Non c’era cappuccino e brioche. C’era il brodo di trippa magro e una galletta di pane, la galletta del marinaio.
Ha suonato per Sabrina Salerno ed è persino finito su Canale 5, prima di smettere di fare il musicista e nel 1984 raggiungere la moglie alla tripperia La Casana. “Fine ingloriosa da batterista a trippaio,” a detta di Francesco Pisani. Ma il locale, fra i più antichi dei vicoli, conserva una gloria diversa: quella di aver sfamato la città per oltre due secoli.
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Qui si veniva a prendere il primissimo cibo da asporto della città: il brodo in tazza.
Quando arrivo, quattro persone aspettano in coda per portarsi a casa la trippa del giorno. Tutto all’interno parla di Genova: il pavimento a scacchi, il soffitto a volta a botte, le pentole di rame, i tavoli di legno ricoperti in marmo, su cui puoi mangiare all’ora di pranzo soltanto su prenotazione. Sarebbe anzi corretto dire che qui si veniva a prendere il primissimo cibo da asporto della città: il brodo in tazza.
La tripperia ha servito la colazione dei camalli, termine dialettale di origine araba che indica gli scaricatori del porto, dalla sua apertura all’inizio dell’Ottocento fino a pochi anni fa. Chi non si poteva permettere la carne optava per una tazza di brodo da portar via.
“La cosa più giovane qui dentro sono io”
“Il brodo di trippa è un brodo molto magro, ma allo stesso tempo molto proteico e quindi dava un bel supporto nutrizionale a portuali e muratori che si alzano presto e fanno lavori di fatica, non di concetto. Non c’era cappuccino e brioche. C’era il brodo e una galletta di pane, la galletta del marinaio,” spiega Francesco.
È un prodotto molto genovese, un po’ come la focaccia e il pesto.
Lui si definisce onnivoro ma “quasi” vegetariano, io ammetto di esserlo del tutto. Eppure cucinare le frattaglie, solitamente un cibo che provoca qualche resistenza, significa anche rendere giustizia all’animale senza sprecare. Per un po’ parliamo di cosa significa avere una dieta di un tipo o di un altro. “Io cerco di avere una dieta più vegetale che animale,” dice. “Io mangio pochissima trippa perché quando lavori in un posto è sempre così.”
La moglie Gabriella Colombo aveva rilevato La Casana dall’ultimo discendente dei Cavagnaro, la famiglia proprietaria originale. “Quando io sono arrivato, Agostino Cavagnaro mi ha insegnato tutto,” racconta Francesco. “Lui mi ha trasmesso la conoscenza del mestiere e io ho mantenuto la stessa direzione.”
A Genova c’erano 150 tripperie, cosa che non si poteva trovare in nessun’altra parte d’Italia. Ora ne sono rimaste quattro in tutta la provincia
“Il nostro piatto è fatto con un soffritto di cipolla, carote e sedano, dei funghi secchi e dei pinoli, vino bianco, pelati e patate. È un prodotto molto genovese, un po’ come la focaccia e il pesto. Tant’è vero che a Genova c’erano 150 tripperie, cosa che non si poteva trovare in nessun’altra parte d’Italia. Ora ne sono rimaste quattro in tutta la provincia.”
La trippa si mangia ovunque con moltissime varianti in Italia e nel mondo. In Ecuador la ricetta è molto simile a quella di Genova, ad esempio, laddove si usano le arachidi al posto dei pinoli.
La trippa è un piatto antico e lungo da preparare, ma rispetto all’Ottocento sono cambiate ovviamente le condizioni igieniche. Adesso al mattatoio viene fatta una prima pulizia, ma il lavoro più duro resta quello del trippaio che lascia la carne una notte nel bicarbonato per togliere il ‘bestin’, cioè il sapore forte dell’animale, in seguito la lessa e infine spazzola pezzo per pezzo.
La carne richiede almeno tre ore di bollitura in acqua non salata, quindi Francesco preferisce arrivare a lavoro alle quattro del mattino per prepararla fresca ogni giorno. A questo punto, è pronta per essere venduta così e successivamente ‘accomodata’. “Il 90% della carne venduta è da cucinare a casa, poi noi abbiamo un 10% di clienti che la ordinano già pronta, magari single o gente che lavora e non ha tempo.”
Sui fornelli de La Casana ci sono due grosse pentole di rame perché in una si cuoce la trippa cosiddetta ‘rossa’ e in una quella ‘bianca’. Vista la mia scarsa dimestichezza con l’anatomia della mucca, Francesco prende carta e penna per farmi un disegno.
“La trippa bianca sono tre dei quattro stomaci ovvero il reticolo detto ‘cuffia’, l’omaso detto ‘centopelle’ e il rumine o ‘cordone’. Nella trippa rossa c’è il quarto stomaco, l’abomaso detto ‘gruppo’ o ‘lampredotto’ dai fiorentini, insieme all’esofago o ‘gola’, la vagina o ‘castagnetto’ e le tube di Falloppio o ‘riccetto.” A seconda della preparazione, cambia la proporzione fra i vari pezzi.
Per la ricetta della trippa accomodata, simile a uno stufato, sono necessari di ¾ di ‘bianca’ e ¼ di ‘rossa’. Si fanno imbiondire le cipolle nel tegame, dopo di che si aggiunge la carne che dovrà rosolare fino a perdere tutta l’acqua in eccesso.
“Devi dimenticartene. Quando si sta quasi attaccando, allora butti i funghi secchi con i pinoli. Quando anche l’acqua dei funghi si asciuga, mezzo bicchiere di vino bianco, fai sfumare, poi abbassi la fiamma e metti pelati e patate insieme. Ci vuole minimo un’oretta e mezza di cottura, se ci sta di più viene ancora più buona.”
Oltre alla ricetta tradizionale, Francesco prepara anche la trippa da insalata con i ¾ di ‘rossa’ e ¼ di ‘bianca’ e quella al pesto che parte dalla stessa composizione e somiglia proprio alla pasta al pesto nell’aspetto finale.
Il motivo per cui i pezzi cuociono in due pentole separate risale alla tradizione della tazza: il brodo era soltanto quello di ‘rossa’, molto più gustoso e nutriente. Aggiunge: “La trippa è un piatto molto dietetico perché, contrariamente a quanto uno si immagina, ha in 100 g di prodotto 16% di proteine, solamente 4% di grassi e zero colesterolo.”
Le ricette poi sono svariate e una delle più curiose è la frittura di centopelle, che Francesco ha introdotto una decina d’anni fa per chi vuole fare una degustazione di quattro portate. “È semplicissimo, si infarina e si fa friggere fino a farlo diventare croccantissimo. È una cosa molto sfiziosa.”
Come dargli torto, il profumo è buonissimo. Per quanto mi riguarda, sono pronta ad andarmene a casa con la trippa accomodata che mangerà qualche onnivoro amico. Mentre chiude il negozio per l’ora di pranzo, Francesco mi mostra il vecchio cartello che indicava il prezzo della tazza di brodo. “La cosa più giovane qui dentro sono io,” dice ridendo.
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