È passata una settimana dall’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, uno dei candidati più controversi della storia americana. E malgrado l’America e il mondo stiano ancora metabolizzando una vittoria che ha sorpreso gran parte della stampa, degli esperti, dei sondaggisti e del pubblico, in questi giorni si sta lentamente passando all’analisi effettiva di come potrebbe essere davverola sua presidenza.
Trump ha iniziato a nominare i primi membri del suo team di governo: Reince Priebus, presidente del partito Repubblicano, sarà il capo di gabinetto, mentre Stephen Bannon, ex capo della pubblicazione di ultra-destra Breitbart e capo della sua campagna elettorale, sarà chief strategist e consigliere.
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Mentre continua l’attesa per la nomina di altri ruoli chiave del futuro governo, il documento che permette di avere un’idea precisa delle proposte di Trump per i suoi primi cento giorni di governo è il cosiddetto “Contract with the American Voter” – che richiama una terminologia di berlusconiana memoria – pubblicato a ottobre sul suo sito.
Il documento include una serie di misure che Trump promette di attuare già dal primo giorno di mandato a gennaio 2017, mentre altre proposte più elaborate dovrebbero essere messe in pratica entro i primi 100 giorni di governo.
Immigrazione
Uno dei temi su cui Trump ha puntato molto durante la campagna elettorale – e su cui si è già espresso nella prima intervista post-elezioni – è quello dell’immigrazione. Da più parti gli immigrati che vivono negli Stati Uniti- regolari e non – si stanno dichiarando molto preoccupati.
La proposta di punta del neo-presidente è, come scritto nel Contratto e detto a più riprese, l’espulsione dei “più di due milioni di immigrati illegali criminali dal paese” e l’eliminazione dei visti per i “paesi stranieri che non se li riprenderanno.”
Nella sua intervista durante lo show della CBS “60 Minutes”, Trump ha ribadito la sua intenzione, e anzi ha alzato il numero degli espulsi a 3 milioni di persone — col fine ultimo di sbarazzarsi di tutti gli 11 milioni di immigrati irregolari che vivono nel paese.
Secondo una stima effettuata dall’American Action Forum, un think tank conservatore, per portare a termine il piano saranno però necessari 600 miliardi di dollari e 90.000 agenti addetti ai rastrellamenti e alle espulsioni — oltre ai numerosi posti letto, pullman e aerei per portare a compimento il piano.
In sostanza, servirebbero decine di migliaia di uomini e centinaia di miliardi.
Un’altra proposta controversa – ma promossa a più riprese – è la costruzione di un muro lungo tutto il confine tra Stati Uniti e Messico, che Trump ha intenzione di far pagare al paese centroamericano. Ma oltre al fatto che la spesa sarà quasi certamente rifiutata dal Messico, gli esperti dell’MTI hanno calcolato che la costruzione del muro potrebbe costare fino a 40 miliardi di dollari — quattro volte la cifra preventivata dal neo-eletto presidente.
Altra proposta è quella che vede la sospensione dell’immigrazione dalle regioni con un’alta presenza di terroristi da cui, a detta di Trump, “non possono avvenire controlli in sicurezza.” L’estremizzazione di quest’idea non è presente nel contratto, ma è stata espressa più volte da Trump in campagna elettorale: è il divieto di ingresso totale per i musulmani, misura che dovrebbe essere bocciata dai tribunali in quanto discriminatoria, ma che potrebbe comunque essere perseguita dal nuovo governo degli Stati Uniti.
Si tratta quindi di un piano per l’immigrazione complicato e dispendioso — oltre che, com’è evidente, altamente discriminatorio.
Economia e commercio internazionale
Altra questione su cui ha fatto leva la campagna elettorale di Trump è quella economica. Anche qui con dei richiami berlusconiani, il presidente-eletto si è proposto come businessman di successo in grado di applicare il metodo utilizzato nella gestione fortunata delle sue attività economiche anche all’impresa Stati Uniti.
I tre temi principali: classe media, tasse e deregolamentazione. Di base, come scritto nel suo Contratto, l’obiettivo è di implementare un piano che porti a una crescita economica del 4 per cento annuo, creando almeno 25 milioni di nuovi impieghi. Come? Tramite “enormi riduzioni delle tasse e semplificazione, combinate con la riforma del commercio, deregolamentazione, e la fine delle restrizioni per l’energia americana.”
Secondo Stephen Moore, consulente economico di Trump intervistato dal New Yorker, la visione economica del vincitore delle elezioni è quella tipica del conservatorismo americano: tagliare le tasse per “incoraggiare le persone a lavorare e le aziende a investire.”
Nel piano di Trump, le riduzioni delle tasse più significative dovrebbero toccare principalmente la classe media — una famiglia con due figli vedrà una riduzione del 35 per cento. Ma un occhio di riguardo è riservato anche alle aziende, la cui tassazione scenderà dal 35 al 15 per cento.
Per diversi osservatori, tuttavia, la riduzione delle tasse andrebbe a beneficiare ben altre categorie. Secondo Lily Batchelder, professoressa di diritto alla NYU anche lei intervistata dal New Yorker, l’un per cento più ricco della popolazione riceverebbe circa metà dei benefici della riduzione delle tasse — “un miliardario riceverebbe un taglio delle tasse medio di 317.000 dollari.”
Una famiglia che guadagna 40 o 50.000 dollari, invece, potrebbe conoscere una riduzione di circa 560 dollari, mentre “milioni di famiglie della classe media, sotto Donald Trump, vedrebbero un aumento delle tasse — soprattutto le famiglie con un solo genitore,” spiega Batchelder.
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Oltre alle tasse, però, altri focus di Trump sono il commercio estero e gli accordi di libero scambio. Nel Contratto è stata espressa la volontà di rinegoziare il NAFTA, il trattato di libero scambio con Canada e Messico, e di interrompere i negoziati per la Trans-Pacific Partership (TPP) con diversi paesi asiatici.
Secondo il New Yorker, queste minacce di Trump sembrano – stando a quanto riportano i suoi consulenti – solo dei bluff. Ma Larry Summers, professore di Harvard ed ex Segretario del Tesoro, sostiene che le politiche economiche e commerciali di Trump potrebbero portare a una lunga recessione entro 18 mesi — e anche se non dovesse introdurre dei dazi, la percezione di un paese chiuso potrebbe aumentare il rischio di crisi finanziarie nei paesi emergenti.
Le politiche economiche trumpiane, insomma, rischiano di essere tutt’altro che un bene per il paese — e per i suoi stessi elettori.
Clima
Parte dell’eredità che il presidente uscente ha voluto lasciare al suo successore sono i passi avanti fatti per contrastare il cambiamento climatico — in primis l’accordo di Parigi raggiungo a dicembre dello scorso anno.
Trump, invece, è notoriamente scettico sulla materia: ritiene che il climate change “sia una bufala” inventata dal governo cinese, e la sua attenzione per i temi ambientali durante il suo governo sarà, con molta probabilità, minima o inesistente.
Il presidente-eletto ha promesso di cancellare “miliardi [di dollari] in pagamenti per i programmi dell’ONU contro il cambiamento climatico,” utilizzando le risorse per aggiornare l’infrastruttura idrica e ambientale degli Stati Uniti: toglierà le restrizioni per la produzione di riserve energetiche per 50mila miliardi di dollari, incentivando il fracking per l’estrazione di petrolio, gas naturale e carbone pulito.
Altro tema centrale è quello della rimozione degli ostacoli per il completamento di infrastrutture come il Keystone Pipeline, oleodotto tra il Canada e gli Stati Uniti la cui costruzione è stata in parte bloccata da Obama dopo le proteste degli ambientalisti.
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Altro presunto obiettivo di Trump è diminuire il potere e l’efficacia dell’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA), ridurre gli investimenti nell’energia pulita e far uscire gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi.
Sarebbero tutti enormi passi indietro rispetto alle politiche di Obama, e un terribile segnale per il resto del mondo, considerando quanto gli Stati Uniti siano stati finora una guida per il raggiungimento degli accordi storici sul clima degli ultimi anni.
Diritti di donne e LGBT
La vittoria di Trump alle elezioni è stata accolta con paura anche da molte delle minoranze americane — afroamericani, latinoamericani, LGBT, donne. E non è solo a causa delle sue affermazioni controverse in campagna elettorale, o dell’ondata di crimini d’odio che la sua elezione sembra già aver sollevato: sono proprio le proposte politiche stesse di Trump a spaventare in particolare donne e membri della comunità LGBT.
Da una parte, pur non volendo esprimere la sua opinione in merito ai matrimoni gay, il neo-eletto presidente ha dichiarato a “60 Minutes” che “[La questione] è già stata chiusa. È legge. È stata chiusa dalla Corte Suprema. Voglio dire, è fatta” — affermazione che sembra confermare che i matrimoni egualitari non saranno toccati.
Dall’altra però, se Trump non ha voluto toccare le questioni LGBT durante la campagna elettorale, il suo vice Mike Pence e il partito Repubblicano sembrano essere meno accomodanti. Il governatore dell’Indiana è salito alla ribalta firmando una norma anti-LGBT, mentre il partito ha preso una netta posizione contro i diritti delle persone transgender.
Mercoledì mattina, come riportato dal Guardian, Pence ha segnalato che il governo non penalizzerà le scuole che non accolgono a sufficienza gli studenti trans, come invece aveva iniziato a fare Obama.
Allo stesso tempo, i Repubblicani vogliono ritirare l’Affordable Care Act, la riforma sanitaria voluta da Obama che include una norma che impediva a molte assicurazioni di discriminare le persone transgender.
Per quanto riguarda le donne, Trump ha detto esplicitamente che i giudici che nominerà per la Corte Suprema saranno sicuramente pro-life, anti-abortisti.
“Io sono pro-life. I giudici saranno pro-life,” ha detto. Quando gli è stato chiesto se ritirerà la sentenza della Corte Suprema che ha permesso l’aborto a livello federale, Trump ha spiegato che, se fosse mai rigettata, la questione dell’aborto tornerebbe ad essere competenza dei singoli stati.
Questo darebbe agli stati la libertà di scegliere indipendentemente se far rimanere l’aborto legale o meno, costringendo alcune donne a recarsi in un altro stato per un aborto se la pratica – dove risiedono – fosse vietata. “Vedremo cosa succederà,” ha concluso Trump.
Mara Clarke, del gruppo Abortion Support Network, ha spiegato a Broadly che, alla fine, le politiche sull’aborto di Trump puniranno le donne povere e vulnerabili. “I ricchi saranno sempre in grado di pianificare la loro famiglia e decidere quanti bambini vogliono e quando li vogliono. Le donne povere non potranno.”
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