Aggiornamento del 3 dicembre 2018: il regolamento 302/2018 della Commissione Europa — parte del progetto digital single market per creare un mercato online che riproduce l’assenza di barriere del mercato fisico — è entrato in vigore a marzo e viene applicato dal 3 dicembre 2018 sullo shopping digitale nel perimetro Ue. Buona ricerca dei regali di Natale.
Il geoblocking è una misura di protezione che restringe l’accesso a determinati contenuti o prodotti online in base al paese di provenienza dell’utente. Si tratta, in pratica, di un confine digitale tra paesi.
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È il motivo per cui capita, acquistando su un sito non-italiano (ma europeo), di essere re-indirizzati alla pagina italiana dello stesso sito, o di ricevere un avviso per cui l’acquisto non può andare a buon fine, o di pagare una cifra diversa da quella segnalata sul sito di provenienza.
Il 6 febbraio scorso, il Parlamento Europeo ha varato un provvedimento per interrompere il “geoblocking ingiustificato” da parte degli e-commerce in Europa, “obbligando i venditori a fornire equo accesso a beni e servizi sulla base degli stessi termini in tutta la UE, a prescindere da dove [i clienti] si connettano,” si legge sul comunicato stampa del Parlamento Europeo.
Attenzione però, perché la normativa non riguarda tutto ciò che prevede un copyright: musica, videogiochi online, eventi sportivi, ebook e servizi come Netflix o Amazon Prime Video, per esempio, non sono inclusi — nonostante siano, probabilmente, tra i servizi con il potenziale di condivisione (e dunque di blocco) internazionale più alto in assoluto.
La difesa del geoblocking di Netflix in particolare ha portato il colosso dello streaming a muovere una guerra severa contro i servizi di VPN — inizialmente più o meno tollerati —, che rendono possibile aggirare la localizzazione forzata e accedere alla versione (più ricca) di altri paesi. Alla base di questa meccanica c’è sicuramente, tra le altre cose, il complesso mercato dei diritti di distribuzione dei contenuti d’intrattenimento — per cui serie distribuite in USA su Netflix, non compaiono sul catalogo italiano perché acquistate da altre reti locali.
La nuova normativa, che si inserisce nel progetto europeo per il Digital Single Market — un piano sul lungo periodo per rendere il vecchio continente il più omogeneo possibile da un punto di vista di mercato —, entrerà in vigore forzatamente entro la fine del 2018, andando insomma a coprire:
— i beni fisici come elementi di arredo e di elettronica;
— servizi online come quelli di cloud e di hosting dei siti;
— servizi di intrattenimento come biglietti per i parchi divertimento e i concerti.
Il comunicato ufficiale non presenta una lista più specifica di esempi, ma è facile immaginare il crollo del geoblocking potrebbe porre fine, per esempio, alle differenze di prezzo dei biglietti aerei, formulate in base al paese da cui fai l’acquisto. Che è una cosa buona. Per quanto riguarda l’intrattenimento coperto da copyright, invece, il Parlamento Europeo ha stabilito un tempo di valutazione preventivo di due anni, durante il quale la Commissione Europea considererà se eliminare il geoblocking anche per materiali come e-book e prodotti audiovisivi, si legge sempre nel comunicato.
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Il fatto che la notizia sia stata salutata come una liberazione per chi fa shopping online non è del tutto appropriato, almeno secondo il membro del parlamento europeo ed esponente dell’European Pirate Party Julia Reda e l’Organizzazione Europea del Consumatore (BEUC), che hanno rispettivamente sottolineato i limiti della normativa. Julia Reda, in particolare, l’ha definita una “opportunità mancata” nel suo intervento in parlamento.
In sintesi, ci vorrà ancora tempo per consegnare all’oblio messaggi come “questo contenuto non è disponibile nel tuo paese.” Ma — questo è certo — potremo presto tutti comprare un sacco di frigoriferi da oltre confine.