“La Basilicata esiste, è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi,” racconta Rocco Papaleo, attore, regista, e sceneggiatore originario di Lauria, provincia di Potenza, nella scena iniziale del suo esordio alla regia, Basilicata coast to coast.
Stando a quanto riportato dai dati Istat, a oggi la regione resta ancora sconosciuta a molti: ben il 51,4 percento dei turisti in visita proverrebbe infatti da aree circostanti quali Puglia (20,5), Campania (17,9), e Lazio (13). Tra i motivi, nonostante la nomina di Matera a Capitale Europea della cultura 2019, si potrebbero citare l’assenza di una rete ferroviaria e aereoportuale in grado di connettere la Basilicata, e la mancanza di opportunità capaci di attrarre realmente.
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Michele Battilomo (1989) è un fotografo lucano nato e cresciuto a Miglionico, un piccolo paese in provincia di Matera. Traendo spunto dalle inchieste parlamentari che dalla metà del novecento raccontarono per la prima volta la realtà contadina del sud Italia, il suo folklore, e l’antropologia del suo popolo, nel suo ultimo progetto, De-Population, Battilomo si è concentrato proprio sulla Basilicata e la sua lontananza ‘dalla mappa’.
Lo ha fatto reinterpretando in chiave contemporanea il lavoro dei fotografi Mario Cresci e Franco Pinna, fotografo di scena di Fellini, e l’analisi della civiltà lucana proposta dallo scrittore antifascista Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli—romanzo scritto durante il suo confino politico in Basilicata ai tempi del regime.
Ho sentito telefonicamente Battilomo per parlare della Basilicata, delle nuove generazioni che si convincono ad abbandonarla e di cosa, invece, ha spinto lui a restare.
VICE: La Basilicata è il posto che ti ha visto crescere nel corso degli anni. Come la descriveresti a chi non ci è mai stato?
Michele Battilomo: Lontana dal turismo di massa della Puglia, molto più simile alla Calabria e al Molise, la Basilicata è una delle regioni con la densità demografica più bassa d’Italia. I giovani crescono con una esasperata sindrome di Peter Pan nell’attesa di trovare il loro posto all’interno della società. Rispetto alla vicina Puglia, raramente chi ha avuto l’occasione di andare via ritorna per ristrutturare la masseria del nonno e farci un B&B, un ristorante gourmet o una spa.
Riforma fondiaria, piani straordinari per l’occupazione, assunzioni agevolate, Pnrr, crediti d’imposta: nulla di tutto questo ha funzionato. Neanche la Val d’Agri, il più grande giacimento petrolifero d’Europa, sebbene abbia ingoiato buona parte del territorio lucano, è riuscito a portare un briciolo di progresso: di fatto, un quarto dei lucani vive in povertà.
Insomma, la Lucania è una terra promessa fatta di campagne incontaminate, mare cristallino, antiche rovine, vigneti e montagne, ma pur sempre caratterizzata da un forte disagio. Ironicamente, veniamo persino complimentati per le scarse infrastrutture, perché “senza si vive meglio.” Fiore all’occhiello di tutta la regione è l’irraggiungibile Matera: sito patrimonio dell’Unesco ammirato dai turisti internazionali, è l’unica provincia d’Italia senza Ferrovia dello Stato.
Nel tuo progetto, De-Population, racconti lo spopolamento della Basilicata. Che tipo di conseguenze sta avendo questo fenomeno sul tessuto socioculturale ed economico della regione e quali intenzioni si celano dietro a questa serie?
Lo spopolamento è un processo apparentemente inarrestabile iniziato decenni fa che ha colpito il cuore dell’entroterra lucano, borghi in cui vivono poche centinaia—se non decine—di persone, per lo più anziane. La dinamica è sempre la stessa: muoiono più abitanti di quanti ne nascano, e i pochi giovani scappano, verso le città o la costa, dove è più facile trovare un posto di lavoro e pensare al futuro.
Il senso di vuoto e inadeguatezza dettato dalla mancanza di gente della mia età mi ha spinto a voler esplorare le aree più interne della regione per provare a capire fino in fondo cosa stesse accadendo alla mia terra. Girando gran parte dei borghi della Basilicata, sono rimasto affascinato dalla malinconia che permea questo posto pieno di magia. Un posto che si è fermato nel tempo in attesa di un riscatto che—seppur previsto per gli anni Sessanta—non è mai arrivato.
La conseguenza più grave è la distruzione del micro sistema socio-economico e culturale dovuto alla completa assenza di servizi di base: le scuole si svuotano e vengono accorpate in comprensori tra paesi limitrofi o nei centri abitati più grandi. Chiudono gli uffici postali e gli sportelli bancari, mentre interi reparti ospedalieri vengono spostati a Potenza o Matera, le due città principali. In questo contesto, la fotografia mi permette di condividere con chi non li vede con i propri occhi i cambiamenti che interessano la realtà di cui faccio parte.
Com’è vivere in una regione la cui popolazione è composta prevalentemente da over 55?
Vivo qui perché diverse circostanze mi hanno portato a restare e provare a resistere. Mi sono da poco trasferito a Matera, una “mosca bianca” e città straordinaria dove il dato dello spopolamento è controvertito.
Sono molto legato alla mia terra, ai suoi forti contrasti, ai valori e alle tradizioni che la contraddistinguono, e con le mie foto cerco di mantenere vivo tutto ciò che a breve potrebbe scomparire.
Che cosa dicono quegli over 55 dei giovani che si sono trasferiti altrove?
Per noi l’emigrazione è uno status: i nostri nonni emigravano in Germania, i nostri genitori prestavano forza lavoro nel nord Italia, la nostra generazione emigra per studiare. Essere “periferici” vuol dire essere dimenticati, relegati a una marginalità passiva senza possibilità di redenzione, per cui l’emigrazione è vista come un fenomeno naturale.
Gli scatti di De-Population si focalizzano sui cittadini e sulle vedute paesaggistiche. Che tipo di estetica hai voluto riprodurre, e cosa ti ha spinto a prendere questa scelta stilistica?
Ho cercato di mantenere uno stile fotografico neorealista ispirandomi a Mario Cresci, Franco Pinna ed Henri Cartier-Bresson (alcuni dei fotografi che per primi hanno documentato la Basilicata a partire dal secondo dopoguerra), per poi contrastarlo con un’estetica più moderna.
In alcuni scatti ho utilizzato un flash esterno in modo da enfatizzare la scena: soggetti qualsiasi, giorni qualsiasi, ambientazioni qualsiasi, ritratti in bilico tra resilienza e una resa rassegnata. Ho voluto raccontare questa storia con una certa crudeltà, rappresentando i volti scalfiti dalle rughe, o soffermandomi sui paesaggi rurali ricchi di poesia e simbolo della cultura contadina per cercare di coglierne la speranza che troppo spesso manca.
A volte lo sguardo a un territorio in abbandono fa emergere quella vena malinconica fine a se stessa che idealizza lo spazio, gli aspetti tradizionali, il contrasto tra ieri e oggi, dimenticandosi del perché la gente se ne è andata. Come si fa a evitare di cadere in contraddizione quando ci si approccia a un tema del genere? Tu eri consapevole di questo rischio mentre scattavi?
Ne sono consapevole anche oggi, poiché la serie è ancora in corso. Di base la mia intenzione non è quella di dare delle risposte sul tema, perché il progetto è privo di qualunque obiettivo moralizzatore. De-Population è uno sguardo su ciò che accade attorno a me, nel bene e nel male.
Che tipo di manovre ritieni siano necessarie a proteggere la Basilicata e i suoi abitanti dalle conseguenze dello spopolamento?
Per anni in Basilicata è stato messo in atto un meccanismo di mortificazione dei talenti che li ha portati a cercare fortuna altrove. È importante valorizzare queste risorse per provare a dare il via a un utopico esperimento di rinascita. Cerco sempre di entrare in contatto con giovani illustratori, grafici, designer, fotografi o musicisti del posto, che sia per una birra o per delle brevi collaborazioni. Per anni sono stato nel direttivo di Frequenze Mediterranee e Archival, due associazioni locali che si occupavano di organizzare festival di musica indipendente e contest per band emergenti. A breve speriamo di riaccendere i motori.
Penso che la chiave del cambiamento stia nelle attività culturali, in un polo universitario con una buona reputazione, nell’educazione e nella creatività.
Oltre a migliorare i collegamenti da e verso la Basilicata sfruttando al meglio le infrastrutture e i mezzi di trasporto già presenti sul territorio, bisognerebbe anche favorire una svolta digitale rendendo la connessione a banda larga fruibile da tutti. Solo incoraggiando una nuova visione delle cose si riuscirà a creare un percorso di rigenerazione socio-economica capace di fruttare a lungo termine.
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