Mama Becky prepara un po’ di chang’aa in una distilleria di Kibera. Le donne che gestiscono questo posto si mantengono grazie al kangara e al chang’aa che producono.
COME DISTILLARE IL CHANG’AA A CASA VOSTRA
AVVISO: il kangara (la mistura marrone, effervescente e fermentata conservata dentro i barili) probabilmente vi ucciderebbe. Le donne che fanno questa roba ne sono in qualche modo immuni e in parte ci convivono (se lo mangiano pure), ma è davvero poco raccomandabile, per cui non fatelo. Anzi, non seguite assolutamente questa ricetta. Finireste per ammazzarvi o ammazzare qualcuno—ve la presentiamo per pura curiosità.
INGREDIENTI:
– 90 kg di farina di mais
– 90 kg di farina di miglio
– 200 litri di acqua
– Una padella gigante (quasi un metro di diametro)
– Una paletta
– Un enorme barile di plastica
– 20 kg di zucchero di canna
– Un sacco di legna da ardere
– Dei calderoni da 40 litri
– 50 kg di zucchero bianco
– 2 pentole di alluminio (una da 10 litri e un’altra da 15) per calderone. Le pentole devono entrare giuste nella bocca del vostro calderone, una sopra l’altra.
– Foglie di banano
– Dei bricchi di plastica da 5 litri e 25 litri per l’acqua e il chang’aa
ISTRUZIONI:
1. Mescolate un sacchetto bello pieno di farina di mais e uno di farina di miglio. Aggiungete 20 litri di acqua. Mescolate la farina di mais e di miglio nell’acqua fino a che non si addensano. Tirate su l’impasto e mettetelo nella padella e usate la paletta per girare e spargere la mistura sulla padella in modo da cuocerla e asciugarla. Deve avere la consistenza di un purè di patate molto spesso e va cotto fino a quando non è diventato di color marrone bruciato.
2. Prendete i rimanenti 180 litri di acqua e versateli nel barile grosso. Spostate la miscela di mais e miglio dalla padella nel barile con l’acqua. Dopo, aggiungete tutti i 20 kg di zucchero di canna e mescolate. Assicuratevi che tutto sia coperto dall’acqua e perfettamente amalgamato.
3. Sigillate il barile e mettetelo via (normalmente in fosse o baracche, per via della polizia). Lasciatelo fermentare per cinque giorni.
4. Dopo cinque giorni, accendete il fuoco sotto i calderoni. La miscela fermentata (kangara) può ora tecnicamente essere ingerita, ma molto probabilmente vi ucciderebbe. Ora è arrivato il momento di distillare.
5. Prendete il kangara e aggiungete lo zucchero bianco.
6. Dividete la miscela nei giganteschi pentoloni/calderoni neri. Piazzate la pentola vuota da 10 litri sull’imboccatura del calderone; questa catturerà il chang’aa. Mettete la seconda pentola da 15 litri riempita d’acqua sopra la prima per evitare che i vapori dell’alcool scappino. Sigillate poi l’intera roba con foglie di banano.
7. Quando l’acqua nella pentola da 15 litri è calda, versatela in un bricco di plastica per uso domestico. Riempite nuovamente la cima della pentola ogni ora e cuocete tutto quanto per tre ore.
8. Dopo tre ore, svuotate la pentola di sotto. Se fatto correttamente, dovreste ora avere 10 litri di chang’aa di qualità! Il kangara può essere riutilizzato due o tre volte lasciandolo lì per tre giorni e aggiungendo altro zucchero. Il suo contenuto alcolico è del 70-90 percento, in base al tipo di cottura e ricetta, per cui invitate qualche vostro amico che beve parecchio, servitegli alcuni giri di birra di banana e fategli capire che non ha idea di che cosa sia l’alcolismo.
Mi trovo nella baraccopoli di Kibera a Nairobi, Kenya, persa in un labirinto di vicoli pieni di immondizia, circondata da bidoni putrescenti e file di enormi calderoni traboccanti. Sono venuta fin qui per assaggiare il mio primo bicchiere di chang’aa, un tipo di liquore locale di contrabbando. In swahili, chang’aa significa letteralmente “uccidimi in fretta,” e distrugge chiunque ne beva anche una sola goccia, maschio o femmina che sia. È il Crazy Horse dei torcibudella.
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Prima di dargli un assaggio, Mama Miriam, un membro della comunità di nove donne che gestisce la distilleria, vuole mostrarmi quanto sia forte. Dà fuoco al chang’aa, esaltandosi sempre di più mentre la tazza comincia a sciogliersi.
“Vedi?” dice. “Molto potente.”
Mi porto la tazza al naso e subito ho un conato di vomito. Puzza di whisky cattivo e ti dà una botta tipo solvente per vernici. La prima sorsata mi stordisce. La seconda mi provoca brividi incontrollabili e lacrime. Alla terza sto respirando i vapori e mi sento come se fossi diventata strabica.
Il chang’aa (anche conosciuto come busaa o birra di banana) è normalmente distillato dal mais o dal miglio. È preparato nelle regioni più povere del Kenya, costa 20 scellini (circa 25 centesimi) a bicchiere e (sorpresa!) è popolare fra i disoccupati e coloro che non hanno diritti civili. A Kibera, una delle baraccopoli più grandi dell’Africa orientale, questo liquore è un alimento quotidiano per molti dei suoi abitanti.
Fino a poco tempo fa il chang’aa era illegale. I venditori senza scrupoli molte volte lo correggono con del metanolo per dargli una marcia in più e girano voci che a volte vengano aggiunti anche la benzina per gli aerei e il liquido per imbalsamare. La polizia ha trovato topi in decomposizione e intimo di donna in grosse partite di chang’aa e l’acqua usata per distillarlo è spesso contaminata con escrementi. Non sorprende il fatto che il chang’aa abbia ucciso centinaia di persone e accecate migliaia di più.
Mama Toto possiede e gestisce un chang’aa bar a Kibera da sette anni. Serve da bere sotto banco a tutti i suoi clienti, che arrivano 24 ore su 24 in ogni giorno della settimana. Mama Toto è sempre lì che aspetta.
Il governo del Kenya ha legalizzato il chang’aa alla fine del 2010 con lo scopo di ridurre gli avvelenamenti e le morti stabilendo prima di tutto degli standard. Secondo le nuove leggi, il chang’aa deve essere imbottigliato, sigillato e marchiato con un’etichetta di avvertimento. Se le autorità scoprono degli ingredienti illegali, come quantità letali di metanolo, chi lo ha prodotto va a finire in prigione.
“Non ci piace nemmeno più chiamarlo chang’aa perché il nome ha acquisito ormai una cattiva reputazione,” dice Vitalis Odhiambo, detto Diddy, una guida non autorizzata che ho pagato per mostrarmi Kibera.
Diddy è nato e cresciuto fra le baracche e nella legalizzazione ci vede un’opportunità. Le donne di Kibera possono distillare il chang’aa in casa, tirando su un po’ di soldi per le faccende domestiche, mentre mariti e ragazzi scorrazzano per strada scovando turisti come me.
Diddy gestisce un autolavaggio e si offre ai turisti per dei “ghetto tour”. Prima si passa attraverso Kibera, per far scattare foto dei bambini sorridenti immersi nella più totale povertà. Fatto questo, per un paio di dollari extra porta i turisti in dei buchi di posti (meglio di un monolocale pieno zeppo di mamme che allattano neonati) dove possono prendersi una bella stecca di chang’aa.
La maggior parte di quelli che lo bevono raggiungono l’incoscienza dopo un paio di colpi, ma Diddy fornisce ai suoi clienti un altro tipo di stimolante: dei sacchetti di khat, ovvero l’equivalente africano e completamente naturale dello speed.
“Faccio quello che posso per far sì che sia una bella esperienza,” dice, “vogliamo che sia un’industria. A Kibera lo facciamo per bene, in maniera pulita e il chang’aa non è velenoso. Non aggiungiamo nessun materiale tossico. Vogliamo distillarlo nella maniera tradizionale e vogliamo che i turisti lo apprezzino.”
Anche se la legalizzazione rende più facile distillare e bere il chang’aa alla luce del sole, fermentarlo è ancora un’operazione nascosta. Le donne che mandano avanti questo tipo di distilleria devono corrompere i poliziotti con circa 500 scellini (4 euro) alla settimana per far sì che non le facciano chiudere (e io ho dovuto pagare alla polizia 1,000 scellini quando hanno ficcato il naso nel mio servizio fotografico).
“Tutti si danno da fare qui,” ci spiega Diddy. “Quello che ci serve è una fabbrica di imbottigliamento e una direttiva del Governo che spieghi come vengono fatte le ispezioni e come debbano essere le licenze. Non abbiamo nulla da nascondere, ma dobbiamo ancora scontrarci con troppi problemi se proviamo a venderla fuori.”
La Kenya Industrial Estate, una compagnia che offre capitale a piccole imprese, recentemente ha annunciato di voler investire nelle fabbriche di chang’aa, notando che i kenioti spendono 16 bilioni di scellini all’anno per questo intruglio. Le associazioni umanitarie e la chiesa stanno cercando di aiutare i distillatori del posto, convinti che, se proprio lo si deve vendere, il chang’aa debba almeno essere redditizio e sicuro, invece che letale.
“Sta andando meglio. Ci vorrà del tempo, ma lo venderemo alle grandi compagnie un giorno,” dice Diddy. “Forse le persone benestanti preferiscono il Johnny Walker, ma i veri kenioti sanno che questo è meglio.”