Il cosiddetto “effetto valanga” è un modo piuttosto inquietante per descrivere il cambiamento climatico, ma un nuovo studio sta predicendo esattamente questo.
I ricercatori climatici hanno segnalato che entro il 2050, ben 55 trilioni di chilogrammi di carbonio potrebbero essere liberati nell’atmosfera dal terreno. Per capirci, si tratta dell’equivalente delle emissioni dell’intero pianeta più dei secondi Stati Uniti. Effetto valanga significa che più emissioni equivalgono a un maggiore riscaldamento e maggiore riscaldamento equivale a, be’, più emissioni.
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Ovviamente, questo scenario da incubo dipende interamente dalla nostra incapacità di contenere le emissioni di carbonio—un destino sempre più realistico considerata la presenza di Donald Trump,un negazionista climatico e aficionado del carbone, che sta per entrare nella Casa Bianca. Non riuscire a soddisfare gli obiettivi preposti dal Trattato di Parigi potrebbe risultare in “circa il 17 percento in più delle emissioni precedentemente previste a causa delle attività umane svolte in quel periodo,” ha spiegato Tom Crowther, autore dello studio e ricercatore al Netherlands Institute of Ecology.

Le emissioni globali di CO2 nel 2008 dall’utilizzo di combustibili fossili e alcuni processi industriali. Immagine: US EPA
Il nuovo studio, pubblicato su Nature la scorsa settimana, presenta i risultati di un’analisi globale del terreno effettuata negli ultimi 20 anni. Gli scienziati hanno analizzato il carbonio terrestre per decenni, non solo per la sua capacità di liberare gas serra, ma anche per le sue abilità di immagazzinamento dello stesso. Ciononostante, Crowther afferma che questa è la prima volta che viene presentata una prospettiva globale circa le emissioni provenienti dal terreno.
A differenza di altre analisi, spiega Crowther, questa ha tenuto in considerazione le perdite di carbonio da alcuni dei luoghi più freddi della Terra.
Nell’Artico, per esempio, enormi quantità di carbonio si sono accumulate nel terreno nel corso di migliaia di anni. A causa delle temperature glaciali, i microbi che normalmente stimolano il rilascio del carbonio attraverso la decomposizione sono meno attivi in queste regioni. Ma mentre le temperature continuano ad alzarsi, come è successo in particolare negli ultimi anni, questi microbi potrebbero aumentare drasticamente la loro attività, accelerando il ritmo con cui il carbonio viene rilasciato nell’atmosfera.
“Le riserve di carbonio sono più grandi in luoghi come l’Artico o il sub-Articolo, dove il terreno è freddo e spesso ghiacciato,” ha aggiunto Crowther. “La cosa che fa paura è che queste regioni sono i luoghi in cui ci aspettiamo il maggior riscaldamento durante il cambiamento climatico.”
I 55 trilioni di chilogrammi di emissioni sarebbero rilasciati sotto forma di diossido di carbonio (CO2) e metano, secondo lo studio. Il metano, che incide 25 volte in più del CO2 sul riscaldamento globale, preoccupa soprattutto in alcune zone della Siberia dove il permafrost in scioglimento sta causando alcuni fenomeni piuttosto strani, come l’emergere di bolle dal sottosuolo. In un’intervista con Alex Verbeek, Crowther ha detto che questi effetti potrebbero peggiorare a causa del rilascio di carbonio dai depositi terrestri.
Per rallentare questi processi, il “sequestro del carbonio” o l’aumento della presenza di alberi potrebbe aiutare. Come evidenzia lo studio, però, l’effetto globale di queste strategie richiede ulteriori analisi.
“Ottenere questo tipo di feedback è essenziale se vogliamo proporre delle proiezioni significative sul futuro delle condizioni climatiche,” ha aggiunto Crowther.
“Solo così potremo generare obiettivi di emissioni di gas serra realistici che diventano effettivamente utili per limitare il cambiamento climatico.”
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