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Sono andato a vedere 'The Startup', il film sul 'Mark Zuckerberg italiano'

È stato annunciato come la storia "incredibilmente vera" del presunto "Mark Zuckerberg italiano", il fondatore di Egomnia. Eh?

C'è stato un periodo in cui Gabriele Salvatores era convinto di essere il solo in Italia ad avere visto i film di Wes Anderson. Ecco, a giudicare dalle informazioni disponibili fino all'altro giorno su The Startup - Accendi il tuo futuro, qualche persona molto simpatica avrebbe potuto dire che Alessandro D'Alatri pensava di essere l'unico ad aver visto The Social Network.

The Startup, uscito ieri nei cinema, è infatti stato annunciato su moltissimi media (telegiornali, la copertina del magazine del Corriere della Sera) come la storia "incredibilmente vera" di un grande successo, quello del "Mark Zuckerberg italiano": Matteo Achilli, "romano classe 1992, che nel 2012 lancia una startup che vola sul mercato." La startup/social network in questione si chiama Egomnia, e permetterebbe di collegare in modo semplice chi cerca e offre lavoro.

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Ora, che mia madre non sapesse dell'esistenza di questo incredibile social network di grandissima fortuna era normale, ma il fatto che pure io che su internet ci vivo e ci lavoro non lo avessi pressoché mai sentito nominare mi ha incuriosito fin da subito. Notare poi l'intensa pubblicizzazione del film, la produzione Rai Cinema e la presenza di nomi non proprio sconosciuti nel cast—tutti fattori che suggerivano l'esistenza di un budget—mi ha fatto sentire tremendamente in ansia. Cosa mi stavo perdendo?

Facendo un po' di ricerche, ci ho messo però relativamente poco a capire che il grande successo di cui si parlava è un tema quantomeno controverso, e che anche molte persone tendenzialmente benevole in fatto di startup hanno sollevato molti dubbi.

La schermata dell'homepage di Egomnia così come appariva l'altroieri. Ad oggi il sito risulta online.

Come riassume questo articolo del Post, "Secondo i bilanci depositati presso la Camera di commercio e pubblicati negli ultimi mesi da diversi blog, nel 2015 la società aveva un fatturato di circa 300mila euro, debiti per circa 120mila euro e utili per 5.500 euro. La società spende 12 mila euro per i dipendenti, cioè il costo di un solo impiegato part-time. La pagina Facebook di Egomnia ha appena 18 mila mi piace (di cui un certo numero sarebbero bot acquistati) e buona parte delle recensioni sono piuttosto negative. Sono numeri che, sei anni dopo la fondazione, indicano chiaramente che Egomnia non ha avuto successo."

Ciononostante, in parte come per il film, nel corso degli anni il progetto di Achilli è stato seguito e celebrato dalla stampa mainstream, con altre copertine e analisi e i già menzionati paragoni con Zuckerberg (persino sulla BBC, che aveva probabilmente seguito a ruota la stampa italiana).

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Galvanizzato da questo scollamento tra versione dei media e realtà e da un trailer che pare seguire i fasti di grandi classici della risata come Dreamland - La terra dei sogni, ma che a differenza di quelli esce in un buon numero di sale, ho deciso di andare a vedere The Startup per capirci qualcosa di più. Questo è il resoconto del bel pomeriggio di sole in cui mi sono chiuso in una sala cinematografica.

Dopo avere rifiutato la proposta di una "poltrona vip" a "solo un euro in più", la cosa più notevole è che sono l'unica persona in sala, esperienza che non avevo mai provato prima e che non nascondo crea una certa inquietudine. Detto questo, approfitto comunque per sedermi su una poltrona vip, che consiste semplicemente in una seduta un po' più comoda di quelle normali.

Il film comincia informandoci dei finanziamenti ricevuti dal fondo per lo spettacolo e dalla regione, e ribadendo subito che si tratta di una storia vera. Poi scorrono i titoli di testa su una scena ambientata in piscina che fa immediatamente ripensare, anche per lo stile in cui è girata, a quella della canoa in The Social Network.

Da subito capiamo che una caratteristica del film saranno le musiche bruttissime (in particolare: canzoni mezze rock in italiano) con testi tipo "amo l'infinito in questa vita" e che nei titoli di coda scopriamo essere opera di Nesli.

Le musiche accompagnano spesso momenti da videoclip in cui invece di raccontare una storia attraverso una sceneggiatura c'è un montaggio veloce di momenti con dialoghi muti, come se si dovesse risparmiare tempo. Per esempio la relazione sentimentale e tutto l'ultimo anno scolastico del protagonista—"Matteo ha 18 anni e un'idea che vale milioni," recita la locandina a proposito del giovane figlio di operai della provincia di Roma—vengono svoltati così.

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Ben presto cominciano anche le strizzatine d'occhio alla Bocconi-migliore-università-d'Italia (in tal senso, è notevole il momento in cui, più avanti, un professore farà l'elenco di tutte le tragedie storiche che la prestigiosa università ha superato: due guerre mondiali, il fascismo, il terrorismo E LA CONTESTAZIONE).

Grab dal trailer.

Un'altra cosa che capiamo subito è che il protagonista è bravissimo: si arrabbia, gli fanno dei torti, ma lui non cede mai alla violenza. Quando gli rubano il posto ai campionati di nuoto (a vantaggio del figlio di quello che sponsorizza la squadra), Matteo dice all'allenatore che è colpa di quelli come lui "se l'Italia è messa come è messa." È il primo di una lunga serie di quelli che potremmo chiamare "momenti Dibba," in cui l'attore che interpreta Matteo Achilli (Andrea Arcangeli) si lancia in filippiche contro l'Italia dei furbi in cui non vige la meritocrazia, il vero motore di Egomnia e di tutto il film.

A seguito di questo trauma, in una sola notte il protagonista partorisce l'idea di un "calcolatore matematico del merito," con tanto di presentazione già scritta e stampata e di idea per il nome ("io contro gli altri"), contro "il marcio che governa questo paese"—giuro, non mi era partito sul telefono un filmato del Movimento 5 stelle, era proprio il film.

In una scena Matteo spiega alla fidanzata che bisogna cambiare l'Italia e che "il futuro sarà più giusto, cazzo." In un'altra prova a chiedere soldi in giro, ma capisce che "se era nato in Italia anche Steve Jobs non avrebbe combinato niente," e si convince ad andare a Milano, per lavorare al suo progetto e in particolare a iscriversi a questa benedetta Bocconi.

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Le scene di coding che seguono lo sviluppo del social network sembrano uscite dall'immaginario futuristico degli anni Novanta di Nirvana di—ancora lui—Gabriele Salvatores (niente in confronto alla scena in cui il sito viene messo online schiacciando un tasto e sullo schermo comincia a scorrere un codice come nemmeno ne Il Tagliaerba).

A Milano, dopo avere detto "wow" guardando la torre Unicredit, Matteo presenta il suo progetto a una serie di giovani montati della Bocconi e comincia a girare in giacca e cravatta e a frequentare le feste dei ricchi. La metamorfosi verso lo status di squalo, coadiuvata da tale Valerio Maffeis (che non viene mai spiegato perché dia lezioni di vita a tutto al mondo, se non grazie al fatto di essere figlio di un miliardario) si completa nei momenti in cui il tizio che gli ha creato il sito si sente dire "tu non hai lavorato con me, ma per me" e Matteo, sbattuto fuori da un'aula durante una lezione, risponde che lui sta creando un'azienda.

Grab dal trailer.

Il sito, prosegue il film, va finalmente online con un successo incredibile e un numero di iscritti oltre ogni più rosea aspettativa. C'è anche una scena esilarante in cui Matteo e il suo amico programmatore stanano fra gli accessi gli hacker in diretta, appena accedono al sito, e li buttano fuori uno per uno. A mille iscritti il sito viene sospeso per eccesso di richieste.

La scena successiva, nonostante fino a qui ci siamo mossi sul crinale della comicità, è assurdamente vera, ed è quella della rassegna stampa italiana e internazionale che lo elegge a Mark Zuckerberg italiano.

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Ma è proprio da qui che il film migliora, perché l'analisi del lato oscuro, e di lui che sembra più interessato a se stesso e al suo successo personale che non a quello di un sito che fondamentalmente è rimasto soltanto un'idea, è azzeccata. Purtroppo però, essendo il tutto basato su una persona vera, coinvolta nel film e presente alle conferenze stampa, siamo sempre dalle parti dell'agiografia, e anche in questi frangenti Matteo appare sempre impeccabile: quando sbaglia se ne accorge subito e chiede scusa, e in poco tempo sa ritornare sui suoi passi.

È più o meno sulla stessa linea che si sviluppa il finale, un forzatissimo happy ending in cui Matteo ha imparato dai suoi errori, torna con la ragazza che aveva malcagato dopo il successo e ricomincia a impegnarsi nel sito (e il cartello finale ci comunica che ha raggiunto gli 850mila iscritti e va tutto a gonfie vele).

Nel frattempo sono passati 97 minuti, e io esco dal cinema pensando che non è nemmeno uno di quei film così brutti da andarli a vedere per il fatto di essere brutti. Perché se in generale questo film ha un pregio, è quello di non sembrare una fiction italiana, di non essere Gli occhi del cuore, almeno dal punto di vista tecnico: è girato piuttosto bene, ha una buona fotografia, si vede che c'è dietro gente che sa il fatto suo.

E forse per una volta è proprio questo il più grande difetto: perché forse una storia così italiana, la storia di uno che, non si sa bene come, riesce a convincere i media di un successo che non sembra esserci mai stato, meritava qualcosa di diverso. Meritava forse più un Monicelli, che non un wanna-be David Fincher.

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