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La storia del Tartufo di Pizzo e del bar che lo serve ancora fatto a mano

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Il gelato con il latte arriva negli anni a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, quando a Pizzo cominciano a diffondersi i primi laboratori di pasticceria che introducono l’uso di panna, creme e ricotta. In uno di questi, nel 1952, il pasticcere Don Pippo De Maria crea il tartufo.

A qualsiasi ora di una qualsiasi giornata estiva, Piazza della Repubblica è sempre gremita di gente. E non solo perché Pizzo Calabro – provincia di Vibo Valentia – è una località di mare molto suggestiva, ma soprattutto perché qui si viene per ingozzarsi di tartufo.

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Pizzo è riconosciuta come La Mecca di un turismo gastronomico focalizzato su una specialità del territorio che sempre più funge da cassa di risonanza della regione, nel resto d’Italia e fuori dai confini nazionali. La semisfera di nocciola e cioccolato, spolverizzata di cacao e ripiena di fondente semiliquido, che ne contraddistingue l’unicità, è il primo gelato in Europa ad aver ottenuto il marchio Igp, riconosciuto nel 2007 dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

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Pizzo Calabro. Tutte le foto dell’autrice, ove non specificato.

Pur essendo nata e cresciuta a trenta chilometri da Pizzo, non sono mai stata una vera groupie di questo gelato, che forse ha la pecca di essere troppo dolce per soddisfare il mio aspro palato. Ricordi d’infanzia, in realtà, molti: da bambina, non c’era viaggio in macchina a casa mia che non si concludesse con il tartufo del Bar degli Amici di Pizzo, ma anche all’epoca mi stupivo del successo che riscuoteva nel resto della famiglia.

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Il centro di Pizzo Calabro.

Così, quando in una calda giornata estiva torno a Pizzo per capire quale sia il miglior tartufo della città, mi concentro su Piazza della Repubblica perché è lì che, raccomandano le mie spie locali, si trovano le quattro gelaterie più artigianali. Le provo tutte e la mia preferenza ricade sul Bar Dante, che è un po’ la storia del tartufo di Pizzo: è qui che tutto inizia nel 1952.

Il tartufo di Pizzo Igp deve essere un gelato di fattura artigianale, dalla tracciabilità garantita

Da disciplinare, il Tartufo di Pizzo ha una forma semisferica irregolare, con un peso compreso tra i 120 e i 200 g, il colore marrone scuro è dovuto al gelato al cioccolato e al cacao, la consistenza è pastosa e liscia, il ripieno semifluido deve avere un aspetto vellutato e lucido. Il gusto è quello morbido e pieno del gelato di nocciola e di cioccolato che, insieme al cacao in polvere e al composto di cacao semifluido del ripieno, sono gli unici ingredienti ammessi per la realizzazione del tartufo.

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È concesso l’utilizzo di amarena sciroppata per la farcitura del prodotto, mentre è vietata l’aggiunta di coloranti e di conservanti chimici o naturali e di grassi vegetali, esclusi quelli contenuti negli stessi ingredienti.

La crescita della domanda ha incentivato la produzione che sempre più si sta allontanando dall’artigianato per farsi inglobare dall’industria.

Il tartufo di Pizzo Igp deve essere dunque un gelato di fattura artigianale, dalla tracciabilità garantita. Tuttavia il dubbio resta e il sospetto che molti dei tartufi che troviamo nei vari bar e ristoranti non siano artigianali, permane. La popolarità ha reso il tartufo mainstream e spesso non è stata direttamente proporzionale a una qualità costante. La crescita della domanda ha incentivato la produzione che sempre più si sta allontanando dall’artigianato per farsi inglobare dall’industria.

Leggenda narra che a un matrimonio patrizio del paese, Don Pippo si trova sprovvisto di stampi per confezionare il gelato da offrire agli invitati. (…) Mette in mano una pallina di nocciola, una di cioccolato, la modella a mo’ di sfera e fa un buco dentro dove versa del fondente semifluido e un’amarena sciroppata.

Ma la connessione tra Pizzo e il gelato va antedatata. Fin dal XVIII secolo il ghiaccio, derivato dalla neve compattata e custodita nelle neviere, è fondamentale per la città che, da importante snodo commerciale via mare, ha la necessità di conservare il pesce. La possibilità di usufruire del ghiaccio anche d’estate segna la svolta che porta alla produzione di granite e sorbetti e alla diffusione di caffetterie e “bettule” dove servirli. Il gelato con il latte arriva più tardi, negli anni a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, quando in città cominciano a diffondersi i primi laboratori di pasticceria che introducono l’uso di panna, creme e ricotta. In uno di questi, nel 1952, il pasticcere Don Pippo De Maria crea il tartufo. Le storie sulla sua nascita sono molteplici e si perdono nella notte dei tempi, la più accreditata è quella che ne attribuisce a lui la paternità.

Come nel caso del Negroni Sbagliato, anche qui galeotto fu uno errore, o meglio un tentativo di arrangiarsi. La leggenda narra che a un matrimonio patrizio del paese, Don Pippo si trova sprovvisto di stampi e forme per confezionare il gelato sfuso da offrire agli invitati. Non sapendo cosa proporre, mette in mano una pallina di nocciola, una di cioccolato, la modella a mo’ di sfera e fa un buco dentro dove versa del fondente semifluido e un’amarena sciroppata. Una volta impanata la pallina nel cacao in polvere, la avvolge in una carta alimentare e la raffredda: il tartufo è bello che fatto. La particolarità del cioccolato semifluido è il segreto di questo gelato che ottiene un immediato successo destinato a accentuarsi negli anni a venire.

“In estate raggiungiamo i 2.000/3.000 pezzi al giorno, almeno il doppio, se non il triplo dell’inverno”

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Il laboratorio dove avviene la creazione è il Bar Excelsior, poi divenuto Bar Dante. Una scritta sul muro, che si intravede sotto le tende gialle e rosse, è ancora lì a ricordare il nome antico. All’esterno pochi tavoli; un bancone lungo, una cassa e un retrobottega. Stop. L’attuale nome deriva dal primo proprietario del bar, il maestro pasticcere messinese Dante Veronelli, che rileva l’attività nel 1940. Grazie al suo spirito imprenditoriale e alla creatività produttiva del secondo pasticcere, il giovane Giuseppe De Maria conosciuto come Don Pippo, l’ex Excelsior diventa il bar più popolare della città.

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Mimmo

Dopo la morte di Veronelli, Don Pippo rimane l’unico proprietario dell’attività e dal 1950 si fa affiancare da Giorgio Di Iorgi che, entrato come cameriere, impara l’arte del gelato dal maestro e inizia anche lui a produrlo. In questo laboratorio, nel 1952, Don Pippo crea il tartufo. Alla sua morte, Di Iorgi rileva totalmente l’attività, che ancora oggi è nelle mani dei suoi discendenti. Chiedo a Mimmo, l’attuale maestro gelatiere, quanti tartufi produce.

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Confezionamento del tartufo

“In estate raggiungiamo i 2.000/3.000 pezzi al giorno, almeno il doppio, se non il triplo dell’inverno”, mi risponde Mimmo, che mi assicura che tutto viene fatto ancora a mano.

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Assisto, in diretta, alla creazione artigianale del tartufo. Il composto di latte, zucchero e uova viene pastorizzato a una temperatura di 80 gradi per poi essere riportato a +5 gradi. Il tutto viene quindi mantecato a – 12 gradi, modellato con una forma sferica, in cui si inserisce il fondente semiliquido, incartato e infine abbattuto per un paio di ore, a una temperatura tra i – 35 e i -40 gradi, per eliminare totalmente i microbi.

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Tartufo al pistacchio

Concludo il mio giro delle gelaterie di Piazza della Repubblica in un tardo pomeriggio assolato. Dopo 4 ore, 4 tartufi classici, uno al pistacchio e una nocciola imbottita, sogno solo che si materializzi, davanti ai miei occhi e alle mie fauci provate, del pane con sopressata e vino perché il dolce scorre, solo il salato permane.

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