Da qualche giorno si parla di un caso di violenza verificatosi a Rimini lo scorso 26 agosto. Una coppia di turisti polacchi ventiseienni, mentre si trovava in spiaggia di notte, ha raccontato di essere stata aggredita e rapinata da quattro persone: lei è stata stuprata, lui picchiato. Successivamente il gruppo si è allontanato su una vicina strada statale e ha violentato anche una donna transessuale peruviana.
Non c’è molto da aggiungere sulla gravità dei fatti: uno stupro di gruppo—in questo caso doppio—è un atto talmente terribile che non credo neanche serva circostanziarlo o arricchirlo di particolari per comprenderne la drammaticità.
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L’episodio ha provocato una forte indignazione e se ne sta discutendo parecchio su giornali e social, dove fioccano condanne e richieste di giustizia. Il che potrebbe essere in astratto considerato un fatto positivo, visto che il più delle volte chi subisce una violenza sessuale è circondata da un alone di silenzio quando non di sospetto. Peccato che questa levata di scudi in difesa delle donne abbia avuto nello specifico un unico e preciso denominatore: la nazionalità degli aggressori—che stando alle testimonianze e alle indagini sarebbero maghrebini.
È bastata questa indicazione geografica perché il fulcro della questione si spostasse velocemente da violenza sessuale a retorica su “invasione” e scontro di civiltà.
Chiunque non sia salito sul carro “forca agli stranieri che stuprano le nostre donne” è stato tacciato di essere un buonista e di insabbiare la notizia di Rimini in difesa del politicamente corretto e degli stranieri non si sa bene per quale tornaconto.
Nel frattempo, sotto l’ombrello dell’indignazione per gli stupri di Rimini sono fioccate notizie false, intolleranza, auguri di morte e frasi tipo “spero ti stuprino”. Esattamente il modo in cui immaginerei di parlare di violenza sulle donne.
Considerato che questa cosa che fatico a chiamare dibattito si trascina oramai da alcuni giorni, credo sia arrivato il momento di mettere un paio di punti fermi.
“NON CI DICONO CHE GLI ARRESTATI SONO STRANIERI”
La rivelazione della provenienza straniera degli aggressori si è palesata come elemento caratterizzante sin dal primo momento, assumendo quasi la forma del complotto (“SONO IMMIGRATI E NON CE LO VOGLIONO DIRE!”). Lunedì, ad esempio, sulla prima pagina di Libero campeggiava un articolo che gridava alla “censura sugli orrori di Rimini” e lamentava il fatto che “giornali e tv nascondono che la polizia sta cercando quattro magrebini,” seguendo una “nuova prassi italiana, ma forse sarebbe più corretto dire terzomondista, per cui i carnefici si proteggono, e le vittime si offrono alla piazza.”
Peccato che in quel momento alla piazza ci fosse da offrire al massimo una sorta di criminalizzazione etnica, visto che non si sapeva praticamente nulla sull’identità degli aggressori se non che fossero “scuri.” La “censura” sulla nazionalità, tra l’altro, è stata più evocata che reale: man mano che le notizie sugli stupratori sono venute fuori sono uscite sui giornali.
Ma oramai la giostra del complotto dei media conniventi e del “razzismo all’incontrario” era partita: secondo un editoriale di Alessandro Sallusti su Il Giornale , gli stranieri “rispetto a noi italiani, non solo sono tutelati dal sistema quando occupano una casa ma pure quando sono sospettati di avere stuprato” una persona. Dall’altro lato “neppure di fronte all’orrore di uno stupro di gruppo ai danni di una ragazza il politicamente corretto molla il colpo.”
Il dettaglio della nazionalità (perché di dettaglio si tratta, posto che il cuore della vicenda mi sembra, dico mi sembra eh, lo stupro subito dalle due donne) è diventato centrale, facendo assumere alla violenza di Rimini un disvalore maggiore rispetto ad altri casi di donne pure vittime di stupri di gruppo. Non è certamente la prima volta che si verifica un fenomeno del genere: la reazione dell’opinione pubblica a una violenza sessuale e il suo atteggiamento nei confronti delle vittime è infatti decisamente diversa a seconda che il colpevole sia italiano o straniero.
Del resto, pochi mesi fa l’esponente del PD Debora Serracchiani l’aveva detto in maniera chiara: “La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese.” Questo modo di pensare si porta dietro un substrato culturale che ha davvero poco a che fare con una la difesa della libertà delle donne e che, diceva la scrittrice Giulia Siviero proprio a proposito delle parole di Serracchiani, richiama una visione del corpo femminile “come proprietà pubblica e dello straniero come invasore.”
In questa narrazione, ovviamente, gli “invasi” sono sollevati da qualsiasi colpa e responsabilità: le nostre donne sono in pericolo per agenti esterni, mentre qui siamo tutti bravi, belli e rispettosi. Mica esiste un problema di violenza di genere in Italia, figuriamoci.
IL MEDIATORE “CAPO ISLAMICO”
Domenica, sulla pagina Facebook del Resto del Carlino, sotto a un articolo sullo stupro di Rimini è comparso questo orrendo commento:
L’autore del commento, tale Abid Jee, stando al suo profilo social risultava lavorare come mediatore culturale presso la cooperativa sociale Lai Momo di Bologna. Nonostante sia stato cancellato quasi subito, uno screenshot del post è diventato virale, ha scatenato un putiferio; e, dopo alcune verifiche, l’uomo è stato sospeso in via cautelativa dalla cooperativa.
Ora, non credo che ci siano parole per definire un’esternazione del genere: condannarla è il minimo. È un chiaro esempio di cosa significa cultura dello stupro: una normalizzazione della violenza sessuale che viene sminuita, tollerata, circostanziata e in qualche modo accostata al sesso. Questa idea purtroppo risponde a un pensiero più diffuso di quanto si pensi anche in Italia, nonostante si faccia costantemente finta che non sia così.
A ogni modo, anche questo commento è stato utilizzato come arma politica, e su Libero Abid Jee è diventato un “capo musulmano”—capo non si sa bene di chi o cosa—e per questo espressione di una comunità intera.
Sul Corriere Massimo Gramellini, invece, ha precisato che del “pregiudizio cavernicolo nei confronti delle donne” di cui si è fatto portatore Abid Jee, “in Europa avevamo cominciato a liberarcene […] prima che da oltremare giungessero rinforzi.” Il problema viene sempre da fuori.
INDIGNARSI PER UNO STUPRO AUGURANDO STUPRI
Non appena uscita la notizia delle violenze di Rimini, Saverio Siorini, segretario cittadino di Noi Con Salvini di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, si è chiesto su Facebook quando sarebbe stato riservato lo stesso trattamento “alla Boldrini e alle donne del PD.”
Il post ha ovviamente sollevato un vespaio, e Siorini è stato sospeso dal movimento. Successivamente l’ex segretario ha spiegato di essere stato “frainteso e anche strumentalizzato a favore di qualcuno,” ma “è tanta la rabbia per questa giovane donna stuprata, e il silenzio di Boldrini e di tutte le femministe” che non ci ha visto più.
Del resto, come manifestare indignazione per uno stupro se non augurando uno stupro?
L’esponente di Noi Con Salvini non è stato l’unico. Sotto al suo post originale era pieno di “glielo auguro”; e tra l’altro, invocare violenze sessuali alla presidente della Camera non è neanche troppo originale. In risposta al commento del mediatore Abid Jee, invece, ce ne sono stati diversi che oltre ad augurare sodomie per lui, sperano che gli venga stuprata la madre o “una figlia femmina.”
LE FOTO FALSE DEGLI STUPRATORI
Nella sera di martedì sono iniziate a circolare quattro foto segnaletiche con la dicitura “Comando provinciale di Rimini.” A diffonderle è stata Chiara Giannini, giornalista del Giornale, accompagnandole così: “Ed ecco i quattro stupratori di Rimini. Bell faccine, sì. Se li vedete? Per me potreste iniziare a portarli in piazza, davanti agli italiani.”
In realtà, l’immagine era tratta da un articolo di RiminiToday del 22 marzo 2016 relativo all’arresto di un gruppo di tunisini per droga. Quando qualcuno le ha fatto notare il fake, Giannini si è difesa dicendo che le era stato passato da una non ben precisata fonte, ha cancellato il post, ha mostrato il suo risentimento in un video postato su Facebook, poi ha cancellato anche quello ed è sparita.
Nel frattempo, però, le foto hanno continuato a diffondersi.
E sono state pure utilizzate per chiedere “giustizia” e prendersela con i “buonisti cattocomunisti,” senza farsi troppi scrupoli sul fatto che fossero decontestualizzate.
Oltre a ciò, due cittadini del Gambia arrestati a Barcellona Pozzo di Gotto tempo fa spuntano in qualità di stupratori di Rimini in altre foto diffuse su Facebook da un consigliere regionale sardo.
LA VITTIMA DI SERIE B
In tutta questa spasmodica ricerca del passaporto degli stupratori sembra essere sfuggito il particolare che le vittime di violenza sessuale a Rimini sono state due: la ragazza polacca e una donna transessuale peruviana.
Di lei praticamente si è parlato a stento, più che altro come danno collaterale o come testimonianza per corroborare la prima violenza e in ogni caso sottolineando sempre che trattasi di prostituta, quindi meno grave di default. Spesso non ne è stata nemmeno rispettata l’identità, visto che nella maggior parte dei casi si è fatto riferimento a lei usando articoli e pronomi maschili – cosa che nella narrazione delle violenze contro transessuali è prassi. Il responsabile diritti LGBTQI di Possibile, Gianmarco Capogna, ha provato a sollevare il problema e si è beccato una sequela di insulti.
Per il resto, nelle dichiarazioni di indignazione la seconda vittima non è stata praticamente mai tenuta in considerazione, a destra come a sinistra.
“LA BOLDRINI NON DICE NIENTE!”
Oltre a essere stata oggetto di ripetuti auguri di violenze sessuali, Laura Boldrini è stata praticamente messa in croce per non aver rilasciato una dichiarazione sui fatti di Rimini.
Questo accanimento dipende dal fatto che la presidente della Camera ha ormai assunto ufficialmente il ruolo di sfogatoio dei peggiori istinti razzisti e sessisti di questo paese. Si capisce quindi come la combo “stupro di donna bianca da branco magrebino” fosse un’occasione troppo succulenta per non tirarla in mezzo. Anzi: considerata la nazionalità degli stupratori, con ogni probabilità la colpa era sua visto che “VUOLE GLI IMMIGRATI!”
Pazienza, poi, se si chiede di condannare una violenza sessuale a chi è oggetto quotidianamente di frasi tipo “spero che le tue ‘risorse’ ti stuprino” tra i risolini degli avversari, senza ricevere un minimo di solidarietà. Ad esempio, vedo molta coerenza nel richiamo alla presidente della Camera da parte di Matteo Salvini, che un anno fa a una festa della Lega aveva presentato una bambola gonfiabile come “la sosia della Boldrini.”
In un’intervista a Repubblica Boldrini ha definito “agghiacciante il livello del dibattito di questi giorni”: “Come se la gravità della violenza dipendesse da chi la mette in atto o da chi la subisce.”
In generale, questo accanimento nei suoi confronti ha anche a che fare con il suo essere una donna in una posizione di potere. “Nella società italiana c’è chi continua a non tollerare l’avanzamento delle donne, una forma di misoginia che in taluni ancora persiste,” ha spiegato Boldrini. Tant’è che la stragrande maggioranza di insulti e minacce ricevute dalla presidente negli ultimi anni sono esclusivamente a sfondo sessuale. Però difendiamo le nostre donne, mi raccomando.
“E LE FEMMINISTE ZITTE?”
Infine, leit motiv di questi giorni è stata la polemica sul “silenzio delle femministe” sugli stupri di Rimini: “Vedete? Se lo fanno gli immigrati stanno tutte zitte!”
Probabilmente il punto non è che “le femministe non abbiano detto niente,” anche perché era assolutamente improbabile che si unissero al coro della caccia al maghrebino. Gli attacchi sono arrivati specialmente dalla stampa di destra, e si sono propagati sui social accompagnati da quel livore represso tipico del “ho sempre voluto dire questa cosa.”
A prendersela con i movimenti femministi ha provveduto anche Lorella Zanardo, scrittrice e autrice de Il Corpo delle donne, che un’invettiva sulla sua pagina Facebook (e poi in un articolo sul Fatto Quotidiano) ha lamentato come a causa di “un ordine di scuderia, o di partito” non si fosse parlato dello stupro di Rimini: “Immagino perché gli stupratori, si ipotizza, sono stranieri del maghreb: quindi per una certa logica, intoccabili.” Questo è avvenuto “in nome delle elezioni imminenti.” Io non so esattamente dove viva Lorella Zanardo, ma al giorno d’oggi mi sembra che a mostrarsi dalla parte di migranti o stranieri non si vincano neanche le elezioni del condominio; figuriamoci poi se sono colpevoli di uno stupro.
La scrittrice ha inoltre detto di sentirsi “sconfitta,” al pensiero di “quella ragazza sanguinante sulla spiaggia e noi, nel 2017, ancora e ancora ad obbedire a diritti che son o sempre e sempre più importanti dei nostri.” (Farò finta di non notare che anche per lei la seconda vittima di stupro non esiste).
A Zanardo ha risposto il movimento Non Una Di Meno—primo destinatario dell’accusa—con una lettera aperta. Nel messaggio, scritto da un’operatrice di un Centro Anti Violenza, si sottolinea come tanti abusi si consumino dentro le famiglie, ma che in ogni caso a nessuna donna “interessa il paese da cui proviene il suo maltrattante.”
“Non ci scandalizziamo dell’origine geografica dello stupratore e/o del branco e non contribuiamo alla caccia allo straniero,” conclude la lettera, “perché, faticosamente, ogni giorno, cerchiamo di tenere insieme la lotta al patriarcato e la lotta contro ogni forma di razzismo e fascismo, e contro ogni sospensione del pensiero.”
In un comunicato l’Associazione Nazionale D.i.Re, che rappresenta 77 Centri Anti Violenza in Italia, ha sottolineato come lo stupro di Rimini “invece di suscitare reazioni di sdegno” sia stato “occasione di una ulteriore campagna di odio.”
Ecco: la cosa più fastidiosa è forse che dietro tutto il clamore degli ultimi giorni ci sia più calcolo di consenso che interesse per quanto accade quotidianamente alle donne. Quello che è successo, infatti, è piuttosto evidente: stupri, vittime e carnefici sono stati strumentalizzati e usati come una clava per dare addosso ai propri avversari. Nel frattempo, è stato legittimato spazio per esternazioni violente e idee razziste funzionali a tutt’altra battaglia politica.
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