La guerra tra Uber e taxi non è finita


Foto via.

Quando qualcuno parla di liberalizzazioni, monopolio e concorrenza, i tassisti non la prendono bene, scendono in strada, bloccano il traffico e in un modo o nell’altro ottengono quello che vogliono, e cioè che non se ne parli. Alla lista di argomenti di cui i tassisti non vogliono discutere, nell’ultimo anno si sono aggiunti anche i servizi di carsharing Car2Go, Enjoy e Uber, un’azienda americana che in Italia è attiva da più o meno un anno.

Di fatto, Uber è un’applicazione che ti invia auto e autista dove vuoi, come un taxi o un normale autonoleggio, ma a prezzi—e qualità—diversi. A differenza dei taxi, le auto Uber sono generalmente nero-lucide con interni in pelle, e gli autisti indossano divise in formato giacca e cravatta. A differenza dei noleggi invece, Uber la chiami quando e dove vuoi e lei arriva subito, costando parecchio meno. Ai tassisti queste differenze non vanno giù, e da qualche mese a Milano è scoppiata una guerra tra loro e quelli che chiamano “uberini”, fatta di di sequestri, pestaggi, proprietà private fatte a pezzi e rapimenti, tipo Io vi troverò ma con meno Liam Neeson e più pugliesi.

Da una parte Uber denuncia le aggressioni a mezzo spranga dei tassisti, dall’altra i tassisti accusano Uber di concorrenza sleale, di eludere le regole e di seguire un’impostazione sul territorio tipica del caporalato. Il 16 dicembre Uber ha pubblicato un post denunciando l’aggressività dei tassisti di Milano, il 29 gennaio questi tassisti hanno bloccato la città, il 10 febbraio ne hanno presidiato il Comune e nei giorni successivi hanno indetto un nuovo sciopero—magari non durante la settimana della moda in cui gli introiti sono tanti e piuttosto certi. Due settimane fa la tensione si è alzata, e un passante ha risposto a un tassista che non gli aveva dato la precedenza scagliandogli contro un pacco di acqua da quattro. Il tassista è morto, e martedì Milano ne ha celebrato il ricordo con un lutto cittadino.


Corsico spit Il Fare.

“E loro cosa fanno? Il giorno in cui ammazzano un tassista, questi pubblicano la petizione in cui dicono che i tassisti sono violenti.” Giovanni Maggiolo è il Presidente del sindacato dei tassisti UNICA Taxi Milano, e quando lo chiamo, la prima cosa che mi dice è che non ne può più: “gli italiani sono un popolo di idioti,” e se al mondo, parlando di taxi, non si è mai trovata un’alternativa credibile, “difficilmente ci riuscirà un italiano.” La verità, secondo Giovanni, è che taxi e Uber non c’entrano niente: il taxi è un servizio pubblico, Uber è privato: “Uno garantisce il servizio a tutti, l’altro no. La vecchietta che deve andare al cimitero non tira fuori lo smartphone e chiama Uber.”

Domenica 23 febbraio Uber ha lanciato la campagna #IoStoConUber e si è rivolta direttamente al sindaco Pisapia denunciando gli abusi, e chiedendogli di proteggere il libero mercato in favore dei suoi fan-clienti. 


Lo chef Simone Rugiati su auto Uber, via Uber.

Secondo Giovanni, sostanzialmente, sono “quelli di Uber” che “vanno in giro a provocare.” Non tutti la pensano come lui però, e il 7 gennaio è successo qualcosa che potrebbe contraddirlo. Quello che per motivi di riservatezza chiamerò “Cameo” mi ha raccontato una storia. Era con un amico al bar Quadronno, a Milano, e saranno state circa le 2. Dovendo tornare a casa hanno deciso di chiamare Uber. All’arrivo della macchina, una mercedes nera, i due sono usciti, l’autista gli ha aperto la portiera, e loro sono saliti. In pochi secondi “una decina di persone, non proprio simpatiche, sui 40, 50 anni” li ha praticamente accerchiati, chiedendo al conducente se appartenesse a Uber. A quanto pare erano tassisti, e il conducente ha annuito. “A quel punto hanno iniziato a tirare schiaffoni alla macchina, sedersi sul cofano, si sono messi davanti e dietro e hanno iniziato a tirare insulti: bastardi, ladri, vi ammazziamo.” L’autista ha fatto un po’ indietro, un po’ avanti, “cinque centimetri per volta, e noi dentro non capivamo un cazzo.”

Dopo qualche minuto sono arrivati tre agenti in borghese, hanno chiesto al conducente di spegnere il motore e di dargli i documenti. L’autista però “se la stava facendo addosso,” e ha chiuso finestrini e sicura. A quel punto “gli sbirri” se la sono un po’ presa, hanno tirato fuori i distintivi e si sono messi a urlare. Cameo, amico e conducente sono scesi dalla macchina e i tassisti si sono messi da parte. “Quelli in borghese si sono messi a fare il culo al conducente Uber perché si era rifiutato di dare i documenti.” L’amico di Cameo ha provato a parlare con i tassisti, spiegandogli che a Londra e a New York le compagnie di taxi hanno applicazioni come Uber, e che se lo facessero anche a Milano questi problemi non ci sarebbero. I tassisti non l’hanno presa bene e sono partiti vari “t’ammazzo.”

Poi sono arrivate due auto della municipale e la cosa è finita lì.



Nella petizione inviata al Comune, Uber ci ha tenuto a specificare che 1) “i partner NCC [noleggio con conducente] di Uber svolgono un servizio legittimo e completamente regolare, poiché rispettano in pieno la normativa vigente,” 2) che “lei”, Pisapia, “ha affidato il controllo della Sua città a persone che usano la violenza per ottenere quello che vogliono al fine di proteggere i loro interessi monopolistici,” e che 3) “Uber e i suoi partner sono costantemente trattati come criminali e abbandonati a difendersi da soli da violenze e minacce.”

#IoStoConUber ha raccolto in meno di una settimana più di 3.000 firme. Giovanni mi dice la cosa che non ha “valore legale” perché non ha i requisiti—tipo nomi e documenti registrati. Secondo lui buona parte dei firmatari sono addirittura inventati: “cos’è, son tutti paladini del libero mercato?” 


Tra gli altri, ci sono anche quelli di Uber No Thanks.

Il fatto è che, secondo chi lo difende, il sistema taxi non ha bisogno di alternative, mentre Uber sarebbe sleale per due motivi: la differenza delle licenze tra taxi e noleggio (soprattutto per i costi) e le chiamate in strada, quelle che i taxi possono prendere e i noli no. Giovanni mi parla della 21/1992, che è la legge a cui si fa riferimento in tema di servizi di noleggio con conducente, e secondo cui 1) un noleggio con autista non può ricevere richieste ovunque capiti, ma in una rimessa, e 2) il compenso del servizio dev’essere deciso tra le parti prima.

Quelli di Uber però sembrano spesso ignorare le norme, e quando gli si chiede il perché, loro rispondono che fa parte del lavoro. “Lo stazionamento non deve essere effettuato ai fini di procacciare clienti,” ha spiegato in un’intervista la General Manager di Uber Italia Benedetta Arese Lucini, perché “se un NCC ha terminato una corsa e sosta con la macchina per effettuare qualche commissione personale, nulla vieta di fare ciò, idem se l’auto si sta dirigendo verso l’autorimessa e nel frattempo riceve una prenotazione.”

Ma non è così facile, almeno secondo i tassisti. Giovanni è convinto che parlare di libero mercato non è solo sbagliato, ma anche stupido. Mi dice che “sarebbe il fallimento,” e mi spiega che è una legge universale, qui come negli Stati Uniti. “Quello dei taxi è un mercato unico, funziona così, non c’è niente da discutere.” In Italia se venisse liberalizzato, “il primo violentatore può prendersi una macchina, caricare una ragazza e violentarla,” o riciclare denaro sporco, “posso fare finta di fare il tassista, poi ogni giorno vado a versare 500 euro, puliti,” e poi “voglio vederti a fare i controlli, De Corato parla sempre di sicurezza a Milano.” Giovanni preferisce non parlare dell’ex vicesindaco, non gli piace e gli ricorda che Pisapia ha sbagliato a mettere a capo dei vigili Tullio Mastrangelo. “Mastrangelo è amico di De Corato, ed è stato scelto perché lavorava con i servizi segreti israeliani.” Non so perché me ne parla, ma lo fa.

Il problema di fondo, quindi, non è tanto il servizio, quanto quelle caratteristiche che lo rendono un “oltraggio” al sistema taxi. Il suo unico vero vantaggio è l’immediatezza, e Uber la equivale. “Ma qual è la novità di un cristo che ti prende e ti porta da un’altra parte?” Giovanni non capisce, Uber secondo lui non è un Ufo e non è l’Enterprise, ma “un deficiente con una macchina a quattro ruote con un motore endotermico.”



Intanto giovedì pomeriggio scorso il Comune si è riunito per decidere cosa fare. Come può suggerire lo screen shot qui sopra, non è stata una giornata rivoluzionaria. Dopo gli interventi di De Corato—che ha sostenuto l’importanza di “difendere il servizio pubblico” e ha tenuto a sottolineare che “la sicurezza è un problema”—e Grassi, ex-tassista che ha riproposto le posizioni della sua ex-categoria, la mozione per aumentare i controlli e ribadire l’importanza di un maggiore rispetto delle leggi (per Uber) è passata con 33 voti favorevoli e quattro astenuti. Cosa significhi tutto ciò, rimane poco chiaro.

Ricapitolando: che ruolo deve avere Uber nel servizio di trasporto di Milano? Le regole sono regole perché restano regole? Uber è una compagnia di taxi sì o no? I tassisti sono convinti di no, e nonostante l’inesperienza, si attaccano alle leggi per difendere i loro diritti. Per Uber, ovviamente, le distinzioni non sono importanti: loro credono nel libero mercato e nelle libere professioni—come si capisce dalle descrizioni di Vania e Walid—e il Comune, e l’Italia, dovrebbero difendere la libera iniziativa personale.

Uber ha deciso, i tassisti anche, il Comune di Milano no. O meglio, per ora ha deciso di non decidere, lasciando la decisione alle decisioni di chi ha un telefono, una macchina, o una mazza.


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In passato:

Taxi drammi
 

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