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Secondo questo studio c’era vita intelligente sulla Terra prima di noi

Uno degli autori del nuovo studio, Gavin Schmidt, ha scritto un racconto per esplorare le sue scoperte. Leggi ‘Under the Sun’, che abbiamo pubblicato su Terraform insieme a questo pezzo.


Il desiderio umano di connettersi con altre forme di vita intelligenti è profondo, ed è diventato la forza motrice di una serie di scoperte scientifiche. Dall’analisi delle onde radio del SETI Institute, alla scoperta dell’acqua liquida sui pianeti vicini, passando per le migliaia di esopianeti scoperti negli ultimi vent’anni, abbiamo avuto grossi vantaggi dal cercare uno dei più remoti misteri del cosmo — ovvero: se siamo soli oppure no nell’universo.

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Ma nella nostra ricerca della vita nello spazio profondo, ci siamo forse un po’ lasciati sfuggire il valore della ricerca attraverso il tempo. La Terra è l’unico pianeta di cui abbiamo la certezza che ospita una specie tecnologicamente avanzata, ma non abbiamo mai pensato che nel corso dei suoi 4,5 miliardi di anni il nostro mondo potesse aver prodotto altro rispetto alla civiltà industriale.

Al di là delle storie di fantascienza e di un paper speculativo dell’astronomo Jason Wright, si è pensato molto poco all’ipotesi che gli esseri umani non siano stati i primi a costruire una civilizzazione avanzata nella storia del sistema solare.

“Non è stata esplorata così tanto come ipotesi,” mi ha detto al telefono Gavin Schmidt, direttore del NASA Goddard Institute for Space Studies di New York. “Non si è presa in considerazione come potenziale campo di ricerca.”

Così, Schmidt ha collaborato con l’Università di Rochester Adam Frank a un paper intitolato “L’ipotesi Siluriana: sarebbe possibile trovare una civiltà industriale nelle passate ere geologiche?” Il termine “Siluriano” proviene dalla specie rettiliana della serie Doctor Who — Siluriani squamosi fioriti sulla Terra molti milioni di anni prima dell’alba della nostra società.

Pubblicato questo mese su International Journal of Astrobiology, il lavoro dipinge che tipo di tracce potrebbe lasciarsi dietro una specie tecnologicamente avanzata. Schmidt e Frank usano il fantasma dell’Antropocene, l’era in cui l’attività umana sta influenzando processi planetari come il clima e la biodiversità, come una guida per ciò che potremmo aspettarci dalle altre civiltà.

“Ci sono un sacco di cose che stanno andando nella direzione giusta per la civiltà umana, ma c’è un alto prezzo da pagare a livello ecologico e biologico,” mi ha detto Schmidt. Enfatizza che molte di queste conseguenze possano sembrare “eccezionali, fuori di testa” dovute a inconvenienti come gli scarichi tossici e la gestione dei rifiuti. Ma nell’insieme, le attività antropiche hanno davvero un impatto dal punto di vista geologico. “I residui del nostro impatto forse sono nascosti dalla nostra vista, ma non dal pianeta,” ha detto.

È improbabile che qualsiasi tipo di struttura possa rimanere preservata nel corso di decine di milioni di anni di attività geologica — e questo vale sia per la civiltà umana che per qualsiasi potenziale popolo Siluriano.

Invece, Schmidt e Frank propongono di cercare segnali più sottili, come residui di consumo di carburante, eventi di estinzione di massa, plastica, materiali sintetici, sedimenti di sviluppo agricolo o di deforestazione e isotopi radiattivi causati da eventuali detonazioni nucleari.

“Ti devi addentrare in una serie di campi differenti, e mettere insieme esattamente quello che potresti vedere,” ha detto Schmidt. “Incluse discipline come chimica, sedimentologia, geologia. Davvero affascinante.”

Nel tempo libero, Schmidt ha anche scritto un racconto dal titolo “Under the Sun,” che abbiamo pubblicato nella rubrica Terraform e che racconta alcune di queste idee. La protagonista è Stella, una scienziata ambientalista che si imbatte nelle prove di una passata civiltà avanzata durante il Massimo Termico del Paleocene–Eocene (PETM). Questo periodo risale a 55 millioni di anni fa, quando “qualcosa ha provocato uno spostamento massivo nel ciclo globale del carbonio” e “tutti gli indicatori ambientali sono andati fuori controllo.”

La fascinazione di Stella per il PETM riflette le ipotesi si Schmidt su questo misterioso periodo di cambiamento climatico, quando la temperatura media era di 8°C più alta rispetto a oggi. Circa 15 anni fa, stava discutendo dell’impatto del PETM con i suoi colleghi, quando ha capito che sarebbe stato qualcosa di analogo all’attuale Antropocene.

In “Under the Sun,” quella connessione tra PETM e Antropocene è resa esplicita — si tratta dell’impronta nucleare che ha fatto scaturire in Stella e colleghi il momento “Eureka”. Nonostante la tensione di quella scoperta, la storia racconta le conseguenze di un disastro nucleare da una civiltà passata, anche quando la minaccia nucleare continua nella civilizzazione umana.

In questo modo, il paper di Schmidt e il suo racconto legano l’ipotesi siluriana alla equazione di Drake, che è un approccio probabilistico nello stimare il numero di civiltà intelligenti nella Via Lattea, sviluppata dall’astronomo Frank Drake.

Una delle variabili-chiave dell’equazione è la durata del tempo in cui le civiltà riescono a trasmettere segnali rintracciabili. Una ragione proposta per il fatto che non abbiamo ancor avuto alcun contatto con specie aliene è che questa “durata” variabile potrebbe essere estremamente corta — perché delle civilizzazioni tecnologicamente avanzate si sono autodistrutte o perché hanno imparato a vivere in maniere sostenibile nei loro mondi di provenienza.

“Potrebbe essere che il periodo di civilizzazione sia corto, perché non puoi resistere a lungo facendo il tipo di cose che stiamo facendo noi,” ha spiegato Schmidt. “O ti fermi, perché hai combinato un casino, o impari a non farlo.”

“Forse è successo miliardi di volte nell’universo,” ha aggiunto, “ma se ogni volta è durata solo 200 anni, non la vedrai mai.”

La stessa logica vale per ogni civiltà precedente fiorita sulla Terra, c’è solo da capire se siano collassate o siano andate lentamente in rovina. C’è una lezione non troppo sottile che gli esseri umani possono imparare da questo percorso — adattati o muori.

Questo, per Schmidt e Frank, è uno degli argomenti principali per l’ipotesi siluriana. Se possiamo rimuginare sulla possibilità che non siamo i primi abitanti della Terra ad aver prodotto una civiltà tecnologicamente avanzata, forse possiamo apprezzare meglio la precarietà della situazione attuale.

“Il nostro pensiero sul nostro posto nell’universo è stato questo progressivo distanziamento da noi stessi,” mi ha detto Schmidt, citando delle credenze datate come il modello geocentrico dell’universo, “è come un passo indietro da un punto di vista totalmente egocentrico, e l’ipotesi siluriana è davvero un modo diverso di farlo.”

“Dobbiamo essere oggettivi e aperti a ogni possibilità” ha aggiunto, “se ci permetterà di vedere quanto l’universo ha da offrirci.”

Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.