Música

Staycore: computer contro il patriarcato


Staycore.

Il Sonic Acts è il festival multidipliscinare di musica elettronica che dal 1994, per tre giorni, irrora Amsterdam—Stedelijk Museum, Paradiso—di linfa nuova, refrigerante, e non solo perché a febbraio fa un freddo fottuto. Quando ho scoperto che quest’anno si sarebbe tenuto esattamente nei giorni in cui avevo programmato di andarci, come qualsiasi altro essere umano al mio posto, ho gioito. La lineup di sabato, secondo giorno di festival, tra i tanti nomi contava quelli di Lotic, M.E.S.H, Paul Jebanasam, Lexxi, Daïchi Saïto, SØS Gunver Ryberg. Questo tipo di proposta musicale e il parallelo affiancamento di attività di ricerca, workshop ed esposizioni, plasmano un ecosistema tutto nuovo la cui fertilità è data proprio dall’impossibilità di descriverlo appieno. La multidimensionalità è sia individuale che collettiva, e non è un caso se sono stati ospitati showcase di due delle label più in primo piano sulla questione della non appartenenza di genere come NON e Staycore, rispettivamente rappresentati dalle triadi Angel-Ho, Chino Amobi, Nkisi e Kablam, Toxe e Alx9696.

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Con uno dei primi tre ho intrattenuto una delle migliori chiacchierate del 2016 e questo è bastato a farmi venire una voglia matta di confrontarmi con le seconde, collettivo e label svedese che nell’ultimo anno ha fatto parlare molto di sé in giro per l’attivismo in tematiche di gender fluidness e comunità queer transnazionali, a cui appartengono anche Dinamarca, Mechatok, e Mobilegirl. Inutile specificare che entrambe le crew, quella sera, sono state all’altezza di suddette chiacchierate—leggi: hanno raso al suolo il Paradiso.

Noisey: Da quanto vi conoscete?
Toxe:
Credo un anno? Qualcosa così. Sì, lo scorso inverno.
Alx: Sembrano un sacco di anni ma no, uno solo.

Tu Tove hai diciotto anni, giusto? Ho visto da Instagram che stavi lavorando alla tesina di maturità sui PMDD (Disordine Disforico Premestruale). Com’è andata?
Toxe: Ci sto ancora lavorando, ma sta andando bene! Un sacco di ragazze mi hanno contattato dopo quel post, non tutte conoscono davvero in cosa consiste questa sindrome. L’ultimo anno di superiori non abbiamo esami ma un grande progetto che puoi passare o non passare. E in genere sono collegati all’ambito dei tuoi studi; se fai musica il progetto potrebbe essere un mixtape, se fai psicologia, letteratura e filosofia hai l’opportunità di scegliere un argomento come il mio. Potrei fare un’altra intervista solo su questo [Ride].


Alx9696.

Vero e sarebbe comunque interessantissimo. Quindi non studi musica a scuola?
Toxe: No, e so che se lo facessi non sarebbe così interessante perché i professori sono pessimi. Però certo, vengo ispirata continuamente da quello che studio, ed è stimolante.

Da quanto suonate e come avete iniziato?
Toxe: Mi sa da quando avevo quindici anni. Mio fratello ha scaricato Ableton sul mio computer, mi annoiavo e ho deciso di dare un’occhiata. Mio fratello mi ha insegnato le basi, e poi mi ha lasciato da sola, per farmi imparare meglio. Non mi stava addosso e potevo sperimentare con tutto il tempo e la calma del mondo. Non sono molto brava con la tecnica, e sul momento non credevo che sarei davvero riuscita a produrre tracce. Lui è sempre stato attaccatissimo alle regole, alla tecnica e a come si “costruisce” per bene qualcosa, io sono molto più libera in questo senso. Sono ben contenta di non saperne niente e di continuare per la mia strada.
Kablam: Lo stesso per me, ho dovuto fare da sola. Ho cominciato con Logic, poi l’anno scorso sono passata ad Ableton. La nuova versione poi è molto simile a Logic, quindi non ci sono stati troppi problemi.

Usate anche strumenti analogici?
Toxe: Veramente no… per nulla. Faccio tutto col computer, non uso altro. A volte registro suoni o voci, ma non ho alcun tipo di strumentazione con me, mai.
Kablam: Neanche io. Ho provato con le drum machine, ma lo trovo estremamente diverso dalla produzione a computer. Lo trovo limitante, e forse le stesse persone che invece ne fanno ampio uso trovano limitante il mio approccio, ma vabe’. Il beat rimane sempre lo stesso, e le tracce escono tutte più o meno uguali. Boh. In ogni caso trovo bellissimo che basti un computer oggi per fare musica, mi fa sentire più libera.
Toxe: Costano troppo e non tutti possono permetterseli. È uno dei principali motivi per cui non ne faccio uso, per esempio.
Kablam: Sì, è una questione di classe e di strutture patriarcali. Sono quasi sempre gli uomini a prediligere l’utilizzo di synth e strumentazione analogica, e usare i computer mi sembra un ottimo modo per contrastare questa deriva.

Tempo fa ho parlato con un po’ di ragazze italiane che fanno musica elettronica e utilizzano strumenti, e mi hanno riferito praticamente la stessa cosa. Ci saranno sempre uomini che si avvicineranno a loro sentendosi in dovere di “aiutarle”, come se non fossero capaci da sole.
Toxe: Per questo credo sia importantissimo come prima cosa essere circondate da donne, quando hai bisogno di nozioni tecniche. Se fai una domanda tecnica e con te ci sono solo ragazzi, ti senti inevitabilmente stupida anche per via dell’atteggiamento che questi hanno quando si trovano in situazioni del genere. Io personalmente cerco di circondarmi da figure femminili, che siano mia sorella o Staycore. Quando ho conosciuto le persone dietro a Staycore la mia vita è come cambiata, proprio per la presenza di donne. All’inizio, i primi tempi che facevo musica, la gran parte di quelli che mi contattavano su Soundcloud erano uomini, e dicevano tutti più o meno le stesse cose. Ne ero stufa. Con Staycore mi sono sentita molto più sicura, adesso apprezzo più me stessa e la mia musica. Avere donne attorno a me mi ha aiutato tantissimo, e lo reputo super importante per l’autostima.

Sarebbe bellissimo questa sensibilità si diffondesse anche in Italia, dove spesso le producer arrivano a rassegnanarsi passivamente a questo sistema, facendo quasi peggio di chi ne è padrone. Dato ormai siamo in tema, parlatemi di Staycore.
Kablam:
Cristian (Dinamarca) e Ghazal sono quelli che ci hanno connesso tutti. Appena trasferita di nuovo a Stoccolma ho conosciuto Cristian su Soundcloud, e ha cominciato a mandarmi le sue tracce. Ghazal poi mi ha scritto per chiedermi se volessi suonare alla loro serata Staycore.
Toxe: Identico per me. Ho semplicemente seguito Dinamarca su Soundcloud, e il giorno dopo mi ha scritto Ghazal facendomi i complimenti per la mia musica. Tre settimane dopo mi sono trasferita definitivamente a Stoccolma, e da lì ho iniziato a suonare alle loro serate. Tutto questo un anno fa, Staycore è davvero una roba nuovissima.

Già, pure NON è nata più o meno così, da come mi ha raccontato Chino Amobi. Tutte cose che succedono in archi di tempo brevissimi e però lasciano un segno enorme.
Alx: Non ricordo bene quando è nato tutto, ma mi ricordo le prime release, forse Halloween 2014.
Kablam: Tu Tove mi hai mandato una mail anche, mi sembra, chiedendomi una traccia.
Toxe: Sì perché avevo fatto un mix per un magazine della mia città, Baby Magazine, con su tutte producer donne, e ci volevo inserire Kajsa. Allora le ho scritto chiedendole una traccia, lei ha accettato, me l’ha mandata e abbiamo iniziato a parlare. Abbiamo passato fasi in cui ci sentivamo sempre alternate a silenzi lunghissimi, ma comunque ci siamo tenute in contatto.
Kablam: Non sapevo tu facessi musica! L’ho scoperto tramite un’altra amica, a quel punto gliel’ho proprio chiesto, “Perchè non me l’hai detto prima?” [Ride] Mi sono sentita colpevole, tipo. Le avevo risposto una cosa come “Beh, ecco la mia traccia,” come una che se la mena a mille.


Paradiso.

Quanto hai vissuto a Berlino, Kajsa?
Kablam: Mi sono trasferita nel 2012, ci ho vissuto due anni, e sono ritornata a Stoccolma. Poi mi sono ritrasferita l’anno scorso per un po’, e ora sono di nuovo tornata. A Berlino suono settimana prossima con l’altra mia “crew” [Ride], ne ho tante a quanto pare. Janus, che è quella con cui ho cominciato a fare musica. Adesso è anche una label, e ho una release imminente in uscita a maggio. Almeno questo è il piano.

Capito. Che ne pensate di questo festival?
Alx:
È molto fico, si sente e si vede la ricerca che hanno fatto per organizzarlo.
Kablam: Sento come se fossimo connesse.
Tutti: Sì, sicuramente.

Alx: Siamo una specie di classe, la classe del 2016, ognuno con una nostra individualità, ma accomunati da una specie di “ideale”, che però non saprei definire a parole.

Esatto, e riconosco nella vostra musica un layout comune, volto a superare ogni barriera fisica e mentale che fino ad ora ha condannato la produzione—specie di musica elettronica—ai compartimenti stagni che conosciamo. Proprio per questo non è necessario trovarne, di definizioni.
Alx: Sono d’accordo. Non faccio neanche musica per adesso, a breve inizierò, ma lo capisco bene. Per me non si è trattato di rendersi conto di qualcosa, sono sempre stato così. Mi definisco una persona non normativa, anche se ovviamente non è che ho sempre avuto questo aspetto. È stato un processo naturale di scoperta interiore ed esteriore; non mi sono mai riconosciuto in nessuna delle scene musicali in cui mi sono imbattuto, né nei “generi” convenzionali. Ho sempre cercato altro, ed è quello che credo facciano tutti nella loro vita, una continua ricerca di qualcosa che possa calzarti meglio. Un comfort che dia sollievo e renda giustizia alla multidimensionalità di istinti e nature che possono fiorire in ognuno di noi. Non parlo neanche di musica e basta, perché chi come me crede in questo si ritrova a fare musica diversissima l’una dall’altra e incatalogabile. Kajsa, Tove, Chino Amobi, Elysia Crampton… tutte sonorità diverse. Quello che connette noi tutti è l’individualità e la creatività con cui ci approcciamo alla nostra produzione, nonché alle non-normative come effettiva soluzione alternativa a quella dominante. Non so bene come sono finito a parlare di queste cose.

Ha perfettamente senso. In Italia si respira un’aria ben diversa, come potete immaginare. Le scene sono sacre, intoccabili, nel bene e nel male lo dico. Per questo faccio spesso riferimento a realtà “libere” come la vostra, perché è la dimostrazione che si può ragionare in altri termini ancora.
Alx: Siamo anche privilegiati, bisogna dire, in quanto figli di una società occidentale. Disponiamo di capitale, potere, e di conseguenza siamo anche liberi. La libertà che ci permette di operare in questo modo è figlia del capitalismo.

Vero, ma c’entra anche la società. In Italia non siamo pronti a niente del genere.
Alx: Immagino, perché c’è una società più conservatrice. In Svezia è ancora così spesso e volentieri, le destre sono più accanite che mai. Sono stato in Brasile di recente con Ghazal, la manager di Staycore, e abbiamo parlato con un vecchio del posto che continuava a lamentarsi di Sao Paulo—la città in cui eravamo—dicendo che faceva schifo. Noi gli ripetevamo che non era vero, era solo l’abitudine che lo faceva parlare così, che la città era meravigliosa e futuristica come nient’altro al mondo e via dicendo. Da fuori la nostra società sembra più libera, ma in realtà credo sia solo più ingabbiata. Per me poi è ancora più peculiare. Nessuno mi ha mai chiesto com’è crescere in Svezia per una persona nera, e io stesso sono il primo a non essere sicuro se quello che faccio è “cultura” o “arte.” Essere qui infatti per me è molto strano, perché non so cosa pensi davvero la gente di quello che faccio. Quando siamo a Stoccolma e facciamo le feste Staycore le persone le assimilano come feste, nient’altro. Non si parla certo di “cultura,” buona o cattiva che sia.

Capisco. Come mai eri in Brasile?
Alx: Mi stavo trasferendo a Berlino. Sono nato in Svezia da madre svedese e padre gambiano. Ero andato a suonare in Sudamerica con Cristian e Ghazal, e tra le tappe c’era anche Sao Paulo. Sono entrambi là comunque, Dinamarca in Cile e Ghazal a Cuba.

Fico. Le tue origini gambiane ti hanno influenzato in qualcosa? Non so te ma io non riesco a sentirmi completamente parte di qualcosa, specie se si tratta di culture/tradizioni di appartenenza. Questo non toglie che ci sia comunque molto legata.
Alx: Non sono mai stato fan accanito della musica gambiana, ma l’ho ascoltata davvero tanto e mi piace. La stessa “cultura” gambiana è una convergenza di tante altre, la dancehall, la musica jamaicana, e cose così.

Sì immagino, è più o meno la stessa cosa con le derive elettroniche della musica tradizionale sudamericana. Ci sono particolari ibridazioni musicali che secondo me è essenziale mantenere tali. Quando poi sono frutto di associazioni tra suggestioni di altri paesi e culture, e momenti più pop, “commerciali”, diventa ancora più intrigante. Molti però la scambiano per ironia o post-ironia, senza rendersi conto che è una presa di posizione decisamente ottusa.
Kablam: Sì, lo è. Personalmente non ho mai suonato niente con ironia. Molte persone hanno problemi ad accettare che qualcosa piaccia davvero. Si sentono in colpa, o comunque si vergognano ad ammetterlo in pubblico. Ho smesso già anni fa di pensarla così, di vivermi addosso il senso di colpa altrui o idiozie simili. Me ne sono liberata completamente. Alcuni hanno anche definito la mia musica “post-Internet.” Cosa cristo vuol dire?
Alx: È la definizione più semplicistica e banale che possa venire data. È già tanto se viviamo nel presente di Internet, in che modo potremmo rappresentarne il post? Sembra proprio una parolina carina inventata ad hoc per pigrizia, più che per attenzione. Nella nostra “scena” i riferimenti di chi fa questo tipo di musica, e gli stessi musicisti appartengono a minoranze che hanno bisogno di crearsi da zero habitat nuovi, con tutte le loro energie. Non ironici. Non faccio musica e non ho lo stesso feedback di Toxe e Kablam, ma quando ho iniziato a suonare come DJ è stato difficile. Non c’è spazio per tutto quello che non è “normale”. Per esempio, quando Ghazal e Cristian mi hanno insegnato a suonare, mettevano un sacco di reggaeton. Ghazal lo adora. In Svezia la gente balla ironicamente la musica che non capisce, specie se è nera o latinoamericana. “È divertente!” No, non lo è, puoi startene anche lì fermo e non ballare come un idiota. Essere te stesso.

Credo che siano due le reazioni più comuni al fenomeno: una è quella che dici tu, comportarsi da idioti e coglierne un inesistente aspetto goliardico; l’altra è rifiutarlo a priori, chiudersi a riccio e lamentarsi della troppa ironia.
Kablam: Esatto. Anche quando faccio set più convenzionali, magari anche pestoni, vedo reazioni del genere perché credo sia considerata low culture. Ha più appeal per le masse e a me piace da impazzire. Stasera sarà un misto tra robe mie nuove in uscita per Janus, e tracce altrui. Mi è sempre piaciuta l’idea di ibridare live e dj set, cose mie e di altri, valorizzando tutta la musica, non solo la mia.

Non vedo l’ora sia stasera! Direi che abbiamo parlato a lungo comunque. Quando tornerete a casa?
Tutti: Domani [domenica 28 febbraio].
Toxe: Devo tornare a scuola lunedì.

Ah cavolo è vero…
Toxe: Eh sì… ho scuola. Febbraio è stato un mese impegnativo, praticamente ogni weekend ero in una città diversa a suonare. Settimana scorsa ero al Sonar, questa ad Amsterdam, prima Berlino…

E dopo la scuola cosa farai?
Toxe: Penso che starò più dietro a Staycore, dato che avremo tutti più tempo libero.

Giusto.


Da sinistra: io, Toxe, Axl9696, Kablam. Staycore, givecore.

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