La rete ferroviaria russa si interrompe alla città di Murmansk, due gradi a nord del circolo polare artico. Non si può andare oltre. Anche perché oltre non c’è niente, solo la distesa grigia del mare di Barents.
Il treno da San Pietroburgo è pieno di russi annoiati che tornano a casa. Sono quasi tutti minatori o lavorano sui mercantili. Una carrozza del treno era piena solo di marinai: a Murmansk è di stanza la flotta russa del nord e l’intera penisola di Kola è piena di cartelli di divieto d’accesso, perché è qui che si trovano i sottomarini nucleari del paese.
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Ma tutte queste persone non stanno ritornando nei loro igloo, stanno tornano in città. Perché se vivi a nord del circolo polare artico—come fanno centinaia di migliaia di russi—allora tanto vale renderlo vivibile.
È possibile rendere l’artico un luogo in cui qualcuno vorrebbe vivere? I russi dicono di sì.
Murmansk ha esattamente 100 anni—come città, è ancora giovanissima rispetto agli standard europei. È stata costruita durante la prima guerra mondiale, quando l’Impero Russo ha deciso che era conveniente avere un porto sul mare di Barents per minacciare la Germania da nord. Così è stato costruito il porto e, cosa più importante, è stato collegato al resto del paese con la ferrovia. Durante la rivoluzione, Murmansk è stata occupata dagli inglesi per un breve periodo. Durante la seconda guerra mondiale, è stata ridotta in macerie dai bombardamenti tedeschi.
Oggi, Murmansk è di gran lunga la città più grande a nord del circolo polare artico—ci vivono circa 300mila persone.
Al centro della città c’è una grande piazza dove si trovano i due principali alberghi: il Meridien e l’Azimut. Visto che non potevo permettermi né l’uno né l’altro, ho alloggiato al Tri Zaysta Mini-Hotel, una specie di bed & breakfast nella zona industriale, vicino alla stazione.
Tri Zaysta vuol dire “tre lepri” e immagino che il nome si riferisse alle tre donne di mezza età che a turno gestiscono il posto facendo da madri agli ospiti. Quando ho provato a spiegarglielo aiutandomi con Google Translate, non sono sembrate troppo interessate a cosa ci facessi in città come turista alla fine di novembre. Gli importava molto di più che mangiassi e mi hanno riempito di blinis con carne e formaggio, uova sode, muesli, zuppe, yogurt, torte, tè, caffè, latte e pezzi di formaggio triangolari avvolti nella stagnola.
Il primo giorno sono andato a visitare la rompighiaccio nucleare Lenin, l’attrazione turistica principale di una città che non attira turisti. È stata costruita nel 1959, la prima nave rompighiaccio nucleare del mondo. Ho fatto un giro sul ponte, nelle cabine degli ufficiali e dell’equipaggio e ovviamente nei reattori. Sono stati decommissionati da tempo ma erano pieni di manichini vestiti con tute anti-radiazioni che mettevano finte barre di uranio nel reattore. La scena mi ha ricordato Homer con la barra di plutonio appiccicata alla polo nella sigla dei Simpson.
Dentro la nave c’erano un sacco di statue e foto di Lenin, insieme a poster che esortavano l’equipaggio a diffondere la rivoluzione proletaria. C’erano anche foto di marinai che giocavano a calcio sul mare ghiacciato e uno scatto di Fidel Castro che visitava la nave accompagnato da Breznev. Per una strana coincidenza, il giorno della mia visita era anche il giorno della morte di Castro. La guida si è commossa quando ha visto la foto.
C’era un altro straniero nel gruppo con cui ho visitato la nave, un tizio italiano in jeans e giacca di pelle che faceva l’ingegnere ed era a Murmansk per lavoro. Quando mi ha chiesto cosa ci facessi in città gli ho spiegato che ero lì per turismo. È rimasto sbalordito. “In che senso per turismo?”
Gli ho spiegato che ero arrivato lì dall’Indonesia viaggiando sempre con autobus, treni e traghetti, con l’idea di spostarmi dall’equatore al circolo polare artico senza mai prendere un aereo—un obiettivo che avevo effettivamente raggiunto solo poche ore prima. “Da matti,” ha detto. Gli ho anche spiegato che faccio il giornalista e stavo facendo ricerca per un articolo. Ha scosso la testa. Ha declinato il mio invito a cena pensando che fossi matto.
Per quanto riguarda i ristoranti: mi aspettavo di mangiare in cabine di legno con i muri ricoperti di pellicce e il menu comprendente solo cacciagione arrostita e fiumi di vodka. Mi sbagliavo. Dalla Lonely Planet ho scoperto che a Murmansk si trova il McDonald’s più a nord del mondo.
Un’altra cosa che non mi aspettavo è stata Dandy, un bistro che serviva hamburger di renna con cipolle caramellate e patatine fritte, con i neon e i muri pieni di specchi. Questa è la Russia anti-sovietica, questi i luoghi della borghesia contro-rivoluzionaria. Il cibo era ottimo.
Ho scoperto che Murmansk è piena di posti così. In città va di moda il sushi ed è pieno di posti che fanno salmone e tonno crudo. C’era una steakhouse in cui, a quanto mi avevano detto, si potevano mangiare i migliori tagli di carne della città al costo di un biglietto del treno per San Pietroburgo. C’erano ristoranti messicani. In ogni bar la lista dei cocktail era piuttosto elaborata e c’erano tapas e patatine.
Anche la temperatura, per quanto facesse freddo, era molto diversa da quella che mi aspettavo. In media c’erano -10 gradi, a volte qualcuno in più o in meno, ma comunque una cosa molto diversa dalla media di -35 che avevo dovuto sopportare qualche tempo prima in Kazakistan. A quanto pare nel 2016 l’artico è stato più caldo del solito di un buon 20 gradi in media—un fenomeno letale per il pianeta ma piuttosto piacevole per un turista straniero ubriaco.
Tutto questo può non piacere ai turisti che cercano qualcosa di “autentico”—qualsiasi cosa significhi. Tornando all’hotel dopo aver mangiato da Dandy ho trovato un bar che era effettivamente in legno, almeno all’interno, e che era arredato con una bella collezione di uccelli, roditori e teste di renna impagliate.
C’era un tizio in un angolo che parlava da solo mentre beveva un tè. In una stanza privata c’era qualcosa di losco che stava succedendo intorno a un tavolo, ma non ho potuto scoprire cosa perché quando ho provato a sbirciare mi hanno sbattuto la porta in faccia.
La birra e la vodka erano buone ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che quel posto fosse stato costruito per i turisti—o quantomeno per riempire le serate libere dei lavoratori stranieri visto che, come mi è stato ricordato diverse volte durante il mio soggiorno, a Murmansk non ci sono turisti.
Il mio ultimo giorno ho fatto una passeggiata sulle colline dietro l’albergo per visitare Alyosha, una statua alta 15 metri che raffigura un soldato sovietico di guarda alla città e commemora tutti i militari russi caduti in combattimento nell’artico—che dev’essere stato in assoluto il posto peggiore in cui combattere.
Dal monumento si può vedere l’alba/tramonto tipico di Murmansk alla fine di novembre. Non era ancora buio tutto il giorno—la notte polare sarebbe arrivata una settimana dopo. Ma allo stesso tempo dalla luce che c’era non si poteva parlare di “giorno.” È più una specie di luce blu che resta sull’orizzonte per qualche ora e poi se ne va.
Dalla base di Alyosha, però, si riesce a vedere il sole. Si vede appena appena sopra l’orizzonte e le nuvole intorno si dipingono di arancione. È l’alba e il tramonto messi insieme. Inizia alle 11 di mattina e finisce all’una. Un’altra cosa che si vede è la città. Da lì si può apprezzare il miracolo della tecnologia che ci consente di creare posti vivibili a queste latitudini.
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