Foto di Guido Gazzilli.
Venerdì scorso è stata una giornata particolare. Dopo aver passato un pomeriggio con i giovani del papa in Vaticano, mi sono ritrovato, poche ore dopo, a sudare in quello che è probabilmente il loro incubo peggiore, la cosa più vicina a un girone infernale che possano trovare in terra.
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Prima di venerdì sera non mi era mai capitato di andare “ar Mucca”, né, a dire il vero, sentivo alcun bisogno di farlo. Come tutti i romani la conoscevo da tempo; ma in generale, in quanto etero e non particolarmente affascinato dalle serate di stampo gay-trash, non ne ho mai subito il richiamo. Quella sera però, il fotografo che era con me a San Pietro sarebbe dovuto andarci per lavoro e mi ha chiesto di accompagnarlo. Ovviamente gli ho detto di sì, e ho finalmente colmato quella che mi sono reso conto essere una grave lacuna.
La serata si svolge in una delle discoteche più grandi di Roma, un mostro di tre piani tutti piuttosto spaziosi (inclusa una dark room) che risponde al nome di Qube. Il nome scelto per l’appuntamento di venerdì scorso era Spartacus, in onore dell’omonima guida—una sorta di Zagat delle situe omo in giro per il mondo—presentata nel locale in quell’occasione, nonché scusa perfetta per mettere in scena uno dei grandi classici drag, la lussuria decadente dell’Impero Romano.
Ospite dell’evento, direttamente dal Berghain recitava il flyer, era DJ Boris. Non credo però che, oltre al DJ in questione, la serata romana e il locale berlinese abbiano troppo in comune. Le foto ad esempio. Una delle prime cose che mi ha colpito una volta entrato è stata l’attitudine delle persone nei confronti del fotografo. Non dico che mi aspettassi la politca di zero tolerance del Berghain, ma era praticamente impossibile scattare persone non in posa, a meno che non fossero impegnate in limoni duri come mattoni—cosa che in realtà succedeva circa ogni dieci mq di locale.
Tutti, a prescindere dall’età, dall’orientamento sessuale e dal “rango” all’interno della serata, apparivano estremamente affamati di attenzioni, in un modo che sembrava riportarci indietro nel tempo, in quel lontano e oscuro periodo storico in cui l’uomo con la macchina foto era una sorta di divinità aliena capace di donare vita eterna. Detta in altre parole, “checiaafainafoto?” è stata la frase che ho sentito ripetere più volte nel corso della serata.
Altro punto fondamentale che i due storici locali non hanno decisamente in comune riguarda l’entrata. La politica applicata alla porta a Muccassassina sembrava l’esatto opposto del concetto di “selezione”. Non che sia necessariamente una cosa negativa, ma se siete stati rimbalzati al Mucca, sinceramente non saprei davvero cosa dirvi. E questo non per dare giudizi dall’alto, ma per il semplice fatto che ogni singola categoria umana esistente a Roma che ti aspetti di trovare a una serata gay (incluse quelle non-gay) sembrava avere una sua rappresentanza:
parlo delle ragazze Sex and The City versione Tiburtina,
dei wanna be (magari inconsapevoli) del Plastic,
degli orsi,
delle orse,
di Lady Gaga,
dei ragazzi ‘Vecchie Maniere’ ma comunque al passo coi tempi,
dei normies,
delle ragazze CHIC,
degli scemi di turno con la faccia perplessa, come il sottoscritto,
e delle schegge impazzite come questo signore che stava letteralmente facendo il fuoco (lo rivedremo dopo nel post, tranquilli).
Potrei andare avanti ancora a lungo, ma credo che queste foto siano bastate a rendere il concetto.
Come dicevo, la serata si svolge su tre piani e si apre ufficialmente con un primo spettacolo al piano terra che culmina con la sigla ufficiale, cantata e ballata a memoria da una discreta parte degli spettatori.
Una volta finito lo spettacolo cominciano le danze. La colonna sonora del primo piano, e anche del secondo in realtà, varia dai grandi classici delle Regine (Britney, Rihanna & co.) ai grandi classici della playlist di tua sorella di 13 anni, quella che mette nelle casse per iPod Mini mentre si trucca in camera con le amiche prima di andare alla festa di Marco della terza F.
Mano a mano che la serata va avanti, i limoni, gli strusci e le paccate al culo dei trans si fanno sempre più costanti, e soprattutto comincia a delinearsi una sorta di gerarchia dei piani. Ma ci vuole poco per capire che i Big Player, giustamente, si trovano in alto.
Per capire meglio cosa intendo per “gerarchia dei piani” basta guardare le tre foto qui sotto, che seguono il signore di prima all’interno del locale (non l’abbiamo pedinato, giuro). Qui lo vedete al primo piano, letteralmente al centro dell’attenzione e degli obbiettivi di tutti gli smartphone dei presenti. Sono tutti con lui, vogliosi di rendersi partecipi del suo momento di gloria, e inconsapevoli del rischio di diventare lo sfondo per un meme-generator.
In questa foto invece siamo al secondo piano, sotto un ventilatore dove si respira un po’ d’aria fresca. Qualcuno lo guarda col sorriso, qualcun altro gli fa delle foto quasi per riflesso automatico, ma l’attenzione nei suoi confronti comincia decisamente a scemare.
Al terzo piano, il tracollo. Lui stesso si rende conto che nulla può contro la potenza del pacco di Fabius e delle altre semi-divinità antico-romane sul palco. Nessuno se lo incula più di pezza.
È lì, al terzo piano, che DJ Boris mette la sua musica, ed è sempre lì che si è spostato lo spettacolo di ballerini e drag, che oltre a ballare fanno compagnia come vocalist alla house a volte funk, a volte tribaleggiante, a volte semplicemente trash del DJ russo-che-a-quanto-pare-viene-da-Berlino.
Se c’era una costante che accomunava le tre sale, era la tensione sessuale decisamente palpabile e non limitata alle coppie gay—anche se potete notare una leggera differenza d’intensità dalla foto sopra. Del resto immagino che questa non sia una particolarità di Muccassassina, ma qualcosa che accomuna molte altre serate e locali di questo tipo, insieme agli spettacoli drag e una selezione musicale in cui non vengono prese in considerazione canzoni che hanno meno di 25 milioni di visualizzazioni su YouTube.
Allora cos’è, se c’è, che ha fatto diventare Muccassassina un brand, che lo differenzia dal solito stereotipo di una tipica serata gay? In primo luogo proprio il fatto che Muccassassina in realtà è lo stereotipo di una serata gay, ma in maniera talmente perfetta che a tratti risulta quasi finto, irreale, totalmente assurdo. Come se vai a Parigi per la prima volta e scopri che il novanta percento della popolazione è vestita come Jean-Paul Gaultier, ha i baffetti, il basco e la baguette sotto braccio.
In secondo luogo, come molte altre serate gay spudoratamente mainstream, anche Muccassassina sembra svolgere una funzione di valvola di sfogo per la parte non privilegiata della comunità gay. Immagino che in tutta Italia ce ne siano diverse con questo “ruolo”, ma Roma non è l’Italia. Roma non è solo la Capitale, è anche la Capitale più affascinante e decadente, nonché una delle più provinciali d’Europa, un mix davvero strano e unico, che Muccassassina, a modo suo, sembra riflettere alla perfezione. E forse è proprio questo che negli anni le ha dato una strana energia, energia che è stata come brandizzata in qualcosa di ancora più grande, capace di attrarre anche persone che nella vita di tutti i giorni non solo non assoceresti mai a questo mondo, ma che in alcuni casi sono le stesse che hanno reso necessaria la nascita di posti come il Mucca.
Immagino che per i frequentatori più o meno assidui siano cose normali, scontate, addirittura banali. Ma c’è una cosa che mi è rimasta impressa, ben più del signore strafatto, o del travestito con il cazzo di fuori che ho scorto al bar cinese lì accanto mentre beveva il suo drink come se nulla fosse, ed è il fatto che era davvero parecchio che non andavo a una serata in cui la grande maggioranza delle persone non faceva solo finta di divertirsi, ma sembrava davvero felice di trovarsi là e soprattutto non aveva problemi a mostrarlo.
Con questo non voglio dire che non sia una delle serate più trash a cui sia mai stato, che il segreto per organizzare una festa che spacca è amare e accettare tutti per come sono, o che se ci andassi da non-spettatore mi divertirei come un pazzo. Molto probabilmente succederebbe il contrario. Ma in un mondo di tendenze musicali che vengono prima seguite come culti e pochi mesi dopo schifate, di selezione alla porta per mascherare la scrausaggine con una finta aura di esclusività, una serata come questa ha certamente una sua ragione d’essere. E poi ci vanno pure loro.
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