Immagini: Daniel de Bruin
Le stampanti 3D esaudiscono facilmente le visioni retro-futuristiche di come la produzione debba svolgersi nel ventunesimo secolo. Sono collegate ai computer e sono per la maggior parte automatiche, e possiedono cavi e bottoni e altri segni caratteristici di questo genere di strumenti.
Ma c’è un progetto che vuole sbarazzarsi di questo tipo di parti intelligenti. Daniel De Bruin, studente dell’ Università delle Arti di Utrecht, Olanda, ha costruito una sua versione di stampante 3D, completamente analogica (e grazie a 3ders per aver portato alla mia attenzione il lavoro di De Bruin). Non viene usato nessun computer, nessun cavo e nessuna fonte di energia a parte l’azione fisica della persona.
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Quest’idea non proviene da una forma di Luddismo ma da una riflessione sulla proprietà artistica. De Bruin mi ha detto al telefono di aver lavorato a lungo con le stampanti 3D—le solite, del tipo normale—ultimamente, ed è rimasto affascinato dalla loro tecnologia e dalle loro tecniche. Ma dopo un po’ ha iniziato a sentire come se la macchina stesse facendo troppo. “La cosa di cui mi sono accorto era che non sentivo mie le cose che venivano stampate, era come se fossero un prodotto della macchina,” ha detto. “Quindi ho deciso di costruire una macchina in grado di creare oggetti che fosse assemblata e alimentata da me, in modo da mantenere una connessione con ciò che produce.”
A parte le ruote dentate, gli ingranaggi e le catene, ha costruito personalmente i componenti della macchina, per la maggior parte ricavati da materiali a basso costo. Il marchingegno che ne risulta è tipo quelli che ci si immagina di progettare da piccoli per farsi fare la colazione a letto; è squisitamente industriale con un po’ di ingranaggi e viti e un rumore di meccanismi che ronzano e girano. De Bruin ha detto che voleva concentrarsi sulla funzionalità, non sul design, dunque ha costruito il meccanismo come gli è venuto.
Il principio è semplice: una siringa tira fuori dei filamenti (o, in questo caso, argilla ad asciugatura rapida) su un piano rotante, disegnando così dei cerchi. Il piano si muove verso il basso man mano che gira, e si finisce per ottenere un cilindro.
Per mettere a posto la forma—che deve essere circolare ma può variare per circonferenza e altezza—viene piegato un piccolo cavo di alluminio che è attaccato alla siringa. Una protuberanza sul cavo spinge la siringa più in là sulla piattaforma, producendo un cerchio più largo e provocando una cresta nel progetto finito.
Il meccanismo è messo in azione dall’utente, ma con uno sforzo minimo. Per farlo iniziare, De Bruin ha dovuto solo sollevare un peso e il movimento si è avviato. “La cosa bella è che nel momento in cui sollevo il peso, la mia energia viene trasmessa e poi subentra il macchinario,” ha detto De Bruin. “Ma comunque il macchinario passa tutta la mia energia al prodotto.” Lui ha un ruolo fisico, pratico nel processo di fabbricazione, ma rimane il fascino del siediti-e-rilassati della stampa 3D.
Ha prodotto alcuni oggetti simili a vasi. Non sono levigati come i normali modelli stampati in 3D, ma senza dubbio l’obiettivo è quello. La precisione clinica di una normale stampa in 3D è importante per gli usi scientifici, come il bioprinting di organi umani modificati o la sostituzione di pezzi di veicoli spaziali, ma il marchingegno di De Bruin conserva il fascino rustico dell’artigianato. Come scrive sul suo blog “i difetti sono spesso la cosa più interessante.”
De Bruin mi ha detto che recentemente ha fatto esperimenti con i colori, e ha intenzione di modificare la stampante in modo da poter realizzare oggetti più grandi. Dopodichè vorrebbe crearne una versione da scrivania con un dispositivo a molla invece che con un sistema a peso. “Forse una versione open-source, una macchina fai-da-te sarebbe fantastica” ha detto. “Mi piacerebbe davvero vedere altre persone ispirate da questa combinazione tra vecchia e nuova tecnologia.”