Música

5 dischi kraut “minori”

I write for the believers, the obsessives and the fanatics, the people who are looking for a new kind of kick, something real, committed, something still in love with the original revolutionary potential of rock music and free music and radical highly personal art, the kind of music and art and literature that can change your life forever.

(Scrivo per quelli che ci credono ancora, gli scimmiati e i fulminati, quelli che cercano un nuovo tipo di botta: qualcosa di vero, autentico, qualcosa che sia ancora in profonda sintonia con il potenziale rivoluzionario originale del rock, della musica libera e dell’arte più radicale e profondamente personale. Il tipo di musica, e arte, e letteratura, che può cambiarti la vita per sempre.)

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Con queste parole tratte da un’intervista a David Keenan (giornalista di The Wire nonché autore dello splendido England’s Hidden Reverse) vi diamo il benvenuto al primo episodio di questa nuova rubrica, che nasce con l’intento di consigliare di volta in volta cinque dischi non troppo noti, ogni volta con una tematica diversa. Potrà essere un genere musicale, un sentimento, un momento della giornata o dell’anno, qualcosa di legato all’attualità o di completamente estemporaneo.

L’idea è quella di privilegiare nomi un po’ minori e scene un po’ nascoste: non si parlerà di novità o dei dischi del momento, qualche volta di ristampe, e spesso di generi poco battuti: scoperte, riscoperte, percorsi sperimentali e roba sviaggiona o strana in generale, ma non escludiamo nessuna eccezione. Siccome poi siamo convinti sostenitori delle etichette—in particolare di quelle che stampano certa roba—di volta in volta segnaleremo anche reperibilità e versioni consigliate per l’acquisto. Ovviamente si tratta di liste molto personali e che potrebbero essere modificate cinque minuti dopo essere state scritte (mentre rileggo, già c’è un nome che mi piglio male di non avere inserito… Deuter, cazzo! Correte subito a procurarvi i primi due dischi di Deuter!), ma questo ci lascia spazio per eventuali nuovi episodi.

Abbiamo deciso in questa puntata di esordio di concentrarci sul krautrock. Siamo sicuri che non c’è bisogno di dirvi che si tratta di quella musica che nasce e si sviluppa tra la fine degli anni Sessanta e la prima parte dei Settanta nella Germania dell’Ovest, dove i figli della generazione che ha vissuto il nazismo decidono di guardare altrove, il più lontano possibile, verso lo spazio. Ispirandosi al rock psichedelico americano e alla fiorente scena progressiva, portano le cose ancora più in là, spesso e volentieri flirtando con l’elettronica e con la musica sperimentale contemporanea, il free jazz e la world music. I testi sacri di riferimento sono sopratutto due: lo storico e fondamentale Krautrocksampler di Julian Cope e il più recente Future Days di David Stubbs.

In questo post non troverete i nomi più noti, quindi nemmeno un disco tra i tanti capolavori di Can, Kraftwerk, Tangerine Dream, Faust, Popol Vuh, Cluster, Harmonia, Amon Düül II, Neu!, Ash Ra Tempel, Embryo… perché quelli tanto li troverete già suggeriti dappertutto! Al loro posto nomi minori, progetti estemporanei, filiazioni… cose per chi è sul pezzo ma non smette di avere fame.

Riechmann – Wunderbar (1978)

Storia sfortunatissima quella di Wolfgang Riechmann: cresciuto a Dusseldorf, ventenne verso la fine degli anni Sessanta, comincia a suonare negli Spirits of Sound, con Michael Rother dei Neu! e Wolfgang Flür dei Kraftwerk, ma il gruppo non lascia tracce. Qualche anno dopo lo ritroviamo nei primi due album degli Streetmark; ma è solo tra il 1977 e il 1978 che, lavorando a questo album solista, la sua visione trova compimento. Tranne la batteria (affidata al batterista degli Streetmark) è tutto suonato da lui, virtuoso del violino elettrico, delle chitarre (con grande uso di flanger), del vibrafono e dei synth. Canta anche in un paio di pezzi, ma è un canto puramente musicale, senza parole. Il disco sta tra trance e motorik, tra la scuola di Berlino e quella di Dusseldorf: è un album melodico, minimale, semplice e delicato ma a tratti inquietante; luminoso ma con un certo spleen, quasi un disco di folk robotico. Non sappiamo cosa sarebbe potuto succedere dopo, perché Wolfgang viene accoltellato completamente a caso da due tizi ubriachi fuori da un bar poche settimane prima dell’uscita del disco, e muore nel giro di due giorni. L’album, un piccolo capolavoro, si trova facilmente sia in LP che in CD, grazie a un’ottima ristampa del 2009 ad opera della Bureau B, etichetta molto attiva sul versante krauto (da fargli un momumento per il catalogo dei Cluster).

Sergius Golowin – Lord Krishna Von Goloka (1973)

Disco di culto assoluto voluto, insieme al disco degli Ash Ra Tempel con Timothy Leary, dal despota Rolf-Ulrich Kaiser (lo stesso che registrò a loro insaputa le improvvisazioni di una serie di musicisti dell’epoca, per poi pubblicarle a nome Cosmic Jokers). Qui siamo decisamente nel filone berlinese: c’è anche Klaus Schulze ai controlli (con membri dei Wallenstein, e il duo folk Witthüser & Westrupp), e la musica, del tutto spaziale e sognante, una sorta di elegia folk mista a acida psichedelia rituale, precorritrice dei corrieri cosmici. Sergius Golowin era un eroe della controcultura svizzera, autoesiliatosi nei boschi, amico di Leary, esperto di funghi, erbe magiche e stregoneria. Nel disco recita cose in tedesco che non capisco e che probabilmente trattano di folklore e esoterismo. Penso non abbia molto senso scervellarsi su cosa scrivere per descriverlo se su questo pianeta il disco è già stato raccontato con queste parole da Julian Cope: “[…]una lunga intensa carneficina psichica di bellezza indescrivibile. Sotto, la musica infuria, talvolta inaudibile, talvolta inascoltabile, talvolta così sacra, così giusta, che l’ascoltatore si solleva nell’iperspazio e la chiarezza si avvicina. Senza dubbio questa è magia del più alto livello“. Si trova facilmente, ristampato sia dall’etichetta spagnola Wah Wah che da Ohr Today.

Conrad Schnitzler – Rot (1973)

Conrad Schnitzler è una delle figure comtemporaneamente più cruciali ed estreme del panorama kraut, e anche una delle meno note. Membro fondatore dei Kluster (che con la sua dipartita cambiano la lettera iniziale da K in C) e dei Tangerine Dream (solo nel primo album), ha avuto una prolificissima carriera solista, con centinaia di uscite fino al 2011, anno della sua morte. Rot è il primo ad essere pubblicato, autoprodotto in cinquecento copie, un pezzo per facciata, dagli emblematici titoli “Meditation” e “Krautrock”. Di base si tratta di elettronica, talmente spinta da sconfinare in territori proto-industrial o noise: una vera fusione tra uomo e macchina, molto in anticipo su quella raccontata dai Kraftwerk. Schnitzler è un figlio di Stockhausen che all’ossessività associa un certo spirito ludico, ascoltarlo non è facile ma dà un sacco di soddisfazioni. Anche in questo caso l’etichetta da ringraziare per le sue ristampe con foto, note ben scritte e vinile a centottanta grammi a prezzi onestissimi è Bureau B.

Moebius & Plank – Rastakraut Pasta (1980)

C’è un filo che unisce la Germania e la Giamaica, un legame improbabile tra due nazioni che apparentemente hanno poco da spartire. Questa relazione ha probabilmente dato i suoi frutti migliori con Basic Channel e tutte le sue filiazioni, di cui magari parleremo un’altra volta. Se però dobbiamo andare a cercare un precedente, un atto fondativo in cui la Germania ha guardato verso le Antille, possiamo andare a guardare qui. Dieter Moebius non dovrebbe avere bisogno di presentazioni: fondatore, insieme a Hans-Joachim Roedelius, di Cluster e Harmonia, precursore della techno come dell’ambient, uno a cui Brian Eno deve non poco. Plank invece è stato un grandissimo ingegnere del suono e produttore, nonché qualche volta musicista, comparso tra gli altri in dischi dei Guru Guru e degli stessi Cluster. I due con questo album fondono il kraut con il dub, e realizzano un lavoro estremamente divertente e giocoso (diciamo pure drogato), rilassante e piacevole, anche se pieno di dettagli magistralmente cesellati. L’unico rammarico è che non sia davvero riuscito a dare il LA a un nuovo genere, e sia rimasto tutto sommato un caso isolato. L’etichetta cui affidarsi ciecamente è, ancora una volta, Bureau B.

Walter Wegmuller – Tarot (1973)

Di questo ho in realtà già parlato nel pezzo dedicato alla PDU di Mina, l’etichetta che lo pubblicò in Italia. Dicevo: “disco stupendo e tra i più ricercati dai collezionisti di tutto il mondo[…]. Uno degli assoluti capolavori del krautrock più estremo e difficile, suite basata sui tarocchi (mazzo di carte compreso nel packaging dell’album su stampa originale), interamente imbevuta in un oceano di acido” e non posso che confermare tutto. Purtroppo è pressoché introvabile e costosissimo in tutti i formati, per cui ce lo facciamo bastare in mp3 e speriamo che prima o poi anche per lui venga il momento di una ristampa. Siccome Tarot vi era già stato presentato su queste pagine, e siccome non vorrei mai che riteneste che il post non valesse il prezzo del biglietto, andiamo con un disco bonus, che siamo generosi.

BONUS: Liliental – s/t (1978)

Unica uscita di un vero e proprio supergruppo formato dai già citati Moebius e Plank, dal bassista e il sassofonista dei Kraan, da Okko Bekker e da uno sperimentatore estremo come Asmus Tietchens al Moog. Jazz cosmico? Avant-ambient? Elettronica analogica? Il lato oscuro dei Cluster? Tutto questo e probabilmente molto altro insieme, per un album davvero inclassificabile. Composto e registrato in sei giorni di improvvisazione nello studio di Plank che, insieme a Moebius ne è anche produttore, supera se stesso e fa suonare il tutto in modo davvero incredibile. Purtroppo anche in questo caso, nonostante una versione in CD risalente a una decina di anni fa, il disco è pressoché introvabile in tutti i formati. Una ristampa sarebbe davvero gradita.

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