Circa una settimana fa, durante la presentazione del nuovo smartphone A8s, Samsung Cina ha annunciato l’intenzione di collaborare con Supreme. Solo che—come ha spiegato in un post su Weibo (poi cancellato) il digital marketing manager di Samsung Leo Lau—la collaborazione non era con Supreme NYC, ma con Supreme Italia. Ovvero, il legal fake altrimenti noto come Supreme Barletta. Che, a sua volta, è l’espressione con cui si identificano diversi marchi (Supreme Italia e Supreme Spain sono i più noti) e diverse aziende (Trade Direct Srl, produttrice di Supreme Italia, Elechim Sports SL, produttrice di Supreme Spain, e IBF o International Brand Firm, società che controlla le due precedenti e detiene i marchi, con sede a Londra).
La notizia di Samsung è ovviamente finita su tutti i siti di settore e ha riacceso l’attenzione sul caso di Supreme Italia, che circa due anni si era fatta conoscere per la messa in commercio di vestiti quasi uguali a quelli di Supreme NYC—in modo perfettamente legale.
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Dopo un breve periodo in cui l’azienda aveva potuto vendere liberamente i propri prodotti in Italia era cominciata una lunga e complessa battaglia legale, che prosegue tuttora. Con esito tutt’altro che scontato, perché IBF ha ottenuto importanti vittorie e sembra sul punto di espandersi in tutto il mondo. Ma come si è arrivati fin qui?
GLI ALTRI LEGAL FAKE
Il termine “legal fake” identifica un fenomeno particolare che interessa il mondo della moda: un’azienda registra nel paese x un certo marchio prima che lo faccia il brand originale e poi si mette a vendere prodotti quasi uguali e presentati con strategie pubblicitarie molti simili a quelle degli originali. È diverso dalla contraffazione perché lo scopo non è replicare il prodotto originale, ma proprio impersonare il brand. E la conseguenza è che chi compra il legal fake spesso è convinto di avere tra le mani l’originale, sebbene a prezzi nettamente inferiori.
Quello di Supreme è il caso più famoso: all’epoca Supreme NYC non aveva ancora registrato il marchio in Italia (dove la procedura era stata fatta partire solo un mese prima di quella avviata da IBF per il suo Supreme Italia) e non è ancora riuscita a farlo nell’Unione Europea. Ma non è l’unico caso—negli ultimi anni il fenomeno dei legal fake ha riguardato tutta una serie di brand, principalmente di streetwear. Il primo caso risale al 2013 con il legal fake di Boy London (Boy London Italia, uguale al brand originale tranne che per il lato da cui guarda l’aquila) e con Pyrex Original, copia del brand Pyrex Vision di Virgil Abloh. Nel 2017 ci sono stati poi i casi dei legal fake di Kith, Thrasher, Vetements e Palace Skateboards.
La caratteristica di questi brand è che oltre a essere non immediatamente distinguibili dagli originali sono molto più reperibili. Supreme infatti vende i suoi prodotti, in numero limitato, solo in alcuni negozi (a New York, Los Angeles, Londra, Parigi e Tokyo) e tramite drop sul suo sito ufficiale; Boy London e Thrasher si trovano quasi solo sui loro siti ufficiali; Pyrex Vision non esiste proprio più (il progetto originale era una sola collezione e durò solo un anno).
Le loro copie invece si trovano nei negozi, almeno in Italia: a volte all’insaputa degli stessi negozianti convinti di vendere l’originale, a volte no—ma contando sul fatto che è tutto legale. In Italia questi legal fake sono talmente diffusi da essere praticamente diventati gli originali. E la loro diffusione sembra avere lo stesso epicentro: Barletta, in Puglia. Pyrex Original è venduto da ModaEffe Srl, Kith Official da Nifra Snc e Supreme Italia da Trade Direct Srl—tutte e tre aziende di Barletta.
IL CASO DI SUPREME ITALIA
Nell’ambito del legal fake (etichetta che la stessa IBF avrebbe rinnegato), il caso di Supreme Italia è un po’ diverso: qui il brand cerca proprio di prendere il posto dell’originale. Probabilmente è per questo motivo che la storia è andata avanti così a lungo e ha attirato tutte queste attenzioni, trasformandosi in una “lotta globale per il controllo di Supreme.”
Come spiega un post di nss magazine, che da tempo segue il caso, la vicenda di Supreme Italia parte da lontano. Nel 2011-2012 “vedendo che il mercato chiedeva a gran voce prodotti difficilmente ottenibili, un piccolo gruppo di imprenditori decide di cambiare la situazione.” Il brand nasce così: nel 2015 sarebbe stata avviata la produzione a Barletta, in Puglia, e nello stesso periodo sarebbero state avviate le pratiche per registrare il marchio all’ufficio brevetti nazionale—solo un mese dopo, appunto, l’inizio della procedura di registrazione da parte di Supreme NYC.
La prima apparizione ufficiale di Supreme Italia avviene il 14 gennaio 2016, quando i rappresentanti della Trade Direct Srl arrivano a Firenze al Pitti Uomo a promuoverlo, cercando nuovi rivenditori.
Le magliette con il box logo un po’ più grande dell’originale finiscono su Instagram e da lì comincia tutto: Supreme Italia arriva all’attenzione degli addetti ai lavori, nei gruppi chiusi dei fan di Supreme compaiono decine di foto di magliette con la domanda se sono “legit” (ovvero autentiche), iniziano a parlarne le principali testate internazionali del settore (come HypeBeast e HighSnobiety) e io stesso ne scrivo per la prima volta in un vecchio articolo di VICE.
In un primo periodo—complice il carattere abbastanza di nicchia del brand originale, la scarsa informazione del pubblico e il fatto che inizialmente Trade Direct si presentasse come distributore di celebri marchi di moda internazionale—in molti, sia tra i rivenditori che tra la clientela, non si accorgono che si tratta di due brand diversi. I prodotti Supreme Italia, specialmente la maglietta con il box logo rosso come la classica Supreme, vengono venduti in moltissimi negozi. Spesso, andando sold out in poco tempo.
LA BATTAGLIA LEGALE
Finché il caso non attira l’attenzione di Chapter 4, l’azienda americana che detiene il marchio Supreme NYC e che lancia un’azione legale contro Trade Direct Srl e IBF. Inizialmente ha successo: il 20 aprile 2017 il Tribunale di Milano accerta la condotta di queste ultime come “concorrenza parassitaria” e ordina di cessare la produzione e la vendita dei prodotti. Allo stesso tempo la polizia compie diverse perquisizioni e sequestri—il più rilevante dei quali avviene a San Marino, dove vengono sequestrati 120mila capi Supreme Italia/Barletta.
Nel frattempo, nel maggio 2018, Supreme NYC prova a registrare il marchio “Supreme” in Unione Europea tramite l’EUIPO (European Union Intellectual Property Office) ma senza successo: inizialmente, pare, l’EUIPO respinge la richiesta per la “descrittività e la carenza di carattere distintivo del marchio in questione.” Ossia perché la parola “Supreme” è un aggettivo che per un consumatore inglese significa “di altissima qualità” e quindi non può diventare un marchio. Supreme NYC fa sapere che attualmente, comunque, la sua richiesta di registrare il marchio sarebbe al vaglio dell’EUIPO.
Il direttore commerciale di IBF Gianfranco Laneve commenta dicendo che “[Noi] abbiamo detto subito che Supreme Italia non era un brand valido perché descrittivo, ma non siamo stati ascoltati. (…) Chi ci ripagherà dei danni che abbiamo subito?”
Intanto in Spagna, tramite Elechim Sports SL, società di proprietà di IBF, nasce il brand Supreme Spain, registrando il marchio: da quel momento può operare nel paese, mentre Supreme NYC non può farlo. Apre così i primi negozi fisici a Madrid, Barcellona, Ibiza e Formentera (tutte località citate nei comunicati stampa IBF). In Italia il Tribunale di Trani si pronuncia in favore di Supreme Italia, decretando il dissequestro di tre siti internet della società e di una serie di prodotti: l’opinione è che il rifiuto dell’EIUPO di registrare il brand rimetta in discussione la sentenza del Tribunale di Milano.
Lo scorso ottobre il Tribunale di Barcellona respinge tutte le richieste di Chapter 4 contro Supreme Spain affermando che “Supreme New York non si trova in una posizione giuridica tale da legittimare qualsiasi inibitoria nei confronti di Supreme Spain.” Come spiega nss magazine, la sentenza rafforza la posizione di legittimità di IBF, che presenta una serie di richieste per registrare il brand in tutta l’UE. In Svezia il più grande centro commerciale di Stoccolma inizia a vendere i prodotti Supreme di IBF (finché non gli viene fatto presente che non sono quelli di Supreme NYC).
L’ESPANSIONE IN CINA
È a questo punto che arriva la notizia della partnership tra Supreme Italia e Samsung, della partecipazione alla prossima settimana della moda di Shanghai e dell’espansione dell’azienda sul mercato cinese. IBF, si apprende dai comunicati stampa, ha infatti registrato il marchio “Supreme” attraverso ‘l’ufficio brevetti’ della WIPO (World Intellectual Property Organization) di Ginevra per tutto il mercato asiatico e può quindi vendere prodotti Supreme in Cina—senza nemmeno aver bisogno aggiungere il nome del paese come per Supreme Italia o Supreme Spain. In realtà, una registrazione tramite la WIPO non conferisce alla IBF i diritti sul trademark.
L’annuncio di Samsung solleva un discreto polverone. Tramite il suo suo profilo Instagram, Supreme NYC rilascia una dichiarazione in cui spiega che non sta lavorando con Samsung, né sta per aprire un flagship store a Pechino. “Si tratta di falsità diffuse da una ‘counterfeit organization’,” si legge nel comunicato—a cui IBF replica tramite il profilo Instagram di Supreme Spain, spiegando che “l’azienda cinese che sta collaborando con Samsung e con altre iniziative commerciali è un partner ufficiale della nostra azienda International Brand Firm Ltd, proprietaria dei marchi registrati Supreme Spain, Supreme Italia e del marchio Supreme in vari paesi del mondo tramite il WIPO” e riservandosi la possibilità “di prendere provvedimenti presso le sedi competenti” nei confronti delle “affermazioni diffamatorie” di Chapter 4.
Successivamente sulla pagina Weibo di Samsung compare un post che sembra ritrattare tutto: “Di recente, nel corso dell’evento di lancio del Galaxy A8s, Samsung Electronics ha annunciato una collaborazione con Supreme Italia in Cina. Stiamo attualmente rivalutando questa operazione e siamo profondamente dispiaciuti per l’accaduto.” Ma più tardi la collaborazione viene ri-confermata da IBF in un comunicato stampa del 13 dicembre 2018, in cui l’azienda si augura che “queste opportunità messe in campo oggi, siano viste come possibilità concrete di sviluppo ed estensione del marchio data la volontà di proseguire su questo percorso.”
Il percorso in questione dovrebbe prevedere l’apertura di 70 negozi in tutto il mondo (dopo quelli spagnoli il prossimo dovrebbe essere a Belgrado) e soprattutto di due flagship store a Pechino e Shanghai, con l’ingresso nel mercato asiatico.
Nello stesso comunicato stampa, IBF lancia una frecciatina a Supreme NYC, alludendo—pare—a come Supreme NYC abbia campato per anni sul fatto che i suoi prodotti fossero in edizione limitata e difficili da reperire, mentre ora IBF vorrebbe porre fine a questa “ingiustizia.”
“Il mood etico della società,” spiega il comunicato “è quello di rendere disponibile il prodotto a tutti” contrastando “i fenomeni non proprio regolare [sic] che favoriscono il reselling, pratica che crea non solo dinamiche commercialmente scorrette ma anche fiscalmente perseguibile” promosse da “sedicenti YouTuber o finti guru dello streetwear.”
Una versione precedente di questo articolo conteneva informazioni non complete su Supreme in Asia e sulle procedure presso EUIPO e WIPO.