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Come la sorveglianza di massa ostacola la libertà di espressione su internet

Grazie soprattutto alle rivelazioni fatte da Edward Snowden nel 2013, la maggior parte dei cittadini degli Stati Uniti ha ben chiaro che l’intelligence monitora e archivia qualsiasi comportamento online, sia di stranieri che di connazionali.

Avete mai pensato, però, che il fatto stesso di sapere questa cosa potrebbe avervi condizionato a livello subliminale, al punto da farvi smettere di parlare apertamente online di cose che vi interessano?

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Una nuova ricerca suggerisce che la consapevolezza diffusa della sorveglianza di massa potrebbe minare la democrazia, spingendo i cittadini ad aver paura di esprimere un’opinione di dissenso in pubblico.

Il paper pubblicato la settimana scorsa su Journalism and Mass Communication Quarterly, rivista dell’Association for Education in Journalism and Mass Communication (AEJMC), ha riscontrato che “i programmi di sorveglianza online del governo possono minacciare l’espressione di punti di vista minoritari e contribuire al rafforzamento di opinioni maggioritarie.”

“Questa ricerca dimostra che, in presenza di un sistema di sorveglianza, le voci più vulnerabili del nostro paese non vogliono più esprimersi online.”

“Il fatto che l’NSA sia in grado di monitorare di nascosto quello che i cittadini degli Stati Uniti fanno online, potrebbe rendere difficile il confronto tra opinioni diverse” e “potrebbe contribuire a zittire i punti di vista minoritari, fondamento del discorso democratico,” sostiene la ricerca.

L’articolo si basa sulle risposte date a un questionario online da 255 persone scelte casualmente e selezionate per riprodurre la distribuzione demografica basilare della popolazione statunitense.

I partecipanti dovevano rispondere a una serie di domande sull’uso dei media, sulla propria inclinazione politica e sui tratti personali. Gruppi diversi sono stati esposti a messaggi diversi sulla sorveglianza operata dal governo, per esaminare le loro risposte a uno stesso, finto, post su Facebook relativo alla decisione degli Stati Uniti di continuare a bombardare l’ISIS.

Subito dopo, è stato chiesto loro se volessero esprimere la propria opinione in merito alla cosa pubblicamente—compreso come avrebbero risposto su Facebook al post, quanto si ritenessero favorevoli o contrari all’idea di continuare i bombardamenti, quale fosse la loro percezione dell’opinione che hanno gli altri americani e se fossero a favore o meno della sorveglianza online.

Lo studio usava un modello di analisi della regressione—un metodo statistico che stima le relazioni tra diverse variabili—per capire con quanta precisione si potesse prevedere la volontà delle persone di esprimere le proprie opinioni sulla base della natura di quelle opinioni, la percezione del punto di vista dominante e l’atteggiamento nei confronti della sorveglianza di massa.

Questo tipo di modello non produce semplici percentuali, ma fornisce una base statistica che spiega le variazioni nei fattori testati. In questo caso, lo studio ha scoperto che “il 35% delle variazioni nella volontà ad auto-censurarsi di una persona” potrebbero essere spiegate in base a quanto quella stessa persona ritiene giustificabile la sorveglianza.

Per la maggior parte dei soggetti, concludeva la ricerca, essere consapevoli della sorveglianza governativa “ha ridotto significativamente la probabilità di esprimersi in situazioni caratterizzate da opinioni ostili.”

Per quanto lo studio mostrasse tutta una serie di sfumature, la sua conclusione è comunque stata che “sapere che tutto ciò che una persona fa online è soggetto alle intercettazioni governative e credere che queste pratiche di sorveglianza siano necessarie per la sicurezza nazionale gioca un ruolo molto importante nel modellare un comportamento conformista.”

Forse non stupisce più di tanto che le persone che hanno dimostrato un atteggiamento più conformista fossero anche favorevoli alla sorveglianza. A quanto pare, sono più inclini a soffocare le opinioni di dissenso, che percepiscono come deviate rispetto a una visione dominante.

Quando questi individui “sentono di essere monitorati, fanno in modo di conformarsi—esprimendo opinioni di maggioranza, e reprimendo quelle che non lo sono,” concludeva l’articolo. Queste scoperte suggeriscono che la “paura che una persona ha di essere isolata dall’autorità o dal governo” comporta ulteriori “effetti di raffreddamento” nel dibattito pubblico.

“Questa ricerca dimostra che, in presenza di un sistema di sorveglianza, le voci più vulnerabili del nostro paese non vogliono più esprimersi online,” ha detto Elizabeth Stoycheff, professoressa di giornalismo e new media al dipartimento di comunicazione della Wayne State University, e autrice principale dell’articolo. “Questi risultati sono problematici perché potrebbero permettere a un’opinione dominante e maggioritaria di prendere il controllo degli spazi di confronto online, dunque impedire una riflessione per confronto.”

Ma, ha aggiunto, la complessità sempre crescente dei sistemi di sorveglianza e il loro uso in collaborazione con l’industria privata, significa che questo tipo di ricerca è necessaria per capire come la sorveglianza alteri il modo in cui le persone interagiscono online, sia da un punto di vista di contenuti che di rapporto con le altre persone.

Lo studio conferma dunque i commenti fatti da Snowden stesso sabato scorso, durante un discorso fatto via video ad una conferenza di whistleblower, giornalisti ed esperti di tecnologia, a Berlino.

“Sono le minoranze ad essere messe maggiormente a rischio” dall’impatto della sorveglianza di massa, ha detto Snowden. “Senza la privacy c’è solo società, solo collettività, cosa che spinge le persone ad essere tutte uguali e a pensare tutte allo stesso modo. Non puoi avere nulla di davvero tuo, neanche le tue opinioni, a meno che non ci sia uno spazio che appartiene solo a te.”