioni, in Francia ne è stata prodotta una quinta su Arthur [il corrispettivo di Elia]. E ora è in corso una sesta…
La verità è che ancora non ci ha pensato nessuno [a un seguito italiano]. Adesso sento il bisogno di godermi un attimo questa release. Sicuramente quest’ultima stagione chiude un ciclo—e questo è un fatto.

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