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La tragedia del Dirigibile Italia, il laboratorio volante perso nell’Artico

Quando il 25 maggio del 1928 — esattamente novant’anni fa — il dirigibile Italia precipita nei ghiacci dopo avere raggiunto il Polo Nord nel corso di una spedizione scientifica, si conclude tragicamente una delle più grandi avventure esplorative della storia italiana. Durante lo schianto la navicella di comando e parte dell’equipaggio riuscirono a salvarsi, mentre si persero le tracce di sei altri membri della squadra e dello stesso dirigibile.

L’Italia è stato progettato dall’ufficiale della Regia Aeronautica Umberto Nobile, dopo che la sua avventura precedente con un altro aeromobile da lui concepito — il Norgelo aveva lasciato con un dirigibile che per primo nella storia aveva sorvolato il Polo Nord ma le cui missioni non avevano riportato grandi risultati dal punti di vista scientifico e cartografico. Nelle regioni artiche restavano, infatti, 4 milioni di km² inesplorati. La missione del Norge (che era stato acquistato dall’AeroClub norvegese) aveva inoltre fatto emergere una rivalità tra Nobile e il capo della spedizione, l’esploratore norvegese Roald Amundsen, sui rispettivi meriti delle missioni.

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Nobile realizza quindi un gemello del Norge, apportando una serie di migliorie come la maggiore capacità di sollevamento, un doppio rivestimento del telaio a traliccio, una cupola d’osservazione e una catena di palle di bronzo di circa 400 kg da utilizzare come ancora. Inoltre, l’ufficiale riesce ad ottenere, come mezzo di accompagnamento per la missione, la nave appoggio Città di Milano e il supporto di un piccolo distaccamento di alpini da parte dell’Esercito Italiano. L’impresa venne messa in piedi grazie al sostegno economico di industriali di Milano e del Vaticano.

Uscita del Dirigibile Italia, aeroporto di Ciampino.

Come equipaggio Nobile sceglie diversi membri della spedizione del Norge, a cui aggiunge anche tre scienziati: Finn Malmgren, il meteorologo e geofisico svedese, Frantisek Behounek, fisico e direttore dell’Istituto Radio di Praga e Aldo Pontremoli, fondatore del Dipartimento di fisica dell’Università di Milano. L’equipaggio è composto in totale da sedici persone e dalla mascotte che aveva partecipato anche alle missioni del Norge: la fox terrier Titina.

Si può dire che il dirigibile Italia sia stato un vero e proprio laboratorio volante: il suo programma di ricerche scientifiche prevedeva la misurazione dell’accelerazione terrestre al Polo Nord (dove non era mai stata effettuata) e la misurazione ella ionizzazione dell’aria: un dato che permette di ricavare informazioni sulle cosiddette ”radiazioni penetranti” — oggi note come raggi cosmici —che variano in funzione della quota e della latitudine. Italia avrebbe dovuto effettuare anche misurazioni della radioattività del terreno — che risulta maggiore di quella del mare, portando a dedurre che questo sia meno radioattivo —, misurazioni del campo magnetico terrestre e studi oceanografici sulla salinità e temperatura dell’acqua a varie profondità. Purtroppo, la perdita degli strumenti e di parte della documentazione non ha consentito di valorizzare i risultati.

L’ Italia parte da Baggio, in provincia di Milano, il 15 aprile 1928 e raggiunge la baia del Re Ny-Ålesund nelle Isole Svalbard il 6 maggio. Il programma è quello di effettuare cinque voli esplorativi, che partono e fanno ritorno nella base delle Isole per coprire diverse aree dell’Artico. L’11 maggio ha luogo un primo breve volo conclusosi rapidamente a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Il 15 maggio l’Italia si imbarca nella sua seconda missione. Durante questa esplorazione vengono percorsi circa 4.000 chilometri in tre giorni. Vengono sorvolate le isole settentrionali della Terra di Francesco Giuseppe — un arcipelago di isole a nord della Russia, al confine con il mar glaciale Artico — e da qui l’Italia sfiorare la Terra del Nord e arriva a coprire un totale di 48.000 km² di regioni sconosciute.

Uscita del Dirigibile Italia, aeroporto di Ciampino.

Il terzo volo punta a raggiungere il Polo Nord: l’obiettivo è fermarcisi sopra con il dirigibile in posizione e far scendere degli esploratori a effettuare le misurazioni previste. Il volo inizia alle 4:28 del 23 maggio. Dopo 19 ore e 52 minuti di viaggio di volo agevolato da venti in coda, alle 0:24 del 24 maggio l’Italia raggiunge il Polo. Il tempo peggiora e nessuna squadra può scendere a terra. Gli esploratori avrebbero dovuto piantare sul suolo artico la bandiera italiana, il gonfalone della città di Milano e una croce di legno donata da papa Pio XI che la missione aveva ricevuto in dono: non potendo farlo, decidono di lanciare gli oggetti sui ghiacci.

Alle 2:20 inizia il rientro reso difficoltoso dai venti di coda che, invece, avevano aiutato l’andata. Nobile vuole seguire una rotta attraverso il Polo per raggiungere la baia di Mackenzie, il meteorologo Finn Malmgren, invece, consiglia erroneamente di ritornare verso la Baia dei Re, nella speranza di incontrare una zona di venti più calmi. Il dirigibile attraversa una nebbia impenetrabile con il vento di burrasca rivolto verso la prua e, dopo 24 ore, si trova ancora solo a metà del percorso.

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Il problema è che, in queste condizioni, si formano degli strati di ghiaccio sulle eliche che sparano, come se fossero proiettili, delle schegge contro l’involucro del dirigibile. Alle 9:25 del 25 maggio il timone di quota, appesantito dal ghiaccio, si blocca in posizione di discesa. L’Italia scende a soli 300 metri dal suolo, Nobile ordina di fermare i motori e il dirigibile risale oltre i 950 metri di quota. Trovandosi sopra la perturbazione nuvolosa, il suo involucro viene esposto alla luce diretta del sole per mezz’ora e il gas al suo interno si espande compensato dalle valvole automatiche che lo fanno fuoriuscire.

Dopo mezz’ora viene determinato che il meccanismo dei timoni è bloccato dal ghiaccio, così vengono riavviati due dei tre motori del velivolo, che ridiscende a 300 metri senza danni apparenti. Ma alle 10:30 la coda della nave si abbassa di 8 gradi, nonostante gli alettoni posizionati alla massima elevazione per tentare di risalire, l’Italia si dirige verso il suolo. Tre minuti dopo, la poppa del dirigibile e la gondola di comando urtano il suolo ghiacciato in una posizione prossima ad 81° 14′ latitudine nord, 28° 14′ longitudine est, a circa 100 chilometri dalle Svalbard.

Il Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, Svalbard, dove era basato per la sua esplorazione polare.

L’involucro resiste all’impatto ma la gondola si sfascia, sbalzando a terra dieci uomini. Sei membri dell’equipaggio restano intrappolati nell’involucro del dirigibile che riprende quota essendo privato del peso della gondola. Ettore Arduino, il capo motorista ancora a bordo, lancia agli uomini a terra tutte le provviste che può dalla passerella del motore sinistro, mentre il dirigibile scompare alla vista per non essere mai più ritrovato. Le due ipotesi più accreditate sulla sorte dell’Italia e dei sei membri dell’equipaggio ancora a bordo sono un suo possibile inabissamento nel Mare di Barents, oppure, che sia precipitato al suolo prendendo fuoco come potrebbe indicare la colonna di fumo avvistata all’orizzonte dai superstiti circa mezz’ora dopo l’incidente.

Che cosa ne è stato dei sopravvissuti all’impatto? I ghiacci alla deriva portano i nove sopravvissuti — uno muore poco dopo l’impatto — verso le isole Foyn e Broch. Gli esploratori si rifugiano in una tenda, pensata solo per brevi permanenze per quattro persone. La tenda viene ricordata con il nome di Tenda Rossa perché viene colorata di rosso con la fucsina. La sostanza di colore rosso era usata per misurare la quota del dirigibile, lasciando cadere delle fiale dal mezzo e cronometrando il loro tempo di caduta segnalato dalle macchie rosse ben visibili sul bianco delle nevi. La tenda è oggi conservata al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano ed è stata oggetto di un lungo restauro che sta per concludersi.

Il Dirigibile Italia a Ny-Ålesund, Svalbard, dove era basato per la sua esplorazione polare.

Fondamentale per la salvezza è il recupero della radio Ondina 33 per inviare gli SOS. Nonostante per il salvataggio si mobilitino piloti ed esploratori da Francia, Finlandia, Norvegia, Svezia e URSS, passano ben 49 giorni prima che tutti i superstiti vengano recuperati. Gli sforzi, infatti, sono poco coordinati e vengono rallentati dall’inefficienza della nave di appoggio Città di Milano. L’equipaggio non mantiene la sorveglianza radio e continua a trasmettere traffico di routine e i servizi giornalistici sull’incidente — gli SOS vengono captati da un giovane radioamatore russo distante 1.900 chilometri dall’accampamento dei superstiti. In tutto questo, anche il governo italiano ha delle grosse responsabilità non esercitando pressioni per ritrovare i possibili superstiti. A peggiorare il bilancio della tragedia, nove soccorritori muoiono durante le ricerche, incluso anche il famoso esploratore norvegese Roald Amundsen.

Proprio di recente, uno studio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), ha gettato nuova luce sul perché della difficoltà a captare gli SOS, determinando le condizioni della ionosfera di quei giorni, lo strato dell’atmosfera che risente dell’attività solare e influenza la propagazione delle onde radio — complicata anche da una tempesta geomagnetica al tempo in corso. Secondo la ricerca, la radio frequenza usata dai naufraghi non poteva essere ricevuta in tutta la regione delle Isole Svalbard perché lo strato riflettente della ionosfera consentiva solo comunicazioni sulla lunga distanza.

Le cause dell’incidente non sono mai state chiarite del tutto. Senz’altro il clima dell’Artico e la decisione di tornare alla base andando incontro alla tempesta in peggioramento hanno giocato un ruolo fondamentale. Inoltre, anche quella di risalire sopra lo strato delle nubi — provocando il riscaldamento dell’involucro, l’espansione dell’idrogeno e l’aumento della pressione, facendo scattare le valvole automatiche per liberare il gas — è stata una scelta problematica. Quando il dirigibile scende nuovamente tra le nubi dopo la riaccensione dei motori, si trova nuovamente ad una temperatura più bassa e perde quota — forse perché ha perso troppo gas prima o perché le valvole si ghiacciano e restano aperte facendo continuare la perdita. Un’altra causa probabile è il cedimento strutturale dell’involucro: prima della partenza, la neve che lo ricopriva era stata rimossa con attrezzi poco adatti usando anche scarpe chiodate per arrampicarsi sul mezzo.

Proprio il 25 maggio, al CNR, in occasione dei 90 anni dalla vicenda del Dirigibile Italia, si insedierà il nuovo Consiglio scientifico per l’Artico, l’organismo presieduto dal ministro plenipotenziario che rappresenta l’Italia al Consiglio Artico. Anche se il dirigibile Italia non è mai stato ritrovato, quest’anno Polarquest2018 — una spedizione di ricerca ed esplorazione ispirata all’impresa di Umberto Nobile — partirà per la circumnavigazione delle isole Svalbard nel mese di agosto, per effettuare campionamenti di microplastiche nell’Oceano Artico, rilevare il flusso di raggi cosmici oltre gli 80°N e cercare i resti del dirigibile Italia a Nord-Est dell’arcipelago. Ma questa è un’altra storia di cui vi racconteremo un’altra volta.

Segui Federico su Twitter: @spaghettikraut