Cosa sappiamo finora sui bombardamenti USA in Siria

Quando nel 2013 Barack Obama stava considerando l’opzione di attaccare la Siria, Donald Trump scrisse una serie di Tweet in cui ammoniva il presidente degli Stati Uniti a non farlo.

Quattro anni dopo, e dopo soli tre mesi alla Casa Bianca, lo stesso Trump si è trovato in una posizione simile, decidendo di fare quello che il suo predecessore non aveva mai (o ancora) fatto.

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Alle 3.40 ora italiana, gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili Tomahawk—dei missili cruise ad ampio raggio—contro la strategica base aeronautica militare di al Sharyat, la stessa dalla quale quattro giorni fa era partito il bombardamento chimico.

Secondo l’esercito siriano, le vittime sarebbero sei.

Nella conferenza in cui ha annunciato l’attacco, dalla sua residenza in Florida, Trump ha dichiarato che la decisione è giunta in risposta “al terribile attacco chimico lanciato dal dittatore siriano Bashar al-Assad, che con l’uso di gas sarin ha strozzato la vita di uomini, donne e bambini innocenti.”

Il presidente degli Stati Uniti ha definito quello del 4 aprile, in cui hanno perso la vita 74 persone, “un attacco barbarico”—aggiungendo che “prevenire e scoraggiare la diffusione e l’uso di armi chimiche letale è nell’interesse vitale degli Stati Uniti,” e che la Siria avrebbe “ignorato le ammonizioni del consiglio di sicurezza dell’ONU.”

Infine, Trump ha accusato il regime di Assad di creare la crisi dei rifugiati e di costituire una minaccia agli Stati uniti e ai suoi alleati, chiedendo “a tutti i paesi civili di unirsi agli Stati Uniti per porre fine alla strage e allo spargimento di sangue in Siria e per fermare il terrorismo in tutte le sue forme.”

Se però Trump parla chiaramente di un attacco nato come diretta conseguenza all’uso di armi chimiche di Assad, quello che ci si sta chiedendo in queste ore è se si sia trattato di un attacco singolo o se finirà per essere parte—per scelta o meno—di una escalation militare.

Qualsiasi siano le conseguenze, comunque, si tratterebbe di una svolta che ha colto il mondo di sorpresa, e che apre le porte a un periodo di grande tensione e incertezza internazionale.

Se infatti già ieri circolavano le voci di un cambiamento radicale nell’approccio di Donald Trump, e i più importanti leader mondiali erano stati avvertiti dell’imminente attacco, la storica amicizia tra Trump e Putin e la retorica usata in passato da Trump—secondo cui l’America avrebbe dovuto badare esclusivamente ai suoi interessi senza invischiarsi nella politica estera—rendono questa una svolta imprevedibile fino a pochi giorni fa.

In queste ore, mentre arrivano notizie contrastanti sulla riuscita o meno dell’attacco, i leader di tutto il mondo stanno facendo sentire la propria voce.

In Italia, Gentiloni in conferenza stampa ha parlato di “una risposta motivata da un crimine di guerra” per poi aggiungere che la responsabilità è “interamente del regime di Assad,” schierandosi quindi di fatto con gli Stati Uniti.

Sulla stessa linea, Markel e Holland hanno lasciato questa mattina un comunicato stampa nel quale additano il dittatore siriano come unico responsabile dell’attacco. Pieno appoggio verso gli Stati Uniti è stato espresso anche da Israele e Turchia.

Sul campo opposto, la Russia si è schierata duramente contro la decisione di Donald Trump.

Mentre Putin continua a negare che Assad abbia usato armi chimiche, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha parlato di un attacco “in violazione delle norme di diritto internazionale,” che “arreca un danno considerevole alle relazioni russo-americane,” aggiungendo che si tratta di una decisione volta a distogliere l’attenzione mondiale dai morti civili in Iraq.

Ovviamente, la situazione è ancora in evoluzione e i punti di domanda sono ancora moltissimi. Quello che è certo è che i rapporti diplomatici tra Occidente, Russia e Medio Oriente si fanno sempre più complicati, e che quest’attacco non servirà a rendere più vicina la fine della guerra civile in Siria—una guerra che va avanti da sei anni, e che secondo i dati de l’osservatorio siriano per i diritti umani ha causato 321mila morti 145 mila dispersi.


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Foto: Grab via YouTube